CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 giugno 2021, n. 17988
Rapporto di lavoro – Trasferimento nei ruoli dello Stato del personale ATA degli enti locali – Peggioramento retributivo – Accertamento
Rilevato che
la Corte di Appello di Palermo, con ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis c. 1 c.p.c., ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto da R.C. avverso la sentenza del Tribunale Palermo nella parte in cui essa aveva rigettato la domanda volta alla condanna del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, al pagamento delle differenze di trattamento retributivo verificatesi nel passaggio dall’Ente locale da cui, in forza del disposto dell’art. 8, co. 2, L. 124/1999, egli proveniva e ciò in quanto in causa si era accertata l’assenza di un peggioramento retributivo sostanziale quale conseguenza del trasferimento; la Corte territoriale, adita dal lavoratore, ha ritenuto che l’appello non avesse una ragionevole probabilità di essere accolto;
essa ha richiamato le precedenti decisioni assunte in fattispecie sovrapponibili a quella dedotta in giudizio e, riassunti i termini della vicenda relativa al trasferimento nei ruoli dello Stato del personale ATA degli enti locali, ha, in sintesi, osservato che la Corte di Giustizia con la sentenza del 6 settembre 2011 in causa C – 108/10, nel ritenere applicabile alla fattispecie la direttiva 77/187/CEE, ha escluso che il cessionario possa non tener conto dell’anzianità pregressa dei lavoratori ceduti ma solo nei limiti necessari al mantenimento del livello retributivo in precedenza goduto , valutato senza considerare eventuali accessori correlati a specifiche modalità di svolgimento della prestazione presso il precedente datore, atteso che la direttiva ha lo scopo di impedire che il lavoratore possa subire per effetto del trasferimento un peggioramento retributivo;
avverso la sentenza pronunciata in primo grado la C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi ed il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Università e Ricerca ha resistito con controricorso;
Considerato che
con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c, la violazione e falsa applicazione della direttiva 77/187/CEE, art. 3 c. 1 come interpretato dalla Corte di Giustizia con la sentenza 108/10 in relazione all’art. 8 c. 2 della L. n. 124 del 1999 e all’art. 1 c. 218 della L. n. 266 del 2005, addebitando alla sentenza di primo grado di non avere fatto corretta applicazione della direttiva 77/187/CEE e dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia nella sentenza richiamata nella rubrica del motivo in esame ed assumendo che l’accertamento relativo al peggioramento retributivo avrebbe dovuto essere effettuato tenendo conto dell’anzianità maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo;
con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 par. 1 della CEDU, dell’art. 1 del protocollo n. 1 della CEDU nella interpretazione datane dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con le sentenza del 7.6.2011 Agrati ed altri contro Italia, del 11.12.2012 De Rosa contro Italia, del 14.1.2014 Montalto contro Italia , in relazione all’art. 8 c. 2 della L. 124 del 1999 e all’art. 1 c. 218 della L. n. 266 del 2005 e violazione dell’art. 30 del D. Lgs. n. 165 del 2001, per non avere il Tribunale disapplicato la disposizione contenuta nell’art. 1 c. 218 della L. n. 266 del 2005, che aveva modificato la norma contenuta nell’art. 8 della L. n. 124 del 1999 in violazione dei principi della CEDU nella lettura data dalla Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo nella sentenza Agrati ed assumendo che la sentenza di primo grado sarebbe in contrasto con i principi affermati dalla CEDU nelle sentenze richiamate nella rubrica del motivo in esame e sostenendosi che la fattispecie dedotta in giudizio deve ritenersi disciplinata dalla disposizione contenuta nell’art. 30 del D. Lgs. n. 165 del 2001 che garantisce la continuità giuridica del rapporto di lavoro ed il mantenimento del trattamento economico in caso di passaggio da una Pubblica Amministrazione ad altra Pubblica Amministrazione;
con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Costituzione e del principio di non discriminazione di cui alla direttiva 1999/70/CEE, clausola 4.4 dell’Accordo Quadro allegato, in relazione all’art. 8 c. 2 della L. 124 del 1999 e all’art. 1 c. 218 della L. n. 266 del 2005, assumendo che il Tribunale avrebbe dovuto interpretare, in maniera costituzionalmente e comunitariamente orientata, l’art. 8 della L. n. 124 del 1999 e dichiarare il diritto al riconoscimento dell’anzianità maturata nell’Ente di provenienza ai fini dell’inquadramento stipendiale ed economico nella nuova classificazione del personale dell’Amministrazione statale secondo il CCNL ivi vigente e sostenendo, inoltre, che la disciplina contenuta nella L. n. 266 del 2005 contrasta con l’art. 3 della Costituzione in quanto viola il diritto acquisito da essa ricorrente alla conservazione dell’anzianità maturata nella successione dei rapporti giuridici svoltisi senza alcuna soluzione dì continuità e formula istanza di rimessione alla Corte Costituzionale anche ai sensi dell’art. 117 c. 1 della Costituzione in riferimento all’art. 6 convenzione EDU;
procedendo alla disamina congiunta nel merito dei tre motivi, va confermato quanto già ritenuto in controversia analoga da Cass. 20 febbraio 2019, n. 4958 e da Cass. 20 novembre 2018, n. 29935;
si rileva quindi che, in materia di trattamento giuridico ed economico del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola trasferito dagli enti locali al Ministero in base all’art. 8 della L. n. 124 del 1999, questa Corte (Cass. nn. 7980/2018, 7698/2018, 7566/2018 7310/2018, 7311/2018, 7249/2018, 7053/2018, 6780/2018, 6604/2018, 6326/2018, 5965/2018, 7715/2016, 1725/2012, 25113/2011), ha osservato che:
– il decreto del Ministro della pubblica istruzione 5 aprile 2001 recepì l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000 in ordine ai criteri applicativi della L. n. 124 del 1999, art. 8, e che il legislatore con la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, ha elevato a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva;
– l’incostituzionalità della disposizione innanzi richiamata (cui è stata riconosciuta efficacia retroattiva, Cass. S.U. n. 17076/2011, Corte Costituzionale n. 234/2007) è stata esclusa dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009);
– la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande sezione) con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C- 108/10, Scattolon), emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, nel rispondere alle quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia, ha ritenuto che: la riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro; quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187/CEE porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo; è compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo;
– in motivazione la Corte di giustizia ha poi rilevato che, una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187/CEE, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame) ed ha ritenuto che il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza della sentenza della Corte di Giustizia);
– la Corte di Giustizia ha altresì precisato anche che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo “scopo della direttiva”, consistente “nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento” (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva non può “essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni lavorative in occasione di un trasferimento di impresa …. questa direttiva non osta a che sussistano talune disparità di trattamento retributivo tra i lavoratori trasferiti e quelli che, all’atto del trasferimento, erano già al servizio del cessionario …. detta direttiva, per quanto la concerne, ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente”);
questa Corte, nelle decisioni innanzi richiamate ha, inoltre, osservato, che la Corte di Giustizia ha evidenziato che nella definizione delle singole controversie, il giudice nazionale deve osservare i seguenti criteri: a. quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (cfr. nn. 75, 77, 82 e 83) e, al contrario, non rilevano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77); b. quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributivo sostanziale” (cosi il dispositivo) e la comparazione tra le condizioni deve essere “globale” (n. 76: “condizioni globalmente meno favorevoli”; n. 82: “posizione globalmente sfavorevole”), quindi non limitato allo specifico istituto; c. quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto “all’atto del trasferimento” (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: “all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza”);
la Corte di Giustizia, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza Agrati), ha del resto statuito che “vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi di cui alle norme su indicate”;
in sintesi, la Corte di giustizia ha ritenuto che: si verte nell’ambito del diritto dell’Unione europea; di conseguenza, la normativa nazionale in esame deve essere interpretata alla luce del diritto dell’Unione europea; l’interpretazione orientata alla luce del diritto europeo comporta che il passaggio alle dipendenze dello Stato non può determinare per il lavoratore condizioni meno favorevoli; la relativa verifica spetta al giudice nazionale;
ulteriore conseguenza di questa impostazione è l’assorbimento del problema della conformità della norma in questione all’art. 6 del TUE in combinato disposto con le norme della CEDU e della Carta di Nizza, come recepite nel Trattato di Lisbona, problema esaminato dalla sentenza Agrati della CEDU, precedente alla sentenza della Corte di giustizia e da quest’ultima considerata;
la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea incide sul presente giudizio in quanto in base all’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (per tutte, Corte Cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonché, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011);
l’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonché, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000);
la decisione della presente controversia deve avvenire, in conclusione, sulla base della suindicata interpretazione della normativa nazionale orientata dal diritto europeo (in tal senso le già richiamate decisioni di questa Corte nn. 7980/2018, 7698/2018, 7566/2018 7310/2018, 7311/2018, 7249/2018, 7053/2018, 6780/2018, 6604/2018, 6326/2018, 5965/2018; 7715/2016, 1725/2012, 25113/2011);
l’esegesi della norma che regola la materia in senso conforme al diritto europeo esclude la possibilità di disapplicarla o di sottoporla nuovamente al giudizio della Corte di giustizia dell’Unione europea, che si è espressa, su tutti i profili della sua compatibilità con il diritto europeo, compreso quello, posto con il quarto quesito dal Tribunale di Venezia, valutato dalla CGUE considerando espressamente anche il giudizio e gli argomenti formulati dalla Corte EDU nella sentenza Agrati; va osservato che la pronuncia della CGUE si colloca in ambiente normativo già caratterizzato dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ed è stata seguita dalla sentenza 24 aprile 2012, nella causa C-571.10, Servet Kamberaj c. Istituto per l’edilizia sociale della provincia autonoma di Bolzano e altri, che si è espressa sul rapporto tra norme nazionali e convenzione europea affermando: “il rinvio operato dall’art. 6, par. 3, TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa”;
analogamente, la Corte costituzionale italiana ha escluso che l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona abbia comportato un mutamento della collocazione delle disposizioni della CEDU nel sistema delle fonti (Corte Cost. n. 80 del 2011, Cass. SSUU n. 9595 del 2012), sicché il giudice comune non ha il potere di disapplicare direttamente norme interne ritenendole contrastanti con la convenzione; come evidenziato, la Corte costituzionale italiana, su sollecitazione di questa Corte, si è già espressa sulla specifica questione con la decisione n. 311 del 2009, che, sebbene antecedente alla sentenza Agrati, considera i medesimi problemi, prendendo posizione non solo sulla sussistenza nel caso in esame dei “motivi imperativi di interesse generale”, ma anche, più in generale, sulla competenza a valutarli;
d’altra parte, le sentenze della Corte EDU successive a quella del 7 giugno 2011, Agrati, non hanno innovato il quadro della vicenda già apprezzato da questa Corte, che ha costantemente ritenuto (cfr. fra le tante Cass. n. 7859/2019, Cass. n. 4437/2019, Cass. n. 3016/2018) non fondata la questione di legittimità costituzionale della normativa di interpretazione autentica, rilevando che il giudice delle leggi, affermata la propria competenza a compiere la valutazione, ha già ritenuto sussistenti imperativi motivi di interesse generale che, secondo la stessa Corte di Strasburgo, permettono al legislatore di intervenire sul processo in corso; sulla base delle considerazioni che precedono si deve escludere la fondatezza dei motivi di ricorso perché la domanda proposta dalla ricorrente può trovare accoglimento nei soli limiti indicati dalla Corte di Giustizia, ossia garantendo ai lavoratori coinvolti nel trasferimento la conservazione del medesimo trattamento economico in precedenza goduto mentre è da escludere che la ricorrente, facendo leva sull’anzianità di servizio maturata ed applicata ai diversi istituti contrattuali previsti dal CCNL del comparto di destinazione, possa pretendere un aumento della retribuzione;
non colgono dunque nel segno gli ulteriori richiami della parte ricorrente ad una determinazione del dovuto sulla base di ricostruzioni di anzianità lavorativa;
il giudice di primo grado nella definizione della controversia ha fatto pertanto corretta applicazione dei principi innanzi affermati in quanto ha rilevato, anche sulla base di c.t.u. appositamente svolta che l’odierna ricorrente per effetto del trasferimento nei ruoli del personale ATA del Ministero, non aveva subito all’atto del passaggio nei ruoli statali alcun decremento economico;
la riproposta questione (terzo motivo del ricorso) di costituzionalità della legge n. 266/2005, è stata già ritenuta manifestamente infondata da questa Corte (Cass. n. 4049/2013 e fra le più recenti Cass. n.6780, 7053, 7698 del 2018), pur apprezzando le pronunce della Corte E.D.U. successive alla sentenza della Corte Costituzionale n. 311/2009, in quanto il Giudice delle leggi, nell’escludere la violazione dell’art. 117 Cost. per contrasto dell’art. 1, comma 218, della legge n.266/2005 con l’art. 6 CEDU, ha ritenuto sussistenti i «motivi imperativi d’interesse generale», valorizzati anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ed ha evidenziato che la decisione al riguardo implica una valutazione sistematica di profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e sociali che la Convenzione europea lascia alla competenza degli Stati contraenti, e, quindi, un bilanciamento di interessi che può essere compiuto solo dalla Corte Costituzionale (principio poi ribadito da Corte Cost. n. 264/2012 e da Corte Cost. n. 166/2017); sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis n. 1 c.p.c., stante il sovrapporsi di plurime pronunce del medesimo indirizzo e su motivi di ricorso tra loro sostanzialmente analoghi e privi di elementi nuovi;
le spese del giudizio restano regolate secondo soccombenza;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 agosto 2021, n. 22834 - La direttiva 77/187/CE ha il solo scopo di impedire che i lavoratori coinvolti nel trasferimento non subiscano un peggioramento retributivo sostanziale e «non può essere validamente invocata…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 luglio 2021, n. 20394 - L'anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in…
- MINISTERO INTERNO - Comunicato 13 dicembre 2022 - Riunione Conferenza Stato-città e autonomie locali - Differimento del termine del bilancio di previsione dell'anno 2023 degli enti locali, agevolazioni promozione economia locale, contributo…
- PRESIDENZA del CONSIGLIO dei MINISTRI - Comunicato n. 47 dell' 8 agosto 2023 - Tutela degli utenti, attività economiche e investimenti - Norme in materia di giustizia, contrasto agli incendi, tossicodipendenze e personale dei Ministeri -…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 12322 depositata il 9 maggio 2023 - In tema di reclutamento del personale a termine nel settore scolastico è illegittima, a far tempo dal 10 luglio 2001, la reiterazione dei contratti a termine, stipulati ai sensi…
- MINISTERO FINANZE - Decreto ministeriale 01 febbraio 2024 Modalità di utilizzo dei dati fiscali relativi ai corrispettivi trasmessi al Sistema tessera sanitaria Art. 1 Definizioni 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) «dati fiscali», i…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024 le cause di esclusione per l’anno 2
La legge istitutiva degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) ha una…
- Il diritto riconosciuto dall’uso aziendale n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositat…
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…