CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2020, n. 12134
Concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari – Misura atipica e residuale – Situazioni in cui, non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o protezione sussidiaria, non può disporsi l’espulsione – Condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso – Grado adeguato di integrazione sociale in Italia – Valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine
Rilevato che
1. C.S., cittadino della Guinea Bissau, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui all’art. 4 d. Igs. 25.1.2008 n. 25:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, ex art. 7 e ss. d. Igs. 19.11.2007 n. 251;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui all’art. 14 d. Igs. 19.11.2007 n. 251;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex art. 5, comma 6, d. Igs. 25.7.1998 n. 286 (nel testo applicabile ratione temporis).
2. A fondamento della sua istanza dedusse di essere fuggito dalla Nuova Guinea per sottrarsi al rischio di “persecuzioni da parte della comunità di appartenenza”. Ha riferito di essere fuggito dal proprio paese dopo aver incendiato per errore dei campi agricoli e dopo l’uccisione dello zio da parte delle persone danneggiate dall’incendio; a seguito di tale tragico accadimento, rimasto senza famiglia ed in assenza di alcuna protezione non avendo un posto o altra persona dove rifugiarsi nel timore di subire la drammatica sorte dello zio si vedeva costretto ad allontanarsi dal paese all’età di soli 15 anni e si recava prima in Senegal poi in Burkina Faso per poi giungere attraverso il Niger fino in Libia dove veniva anche incarcerato e torturato.
3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza. Avverso tale provvedimento C.S. propose opposizione ex art. 702 bis c.p.c. dinanzi al Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 26 maggio 2018 rigettò il reclamo.
Il Tribunale ha ritenuto:
a) il richiedente asilo non credibile;
b) infondata la domanda di protezione internazionale perché il richiedente asilo non aveva dedotto a sostegno di essa alcun fatto di persecuzione;
c) infondata la domanda di protezione sussidiaria perché nella regione di provenienza del richiedente asilo non era in atto un conflitto armato;
d) infondata la domanda di protezione umanitaria poiché l’istante non aveva né allegato, né provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sé dimostrativa duna situazione di vulnerabilità.
3.1. La decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 1034 del 14 marzo 2019.
4. Tale decisione è stata impugnata per cassazione da C.S. con ricorso fondato su tre motivi.
Il Ministero dell’Interno non si è difeso.
Considerato che
5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta motivazione apparente e conseguente nullità del provvedimento ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
Si duole della apoditticità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento sia all’asserita mancanza di credibilità del racconto del ricorrente sia all’asserita mancata produzione di prove e/o alla loro mancanza di valorizzazione.
Il motivo è infondato. Il Tribunale ha ritenuto, con motivazione incensurabile in questa sede, l’inesistenza dei presupposti – fatti o atti persecutori – richiesti per la protezione internazionale, senza che il ricorrente abbia opposto, nell’illustrazione del motivo, convincenti ragioni idonee ad inficiare la decisione di merito.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta motivazione apparente e conseguente nullità del provvedimento ex Art 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.;
Violazione o falsa applicazione di una norma di diritto – art. 8, comma 3, Dlgs n. 25/2008 ed art. 14, lett. B, D.lgs n. 251/2007 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c. – Domanda di protezione Sussidiaria.
Denuncia, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, che la motivazione della corte d’appello risulterebbe del tutto scarna, contraddittoria, apparente e viene omesso, anche con riferimento a questo punto, l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, quale la vicenda personale del ricorrente. Non solo, la corte d’appello non avrebbe considerato che i rapporti Easo non corrispondono alla fotografia della reale gravissima situazione in cui versa la Guinea.
Il motivo è infondato. Al contrario di quanto denunciato dal ricorrente il giudice del merito ha correttamente esaminato, secondo i principi stabiliti dalla corte di cassazione, la situazione politica del paese ove la persona aveva la dimora abituale. E l’esame è stato condotto sia con riferimento alla regione di provenienza sia alla situazione sussistente al momento della decisione (cfr pag. 9, 10 eli della sentenza impugnata).
5.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole ai sensi dell’art. 360 co. 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. del rigetto della domanda di protezione umanitaria. Sostiene, da un lato, che la Corte territoriale avrebbe dovuto compiere una “più approfondita verifica delle effettive condizioni in cui versa il paese di provenienza in relazione alle [sue] condizioni di vulnerabilità personale”; e che comunque è mancata nella specie una “comparazione” tra il “contesto di vita” attuale del ricorrente in Italia, e quello in cui si troverebbe in Guinea e non ha neppure considerato l’impossibilità del richiedente di rientrare in Libia.
Il motivo è fondato.
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al d.l. n. 113 del 2018, conv., con modif., in l. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. 13096/2019). Nel caso di specie il giudice del merito non ha comparato la situazione di vulnerabilità del ricorrente considerando le violenze subite nel territorio di transito (Libia) dove è stato incarcerato e torturato per oltre un mese.
Risulta del tutto carente (ben al di sotto del “minimo costituzionale” imposto dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità), nella motivazione impugnata, la valutazione comparativa tra la odierna situazione della ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio nel Pese d’origine, da condurre m ossequio ai principi che si andranno ad esporre.
Sul punto, va ricordato in premessa che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4455/2018, per come confermata anche da Cass., ss.uu., sent. 29459/2019), in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno di cui all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.
Quanto al giudizio di credibilità del racconto, va osservato come, nel caso di specie, il giudice del merito enunci i motivi per cui ha ritenuto non credibile il ricorrente e non valido il documento prodotto – si legge in sentenza che la copia della denuncia prodotta unitamente in forma telematica non consente alcuna verifica dell’autenticità dei timbri e le sottoscrizioni in calce al documento sono del tutto illeggibili”.
La motivazione prosegue ancora sul rilievo per cui “non sarebbe stata fornita una spiegazione su quando e attraverso quali canali la denuncia sarebbe pervenuta nella disponibilità di C., persona che nell’atto di appello ribadisce di aver perso ogni riferimento nel paese di origine.
Qualora C. fosse stato veramente in grado di procurarsi documenti pubblici in Guinea Bissau, non si comprende perché non abbia ricercato atti che dimostrino la concreta esistenza di un processo penale per l’incendio e la morte violenta del parente”.
Tali affermazioni confliggono con i canoni ermeneutici più di recente enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 7546/2020) in tema di valutazione della credibilità del richiedente asilo, essendo stati atomisticamente esaminati gli elementi della narrazione relativi a una patita persecuzione di tipo personale, omettendosi, di converso, una – pur necessaria e ben diversa- disamina complessiva della vicenda, che ha visto il ricorrente impedito nell’esercizio dei suoi diritti fondamentali a seguito di vicende delle quali egli offre, oltre ad una mai contraddittoria né contraddetta allegazione, ben più che un mero principio di prova.
Va premesso come la valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo da parte del giudice del merito, difatti, non sia rivolta alla capillare ricerca delle eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione della sua personale situazione, volta che il procedimento giurisdizionale di protezione internazionale è caratterizzato, per sua natura, da una sostanziale assenza di contraddittorio (stante l’assenza dell’organo ministeriale), con conseguente impredicabilità della diversa funzione – caratteristica del processo civile ordinario – di analitico e perspicuo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte.
Funzione del procedimento giurisdizionale di protezione internazionale deve, infatti, ritenersi quella – del tutto autonoma rispetto alla precedente procedura amministrativa, della quale esso non costituisce in alcun modo prosecuzione impugnatoria – di accertare, secondo criteri legislativamente predeterminati, la sussistenza o meno del diritto del richiedente al riconoscimento di una delle tre forme di asilo, onde il compito del giudice chiamato alla tutela di diritti fondamentali della persona appare funzionale – anche al di là ed a prescindere da quanto accaduto dinanzi alla Commissione territoriale – alla complessiva raccolta, accurata e qualitativa, delle predette informazioni, nel corso della quale dissonanze e incongruenze, di per se non decisive ai fini del giudizio finale, vanno comunicate al richiedente, che deve avere l’opportunità di spiegare le ragioni delle eventuali contraddizioni rilevate dall’organo giudicante.
Nel settore della protezione internazionale devono, difatti, riaffermarsi, ad ancor più forte ragione, ratione materiae, i principi affermati da questo stesso giudice di legittimità nella sua più autorevole espressione (Cass. ss.uu. 10531/2013) sul tema della giustizia della decisione, sottolineandosi come la rilevabilità d’ufficio delle eccezioni in senso lato (tematica “classica” di diritto processuale) sia posta in funzione di una concezione del processo che semplicisticamente è stata definita come pubblicistica, ma che, andando a fondo, fa leva sul valore della giustizia della decisione, che deve ritenersi valore primario del processo (valore primario che, a più forte ragione, permea quei procedimenti nei quali i valori in gioco hanno riguardo alle persone, alla loro storia, ai loro diritti fondamentali, sempre e comunque garantiti dalla Carta costituzionale e dalle Convenzioni internazionali).
Quanto all’attendibilità complessiva del richiedente asilo, ove, rispetto ad alcuni dettagli, residuino all’organo giudicante, come nella specie dubbi in parte qua, è convincimento del collegio che possa trovare legittima applicazione il principio del beneficio del dubbio.
L’art. 3 del D.lgs. 251/2017, infatti, dispone che: “Qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.
Come ricordato dal rapporto Beyond Proof Credibility Assessment in EU Asylum Systems dell’UNHCR,”nonostante gli sforai che il richiedente (ed eventualmente anche la stessa autorità accertante) possa fare per cercare di raccogliere le prove dei fatti affermati, può darsi che permangano tuttavia dubbi relativamente a tutte o ad alcune delle sue affermazioni” e che, talvolta, “la stessa vita o l’incolumità del richiedente potrebbero essere messe a rischio ove la protezione internazionale gli fosse ingiustamente negata”. Quest’orientamento dell’UNHCR è peraltro suffragato da quanto affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di onere della prova, secondo cui “stante la particolare situazione in cui si trovano i richiedenti asilo, sarà frequentemente necessario concedere loro il beneficio del dubbio quando si vada a considerare la credibilità delle loro dichiarazioni e dei documenti presentati a supporto” (cfr.: CEDU, R.C. v. Svezia, 2010, paragrafo 50; CEDU, N. v. Svezia, 2010, paragrafo 53; CEDU,A.A. v. Svizzera, 2014, paragrafo 59). In applicazione di tali principi, osserva il collegio che, nel caso di specie, appare addirittura paradossale l’affermazione della Corte territoriale secondo cui ‘la copia della denuncia prodotta unitamente in forma telematica non consente alcuna verifica dell’autenticità dei timbri e le sottoscrizioni in calce al documento sono del tutto illeggibili”.
6. Pertanto la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione.
P.Q.M.
Rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata m relazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione.
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