CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 dicembre 2021, n. 40896
Rapporto di lavoro – Dirigente medico – Determinazione di compenso della prestazione libero professionale – Accordo
Rilevato che
1. con sentenza 7 luglio 2015, la Corte d’appello di Salerno rigettava la domanda di P.M., dirigente medico alle dipendenze della A.S.L. Caserta 1, di condanna dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno, in favore della quale aveva svolto in regime di convenzione attività di emergenza chirurgica da aprile a dicembre 2008, al pagamento della somma di € 29.020,08 (quale differenza tra quella ritenuta adeguata di € 47.520,00 e quella percepita di € 18.499,92), oltre accessori: così riformando la sentenza di primo grado, che l’aveva invece accolta;
2. dato preliminare atto della incontestata mancanza di una convenzione né di un accordo tra le parti per la determinazione di compenso della prestazione libero professionale del dirigente medico, la Corte territoriale negava l’applicabilità a tali fini dell’art. 14, punto 6 CCNL dirigenti medici del 3 novembre 2005 (e così pure dell’ivi richiamato art. 55. secondo comma CCNL dell’8 giugno 2000), siccome regolanti ipotesi di prestazione e non a diversa azienda, come invece nel caso di specie;
3. esclusa pure la pertinenza di diverse convenzioni inter alios richiamate a confronto parametrico dal medico, la Corte salernitana riteneva indimostrata l’inadeguatezza del compenso corrispostogli, in assenza degli elementi indicati per la determinazione del corrispettivo per lavoro autonomo dall’art. 2225 c.c., né (oltre che di convenzione tra le parti) di tariffe professionali, né di usi, né di prova del risultato ottenuto, con preclusione della possibilità di una sua liquidazione giudiziale;
4. con atto notificato il 19 novembre 2015, il lavoratore ricorreva per cassazione con cinque motivi; l’Azienda Ospedaliera conferiva procura speciale al proprio difensore, che comunicava validamente memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., per l’anteriorità del ricorso al 30 ottobre 2016 (Cass. 14 maggio 2019, n. 12803; Cass. 28 febbraio 202, n. 5508; Cass. 10 marzo 2021, n. 6592).
Considerato che
1. il ricorrente deduce illogicità e contraddittorietà della motivazione, per il rigetto della propria domanda sull’apodittica esclusione di una pattuizione del compenso tra le parti, nonostante l’assunto difensivo dell’Azienda Ospedaliera di pattuizione di un compenso orario di € 25,00 e assenza di contestazione dalla medesima della somma richiesta dal primo, preliminarmente rilevato anche il non verifico rilievo di proprio mancato richiamo dell’art. 36 Cost. in funzione di determinazione del corrispettivo (primo motivo); violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, per l’allegata pattuizione, nell’atto di appello dell’Azienda ospedaliera, di un compenso orario di € 25,00 per la prestazione in regime di convenzione del dirigente medico, invece esclusa dalla Corte territoriale la pattuizione o l’accordo tra le parti di quantificazione del corrispettivo (quinto motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
3. la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., disposta dall’art. 54 d.l. 283/2012, conv. in l. 134/2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; sicché, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. E tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598);
3.1. nel caso di specie, la Corte territoriale ha argomentato il proprio convincimento in modo congruo e articolato (dal primo capoverso di pg. 6 all’ultimo di pg. 9 della sentenza), senza quegli elementi di illogicità né di contraddittorietà infondatamente denunciati, essendo risultata indiscussa la liquidazione del compenso al dirigente medico con la determinazione n. 382/2009 dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno, pure contestata dal lavoratore (come da esposizione in fatto al primo periodo di pg. 3 della sentenza e riportato al p.to C di pg. 2 e 3 del ricorso); né la motivazione della sentenza impugnata è viziata da un contrasto irriducibile con l’allegazione difensiva, genericamente prospettata nell’atto d’appello dell’azienda ospedaliera (dall’ottavo al decimo alinea dell’ultimo capoverso di pg. 8 del ricorso);
3.2. neppure sussiste non corrispondenza tra domanda e pronuncia (verosimilmente sotto il profilo di extrapetizione), ricorrendo un tale vizio quando il giudice di merito attribuisca alla parte un bene non richiesto, perché neppure implicitamente o virtualmente compreso nelle deduzioni o allegazioni, così eccedendo il limite del rispetto del petitum e della causa petendi, per l’introduzione vietata di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché esso, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato) e pronunci oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 21 marzo 2019, n. 8048): avendo la Corte territoriale reso una pronuncia, piuttosto oggetto di critica in quanto non condivisa, coerente con la domanda proposta;
4. il ricorrente deduce inoltre la mancata valutazione delle prove raccolte nel giudizio di primo grado e la mancata applicazione dell’art. 12 r.d. 262/1942, per erronea negazione della prova di inadeguatezza del compenso orario (€ 25,00 al lordo Irap) per la propria prestazione di attività di emergenza chirurgica, nonostante la produzione di un estratto del CCNL della dirigenza medica del 3 novembre 2005, quale valido parametro di riferimento in ragione dell’opera professionale resa, indipendentemente dal destinatario (azienda di propria appartenenza come lavoratore subordinato ovvero altra) e della convenzione tra l’Azienda Ospedaliera Seconda Università di Napoli e alcune ASL campane, nonché tra l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Napoli e l’ASL di Caserta (secondo motivo); interpretazione illogica e incongruente, anche letterale, di norme di diritto rispetto all’art. 2225 c.c., per l’erroneamente ravvisata mancata produzione di tariffe professionali, nonostante quella del CCNL della dirigenza medica, esaminato dalla Corte territoriale, trattandosi comunque di attività subordinata ed essendo stato realizzato lo scopo dell’ingaggio, per l’occupazione di vuoti in organico, con la prestazione non contestata di n. 782 ore di attività lavorativa (terzo motivo); errata interpretazione e applicazione di norme della contrattazione collettiva rispetto al CCNL relativo all’area della dirigenza medico-veterinaria, alla parte normativa 2002/05, art. 14, punto 6, riguardante tutte le aziende pubbliche (ospedaliere, sanitarie e universitarie), pertanto ben applicabile nel caso di specie, per essere pubblica anche l’Azienda Ospedaliera Universitaria “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno, parte di un rapporto convenzionale espressamente previsto, nell’ambito della Regione Campania, per la copertura di vacanze di organico nella dirigenza medica, senza bando di nuovi concorsi, in regime di convenzione con dirigenti medici di altre aziende sanitarie, al di fuori del loro orario di lavoro subordinato, con prestazione nei luoghi e nell’ambito dell’attività ordinaria dell’azienda convenzionata, nonché osservanza dei turni e degli orari determinati dalla stessa (quarto motivo);
5. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati;
6. al di là di una loro deduzione non rispettosa della puntuale formulazione indicata dall’art. 360, primo comma c.p.c., i motivi sono ammissibili, ben consentendo il loro inequivoco tenore argomentativi di ricondurli immediatamente ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dall’art. 360, primo comma c.p.c., non esigendosi l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. s.u. 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862), né essendo impedita l’individuazione delle norme e dei principi di diritto asseritamene trasgrediti e neppure ricorrendo una delimitazione preclusiva delle questioni sollevate (Cass. 7 novembre 2013, n. 25044; Cass. 20 settembre 2017, n. 21819);
6.1. è chiara, infatti, la loro convergenza nella censura, sotto i profili illustrati, di mancata determinazione da parte del giudice del compenso spettante al dirigente medico dipendente della A.S.L. Caserta 1, per la prestazione di attività di emergenza chirurgica (del tutto omologa, nella natura, nelle modalità e nell’osservanza di turni e direttive, a quella del rapporto di subordinazione) da aprile a dicembre 2008, in favore dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno dell’Azienda in regime di convenzione (previsto, nell’ambito della Regione Campania, per la copertura di vacanze di organico nella dirigenza medica e senza bando di nuovi concorsi, con dirigenti medici di altre aziende sanitarie, al di fuori del loro orario di lavoro subordinato, con prestazione nei luoghi e nell’ambito dell’attività ordinaria dell’azienda convenzionata, con osservanza dei turni e degli orari determinati) e pertanto di natura libero-professionale:
nell’incontestata carenza di una pattuizione tra le parti del compenso, unilateralmente fissato con determinazione n. 382/2009 dall’Azienda Ospedaliera;
7. occorre poi premettere che l’Azienda Ospedaliera Universitaria resistente, che ha dato atto della prestazione suddetta e che per l’intero suo svolgimento, tra le parti incontestato, l’ha anche retribuita, sia pure in modo inadeguato secondo il lavoratore, soltanto con la memoria comunicata ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c. ha per la prima volta dedotto la nullità per difetto di forma scritta del contratto di collaborazione autonoma tra le parti;
7.1. è evidente l’inammissibilità per novità della questione giuridica, implicante un accertamento di fatto, in quanto non trattata in alcun modo nella sentenza impugnata né indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, neppure avendone la parte allegata l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, tanto meno indicando in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo avrebbe fatto (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804), ma nemmeno rilevando che la circostanza integri una nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, atteso che essa non può essere oggetto di esame ove comporti accertamenti di fatto (Cass. 11 aprile 2016, n. 7048); d’altro canto, occorre parimenti ribadire il necessario contemperamento, e così pure coordinamento, del potere del giudice di rilevare in via officiosa l’esistenza di una causa di nullità di un contratto con il principio della domanda, fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c., nel senso che occorre comunque la tempestiva proposizione della questione in giudizio (Cass. 27 aprile 2021, n. 11106);
8. nel merito, questa Corte ha affermato, in tema di compenso per l’attività svolta dal professionista, che il giudice, indipendentemente dalla sua specifica richiesta, a fronte di risultanze processuali carenti sul quantum e in difetto di tariffe professionali e di usi, non possa rigettare la domanda di pagamento del compenso, assumendo l’omesso assolvimento di un onere probatorio in ordine alla misura del medesimo, bensì debba determinarlo, ai sensi degli artt. 1709 e 2225 c.c., con criterio equitativo ispirato alla proporzionalità del corrispettivo con la natura, quantità e qualità delle prestazioni eseguite e con il risultato utile conseguito dal committente (Cass. 31 marzo 2014, n. 7510; Cass. 24 aprile 2018, n. 10057); in particolare, nell’applicazione del criterio, di natura tipicamente equitativa, dettato dall’art. 2225 c.c., ove il compenso non sia stato convenuto dalle parti, il giudice, pur dovendo considerare le peculiarità della singola fattispecie, non è vincolato da precise direttive o da determinati parametri, né è tenuto a disporre consulenza tecnica e può, in via di massima, riferirsi anche alle retribuzioni normalmente pagate per le corrispondenti prestazioni svolte in regime di subordinazione (Cass. 4 marzo 1981, n. 1279; Cass. 29 luglio 2016, n. 15805).
Questa Corte ha altresì ritenuto che, ai fini della liquidazione in via equitativa del compenso dovuto ad un professionista a norma degli artt. 1709 e 2225 c.c., il giudice di merito debba far riferimento ai criteri della natura, quantità, qualità dell’attività svolta, nonché al risultato utile conseguito dal committente: con la conseguenza che, se non possa far uso dei sopraindicati criteri perché l’attore non abbia fornito sufficienti elementi in proposito, debba necessariamente rigettare la domanda, in quanto la richiesta di liquidazione equitativa non esonera l’interessato dall’obbligo di fornire al giudice gli elementi probatori indispensabili affinché possa procedervi (Cass. 29 agosto 2003, n. 12681; Cass. 29 ottobre 2014, n. 23004; Cass. 18 maggio 2016, n. 10286);
8.1. nel caso di specie, la Corte ha escluso la possibilità di una “liquidazione in base al risultato ottenuto … non essendo stata offerta la prova in questa sede sul punto” (così al primo capoverso di pg. 10 della sentenza); in realtà, i riferimenti al risultato ottenuto, consistenti nel numero di ore lavorato, nel tipo e nelle modalità di attività svolta, incontestati tra le parti e dei quali la stessa sentenza impugnata ha dato specificamente atto (in particolare dall’ultimo capoverso di pg. 5 al secondo di pg. 6), la Corte territoriale li ha avuti tutti, come dedotto dal dirigente medico in particolare con il terzo motivo (dal quinto all’undicesimo alinea di pg. 11 del ricorso). Sicché, non valutando uno degli elementi indicati dall’art. 2225 c.c. per la determinazione del compenso per l’attività libero – professionale svolta dal predetto, in assenza di sua pattuizione tra le parti, essa è incorsa in un vizio di sussunzione correttamente denunciato dal ricorrente come error in iudicando, per avere proceduto, con il provvedimento impugnato, ad un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo, falsamente applicando la norma di legge, in particolare traendo dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851);
9. per le suesposte ragioni il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso devono essere accolti, con rigetto del primo e del quinto; la sentenza impugnata cassata, in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettati il primo e il quinto; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
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