CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 maggio 2018, n. 12446
Licenziamento collettivo – Comunicazione di apertura della procedura – Criteri di scelta
Rilevato
che la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 29 ottobre 2015, in riforma della pronuncia di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento collettivo intimato in data 18 settembre 2008 a R. Q. dal Banco di Napoli Spa per non avere la società effettuato la comunicazione prevista dall’art. 4, co. 9, l. n. 223 del 1991 alla Commissione Regionale Permanente Tripartita, ha rigettato la domanda proposta dal lavoratore; che la Corte territoriale, esclusa sulla scorta della più recente giurisprudenza di legittimità la necessità di una tale comunicazione nella fattispecie concreta, ha poi esaminato gli altri profili di doglianza prospettati dal Q. in ordine alla procedura di licenziamento collettivo di cui era stato destinatario ed ha ritenuto i medesimi inammissibili e/o infondati;
che per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 11 motivi, cui ha resistito la società con controricorso;
che entrambe le parti hanno depositato memorie;
Considerato
che il primo motivo di ricorso, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4, co. 3, l. n. 223 del 1991, per avere la Corte di Appello affermato la rispondenza della comunicazione di apertura della procedura alle prescrizioni di cui alla suddetta norma, è infondato alla stregua dei precedenti di questa Corte che hanno esaminato analoghe procedure di licenziamento collettivo ed ai quali, per ogni ulteriore aspetto, si rinvia (tra le altre v. Cass. n. 9061 del 2016; Cass. n. 12588 del 2016; Cass. n. 24109 del 2016);
che, infatti, la comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro avvia la procedura di licenziamento collettivo, che deve avere i contenuti prescritti dall’art. 4, co. 3, l. n. 223 del 1991 ma non predeterminare criteri di scelta, ha essenzialmente la finalità di consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale (tra molte: Cass. n. 13031 del 2002; Cass. n. 5770 del 2003; Cass. n. 15479 del 2007; Cass. n. 5034 del 2009); tuttavia compete al giudice del merito verificare – con accertamento di fatto non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistito da idonea motivazione – l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (ex aliis, Cass. n. 15479 del 2007; Cass. n. 8971 del 2014; Cass. n. 7940 del 2015); in particolare la comunicazione prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, è in contrasto con l’obbligo normativo di trasparenza quando: a) i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti; b) la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata; c) sussista un rapporto causale fra l’indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale (Cass. n. 6225 del 2007; Cass. n. 880 del 2013; Cass. n. 7490 del 2015); in proposito si è sovente affermato che, in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991 n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale (Cass. n. 9061 del 2016; Cass. n. 13794 del 2015), per cui, in relazione ad essi, “l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza” (in termini: Cass. n. 23526 del 2016); occorre poi ribadire che la l. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda; i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso, in sede giudiziaria, tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza dì “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. n. 21541. del 2006; Cass. n. 5089 del 2009; Cass. n. 2516 del 2012; Cass. n. 3176 del 2017 e molte altre); che, in definitiva, nella specie l’apprezzamento correttamente effettuato dalla Corte napoletana in ordine all’adeguatezza della comunicazione di apertura della procedura non si espone a rilievi tali da parte ricorrente da determinare la cassazione della sentenza;
che il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132 n. 4 e 346 c.p.c. in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che la questione del difetto di contestualità non sarebbe stata ritualmente introdotta con il ricorso di primo grado; il terzo motivo lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti perché la medesima Corte non avrebbe considerato che la questione era stata effettivamente introdotta con il ricorso al tribunale; il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4, co. 9, l. n. 223 del 1991 e dell’art. 6 l. n. 604 del 1966, deducendo che la Corte napoletana non avrebbe comunque tenuto conto che era onere del Banco di Napoli dimostrare la correttezza della procedura seguita e che quindi non vi era alcun vizio di extrapetizione; il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4, co. 9, l. n. 223 del 1991, dell’art. 6 l. n. 604 del 1966, dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto comunque non violato il requisito della contestualità della comunicazione del recesso alle organizzazioni sindacali ed alle amministrazioni pubbliche; il sesto motivo censura lo stesso capo di sentenza sotto la forma di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;
che occorre rilevare come la pronuncia gravata abbia ritenuto sia che nell’articolazione delle ragioni di impugnativa formulate nel ricorso introduttivo del Q. non fosse contenuta alcuna specifica doglianza relativa all’invio non contestuale delle comunicazioni, sia comunque che il requisito della contestualità risultasse nel caso di specie “soddisfatto”, configurando in tal modo una duplice ratio decidendi ciascuna idonea a sostenere sul punto la pronuncia;
che il secondo, il terzo ed il quarto motivo denunciano la prima ratio decidendi, mentre il quinto ed il sesto investono l’altra ragione della decisione, in base alla quale la Corte territoriale ha ritenuto “soddisfatto” il requisito della contestualità in quanto: “già in data 5 agosto 2008 la società aveva comunicato alle organizzazioni sindacali ed agli uffici competenti l’accordo quadro dell’8 luglio 2008 che prevedeva espressamente la risoluzione dei rapporti di lavoro del personale dipendente che alla data del 31 marzo 2008 avesse conseguito i requisiti previsti per il diritto alla pensione”; che “a detta comunicazione ha poi fatto seguito la missiva del 29 settembre 2008, con la quale sono stati comunicati i nominativi dei lavoratori destinatari dei provvedimenti di risoluzione del rapporto, con indicazione dei dati anagrafici, della anzianità di servizio, del livello di inquadramento e della sede di assegnazione”; che “l’accordo sindacale del 22 luglio 2008 aveva previsto all’art. 4 secondo comma che i dipendenti potessero far pervenire all’azienda fino al 30 settembre 2008 richiesta di risoluzione consensuale e di accettazione dell’incentivo all’esodo”; che “è evidente, pertanto, che nessuna definitiva comunicazione potesse essere inviata dalla società prima della scadenza del termine sopra indicato”;
che questa Corte in analoga vicenda (v. Cass. n. 67 del 2017 qui condivisa) ha già ritenuto che l’accertamento in concreto del rispetto del requisito della “contestualità” delle comunicazioni ex art. 4, co. 9, l. n. 223 del 1991, risulta essere “questione di fatto, che è rimessa, come tale, alla cognizione del giudice di merito e che si sottrae al controllo di legittimità”, per cui il quinto e sesto motivo non possono trovare accoglimento in quanto nella sostanza, nonostante il quinto mezzo invochi solo formalmente anche la violazione di legge, propongono un diverso apprezzamento di circostanze di fatto ben oltre i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come rigorosamente interpretato dalle SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
che la resistenza ai motivi di doglianza contenuti nel quinto e sesto mezzo di gravame rende inammissibili il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso in virtù del consolidato principio di questa Corte, secondo cui, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ragioni, convergenti o alternative, autonome l’una dall’altra, e ciascuna, di per sé sola, idonea a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossigli con l’impugnazione comporta che la decisione debba essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato privando in tal modo l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cfr., in merito, ex multis, Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009);
che il settimo motivo, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4, co. 9, l. n. 223 del 1991, in quanto la Corte di appello non avrebbe rilevato che la comunicazione di cui alla disposizione non conteneva la puntuale indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, da ritenersi necessaria anche in caso di unico criterio (nella specie accesso al pensionamento), è infondato per le ragioni già espresse da questa Corte, qui condivise, in numerose decisioni su vicende sovrapponibili alla presente ed alle quali integralmente si rinvia (ex multis: Cass. n. 391 del 2012; Cass. n. 12598 del 2016; Cass. n. 29750 del 2017);
che parimenti infondato è l’ottavo motivo di ricorso, con cui ancora si sostiene che la mancata comunicazione alla Commissione Tripartita era tale da inficiare il licenziamento del ricorrente, tenuto conto della ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte sul punto, richiamata anche dai giudici d’appello, da cui non v’è ragione per discostarsi (da ultimo, Cass. n. 29750 del 2017);
che il nono mezzo di gravame denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4, co. 9, l. n. 223 del 1991, dell’art. 6 l. n. 604 del 1966, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 112 c.p.c., per non avere la Corte distrettuale preso atto che il Banco di Napoli non aveva dato la prova di avere inoltrato le comunicazioni di legge – oltre che alla Commissione Tripartita – anche a tutti gli altri soggetti indicati dall’art. 4 citato; che il decimo motivo denuncia il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. in quanto, nonostante la contestazione contenuta nell’atto introduttivo del giudizio circa il mancato invio delle comunicazioni ai soggetti indicati nell’art. 4 della l. n. 223 del 1991, la Corte napoletana avrebbe “omesso di rispondere ai predetti rilievi”;
che le censure, esaminabili per connessione, non possono essere accolte perché la Corte territoriale ha ritenuto che nel ricorso introduttivo non risultava “sufficientemente allegato il dato del mancato invio a taluno degli enti destinatari della comunicazione” e che comunque “anche la sentenza impugnata ha dato atto che dalla documentazione in atti prodotta dalla resistente risultava che il Banco di Napoli non avesse inviato la comunicazione solo alla Commissione Regionale Permanente Tripartita, mentre ciò fosse avvenuto nei confronti della Direzione regionale del lavoro”;
che la prima statuizione non risulta efficacemente censurata né con il nono motivo, con cui piuttosto si lamenta che la Corte abbia ritenuto raggiunta la prova dell’invio delle comunicazioni, né con il decimo, con cui si denuncia un preteso error in procedendo nelle forme improprie dell’omesso esame del fatto decisivo, che attiene a circostanze storiche antecedenti al processo, mentre la seconda e concorrente ratio decidendi attiene all’accertamento in fatto circa l’invio o meno delle comunicazioni, che non può essere sindacato in questa sede al di fuori dei limiti imposti dal novellato n. 5 dell’art. 360, co.1, c.p.c., come interpretato dalle già richiamate pronunce delle Sezioni unite;
che l’ultimo motivo – con cui si denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 347 e 112 c.p.c. oltre che dell’art. 36 disp. att. c.p.c., per non avere la Corte di Appello provveduto ad acquisire il fascicolo di primo grado contenente note del 10 giugno 2001 (di cui non viene nel motivo riportato il contenuto) nelle quali sarebbero state “ulteriormente evidenziate le violazioni procedimentali poste in essere dal Banco di Napoli” – non è accoglibile perché privo di decisività, in quanto non viene prospettato in qual modo l’error in procedendo del giudice avrebbe determinato la nullità della sentenza o del procedimento, né tanto meno è ipotizzabile tale decisività rispetto a note che in alcun modo potevano introdurre nuovi temi di indagine;
che conclusivamente il ricorso va respinto e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
che occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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