CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13638
Tributi – IRPEF – Ritenute alla fonte – Liquidazione della quota di partecipazione al Fondenel – Tassazione
Ritenuto che
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 104/13/2014, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana il 22.01.2014.
Ha rappresentato che la controversia traeva origine dalla istanza di rimborso di € 122.128,05, presentata da P.G. per la restituzione delle ritenute fiscali effettuate, indebitamente secondo la sua prospettazione, da Fondenel con aliquota del 32,5% sulla liquidazione della propria quota di partecipazione al Fondo (pari ad € 663.734,57). Sull’istanza si era formato il silenzio rifiuto dell’Ufficio, che riteneva corretta la liquidazione dell’imposta a tassazione separata. Il contribuente, che invece insisteva sulla illegittimità del regime impositivo applicato, ritenendo di contro che alle prestazioni erogate in forma di capitale, in dipendenza di contratti di assicurazione o capitalizzazione maturati a favore degli iscritti in epoca anteriore al 28 aprile 1993, non fosse applicabile alcuna imposta o in subordine che la ritenuta dovesse essere operata nella misura del 12,5%, adiva la Commissione Tributaria Provinciale. Questa con la sentenza n. 145/11/11 accoglieva la domanda subordinata, dichiarando tassabili con l’aliquota del 12,5% le somme liquidate a titolo di rendimento. Avverso la pronuncia l’Agenzia ricorreva dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che con la sentenza qui impugnata rigettava l’appello.
L’Agenzia censura la sentenza con tre motivi:
con il primo per violazione e falsa applicazione degli artt. 1 co. 5 del d.l. n. 669 del 1996, 17 e 45 co. 4 del d.P.R. n. 917 del 1986, 6 della L. n. 482 del 1985, 2697 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., perché la sentenza ha solo apparentemente applicato i principi enucleabili dalla giurisprudenza formatasi sulla materia, senza alcuna analisi dei meccanismi di funzionamento del Fondo Fondenel già PIA, prescindendo dalla quota spettante a titolo di capitale da quella spettante a titolo di rendimento;
con il secondo per nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 co. 2 n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c., per motivazione apparente;
con il terzo, in subordine, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., per non aver svolto alcun tipo di accertamento sul se e in quale percentuale le somme affluite nel fondo fossero state impiegate sui mercati finanziari.
Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza.
Si è costituito il contribuente, che ha contestato il fondamento degli avversi motivi, chiedendo il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
Considerato che
La pronuncia censurata dalla Agenzia, dopo aver esposto brevemente i fatti di causa (pag. 1), nella parte motiva richiama il principio di diritto a cui ricondurre la decisione, formulato da Sez. U, sent. n. 13642/2011, affermando che «nei casi come quello di specie, per gli importi maturati fino al 31/12/2000 la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al DPR 917/1986, art. 16 comma 1 lett. a) e art. 17 TUIR per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12,50% prevista dalla L. n. 482/85, art. 6 per gli importi maturati al 31/12/2000, mentre per quelli maturati successivamente si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al DPR 917/86, art. 16 comma 1, lett. a) e 17 TUIR» (sempre pag. 1). A questo punto, dopo aver rilevato che tale principio non è contestato dalla Agenzia appellante, che invece rileva come il contribuente non ha provato quali importi siano effettivamente da imputare a rendimento, sostiene che <<…questa tesi dell’Ufficio non è condivisibile poiché, secondo questo Collegio, le argomentazioni del contribuente unitamente alla documentazione prodotta appaiono del tutto convincenti circa l’ammontare che deve essere imputato a rendimento con conseguente applicazione allo stesso dell’aliquota del 12,50%.» (sempre pag. 1).
Rigetta pertanto l’appello confermando la decisione di primo grado (sempre pag. 1).
Per il principio della ragione più liquida va esaminato il secondo motivo del ricorso, al cui eventuale accoglimento seguirebbe la declaratoria di nullità della sentenza con conseguente assorbimento degli altri motivi.
Ebbene, questa Corte ha affermato che la sentenza è nulla per mancanza del requisito di cui all’art. 132 co. 1, n. 4 c.p.c., sotto il profilo sia formale che sostanziale, quando la motivazione si limiti a dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti ed atti ad essa allegati, senza neppure riprodurne le parti idonee a giustificare la valutazione espressa, né indicare la ragione giuridica o fattuale che il giudice abbia ritenuto di condividere. In particolare, la mera adesione acritica all’atto d’impugnazione o il suo rigetto senza alcun riferimento ai motivi d’impugnazione, senza esame né della tesi in esso sostenuta, né delle ragioni di condivisione o di confutazione, è affetta da nullità processuale in quanto corredata da motivazione solo apparente (Cass., sent. n. 7402/2017; Cass., sent. n. 20648/2015).
Sussiste infatti l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento (con riferimento all’ipotesi della conferma della sentenza impugnata, cfr. Cass., ord. 16057/2018; sent. 14786/2016).
Alla luce di tali principi nel caso di specie balza con evidenza l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata. Essa si compone di frasi del tutto generiche, con affermazioni che solo formalmente esprimono consapevolezza delle ragioni del contribuente, e che con altrettanta genericità valorizzano la documentazione, neppure specificata, sulla quale si sarebbe fondata la quantificazione degli importi da sottoporre all’aliquota vantaggiosa del 12,50%. Risulta dunque del tutto impossibile a questo Collegio un controllo sul percorso logico e sulla correttezza del ragionamento seguito dal giudice regionale.
In conclusione il motivo va accolto.
L’accoglimento del secondo motivo assorbe gli altri.
Considerato che
la sentenza va pertanto cassata perché nulla, ed il giudizio va rinviato alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che in altra composizione dovrà riesaminare l’appello della Agenzia oltre che provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
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