CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 novembre 2019, n. 30085
Tributi – IRAP – Dottore commercialista – Collaboratore fisso e continuativo – Elevato costo relativo all’attività del collaboratore – Presupposto di autonoma organizzazione – Valutazione della natura dell’attività del collaboratore – Necessità
Rilevato che
Con sentenza in data 7 febbraio 2018 la Commissione tributaria regionale della Toscana confermava la decisione della Commissione tributaria provinciale di Pisa che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto da F.P., esercente l’attività professionale di dottore commercialista, contro gli avvisi di accertamento relativi ad IRAP per gli anni 2008, 2009 e 2010.
Premesso che, nella fattispecie, non operava l’obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, vertendosi in ipotesi di accertamento c.d. «a tavolino», la CTR riteneva sussistere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione in considerazione del «costo relativo all’attività del collaboratore», della «natura di tale attività», del «ricorso da parte del contribuente alla costante, continuativa attività ausiliaria di terzi»; osservava, inoltre, che la dedotta «scarsa incidenza ai fini professionali dell’attività svolta dal collaboratore» non assumeva rilievo ai fini dell’assoggettabilità all’imposta dell’attività svolta dal contribuente poiché «il collaboratore fisso e continuativo rende di sicuro più efficace e produttiva l’attività dello studio professionale».
Avverso la suddetta sentenza, con atto del 6 settembre 2018, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. L’Agenzia delle entrate ha depositato mero atto di costituzione.
Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.
Considerato che
1. Con il primo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, I. n. 212/2000, per non avere la CTR ritenuto operante, nella fattispecie, l’obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale.
Il ricorso è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, hanno chiarito che l’ambito di applicazione dell’art. 12, comma 7, della I. n. 212/2000 è circoscritto ai soli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente, non essendo espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario e non trovando quindi applicazione al di fuori delle ipotesi esplicitamente previste. Ciò comporta che l’Ufficio, al di fuori di tali ipotesi, «può emettere l’avviso di accertamento anche in assenza di un processo verbale che attesti la chiusura dell’attività istruttoria, in difetto di norme che impongano un obbligo di verbalizzazione e laddove sia prevista una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento» (cfr. anche, tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 26 maggio 2016, n. 10904; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2016, n. 8000; Cass. sez. sez. 6-5, ord. 15 aprile 2016, n. 7600; Cass. sez. 6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20849).
Le stesse Sezioni Unite hanno posto poi la basilare distinzione, riguardo al tema del contraddittorio endoprocedirnentale, a seconda che si tratti o meno di tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell’Unione europea, chiarendo che «in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto» (nella successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2017, n. 26943).
Nel caso di specie è pacifico che si sia trattato di accertamento c.d. «a tavolino», espletato autonomamente dall’Amministrazione finanziaria nei propri uffici, per il quale non sussiste l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale.
2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 446/1997, per avere la CTR ritenuto la sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, pur essendosi il contribuente avvalso di un solo collaboratore che svolgeva mansioni meramente esecutive.
3. Con il terzo motivo si censura, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la sentenza impugnata per avere la CTR erroneamente valorizzato l’ammontare dei compensi a terzi quale indice di autonoma organizzazione, in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale che nega rilevanza a tale circostanza.
4. I due motivi, esaminabili congiuntamente, sono fondati.
Giova premettere che l’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 prevede quale presupposto per l’applicazione dell’IRAP «l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi». La Corte costituzionale, con sentenza n. 156 del 2001, ha ritenuto legittima l’imposta in quanto non colpisce il lavoro autonomo in sé, ma la capacità produttiva che deriva dalla «autonoma organizzazione», non coincidente con l’autorganizzazione ma intesa come elemento impersonale ed aggiuntivo rispetto all’apporto del professionista. Alla luce della pronuncia della Consulta, nella giurisprudenza di questa Corte si è consolidato il principio secondo cui il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. La nozione di autonoma organizzazione si definisce, secondo l’orientamento giurisprudenziale in materia, come «contesto organizzativo esterno», diverso ed ulteriore rispetto al mero ausilio dell’attività personale e costitutivo di un quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista.
Le Sezioni Unite (sent. n. 9451 del 2016) hanno chiarito che «In tema di imposta regionale sulle attività produttive, il presupposto dell’ “autonoma organizzazione” richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive. (In applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso contro la decisione di merito che aveva escluso l’autonomia organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di un segretario e di beni strumentali minimi)».
Si è, poi, precisato che «In tema di IRAP, l’elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali, non integra di per sé il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione» (Cass. n. 8728 del 2018).
Ciò posto, osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha ravvisato la sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione in considerazione del «costo relativo all’attività del collaboratore», della «natura di tale attività», del «ricorso da parte del contribuente alla costante, continuativa attività ausiliaria di terzi»; la CTR ha, inoltre, rilevato che la dedotta «scarsa incidenza ai fini professionali dell’attività svolta dal collaboratore» non assumeva rilievo ai fini dell’assoggettabilità all’imposta dell’attività svolta dal contribuente poiché «il collaboratore fisso e continuativo rende di sicuro più efficace e produttiva l’attività dello studio professionale».
Siffatta motivazione non si rivela conforme ai principi di diritto innanzi richiamati.
La CTR, difatti, ha ritenuto determinante, ai fini della sussistenza del presupposto impositivo, la circostanza che il contribuente si avvalesse in modo continuativo delle prestazioni di un collaboratore, senza tuttavia effettuare un esame del concreto apporto da questi fornito all’effettivo svolgimento dell’attività del contribuente, onde verificare se il dipendente espletasse o meno mansioni esecutive, valorizzando, nel contempo, un elemento (il costo relativo all’attività del collaboratore) enunciato in modo del tutto generico e che non integra di per sé il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione.
5. In conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente al secondo ed al terzo motivo, con il rigetto del primo. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.