CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 marzo 2018, n. 7319
Art. 14 bis, co. 4, D.Lgs. n. 96/1993 – Restituzione della contribuzione – Mancato computo ai fini della ricongiunzione dei periodi previdenziali – Norma di carattere eccezionale, non applicabile in via analogica – Contribuzione effettivamente versata dal dipendente, possibile oggetto di restituzione – Onere contributivo assolto dal datore di lavoro – Esclusione – Principio generale del sistema delle assicurazioni sociali, improntato al criterio solidaristico
Rilevato
Che la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2226/2012, ha respinto l’appello proposto dall’INPDAP (cui è succeduto l’INPS ai sensi dell’art. 21 comma 1 d.l. n. 201 del 2011 conv. in I. n. 214 del 2011) avverso la sentenza emessa dal locale Tribunale nei confronti di C.M.V., già dipendente di A. transitata al Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato a seguito della soppressione dell’Agenzia (art. 2 I. 19 dicembre 1992 n. 488) e collocata in quiescenza il 31 dicembre 1994, avente ad oggetto la domanda della medesima tesa ad ottenere la condanna dell’ente previdenziale alla restituzione della contribuzione eccedente rispetto alla riserva matematica ai fini pensionistici al momento del transito avvenuto il 13 ottobre 1993, oltre ad accessori; che la Corte territoriale, superate le questioni di difetto di giurisdizione, improponibilità della domanda e di necessità di integrare il contraddittorio con il Ministero dell’Industria Artigianato e Commercio, ha ritenuto che l’art. 14 bis, comma 4, d.lgs. n. 96 del 1993 introdotto dall’art. 9 del d.l. n. 32 del 1995 conv. in I. n. 104 del 1995, chiaramente fondava il diritto della ex dipendente posto che la stessa era cessata dal servizio in data 1 aprile 1994, dopo la data del 13 ottobre 1993 e prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 32 del 1995 (8 febbraio 1995), e non aveva optato per il mantenimento della posizione pensionistica di provenienza;
che avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’INPS con due motivi, illustrati da memoria;
che C.M.V. ha resistito con controricorso;
Considerato
Che i due motivi di ricorso, posto che si addebita alla sentenza impugnata di non aver considerato che il Ministero dell’Industria Artigianato e Commercio aveva liquidato alla V., con decreto del 26 settembre 2002, la somma di Euro 7.154,40 ai sensi della normativa invocata e che la quantificazione della parte era stata contestata, denunciano: 1) la violazione e o falsa applicazione dell’art. 14 bis, comma 4 d.lgs. n. 96 del 1993, introdotto dall’art. 9 del d.lgs. n.32 del 1995, conv. in I. n. 104 del 1995 e violazione del principio generale di irripetibilità dei contributi previdenziali e del principio solidaristico vigenti in materia di ricongiunzione contributiva ai fini pensionistici dal momento che la restituzione di contributi disposta eccezionalmente dalla normativa indicata non può che avere ad oggetto quella versata dal dipendente e non dalla datrice di lavoro; 2) omessa o insufficiente motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio relativo all’omesso esame sia del decreto del Ministero delle attività produttive del 26 settembre 2002 che dell’eccezione di prescrizione;
che i due motivi, da trattarsi congiuntamente perché fondati sull’interpretazione dell’art. 14 bis, comma 4,d.lgs. n. 96 del 1993, come introdotto dall’art. 9 del d.l. n. 32 del 1995 conv. in l. n. 104 del 1995 che dispone: «Il personale cessato dal servizio dopo la data del 13 ottobre 1993 e prima della data di entrata in vigore del presente decreto, che non abbia optato per il mantenimento della posizione pensionistica di provenienza, può chiedere la restituzione dei contributi versati se non computati ai fini della ricongiunzione dei periodi previdenziali», sono fondati;
che, in particolare, questa Corte di legittimità ha espresso un consolidato orientamento secondo cui (cfr. Cass. sentt. 27 maggio 2010 n. 12959 e 9 dicembre 2010 n. 24909; 19 maggio 2015 n. 16689, nonché Cass. ord. 29 dicembre 2011 n. 29910) il tenore letterale della disposizione indicata presenta carattere eccezionale e quindi è di stretta interpretazione, in ragione del fatto che la regola, nell’ambito del sistema previdenziale generale obbligatorio, è piuttosto quella della solidarietà ex art. 38 Cost., la quale porta ad escludere in via di principio la necessaria restituzione dei contributi legittimamente versati ma inutilizzabili per la maturazione del diritto a pensione (cfr. anche Cass. 29 ottobre 2001 n. 13382 e Corte Cost. sent. 31 luglio 2000 n. 404);
che, dunque, dalla natura eccezionale e di stretta interpretazione della norma invocata deve trarsi l’ulteriore corollario della individuazione della contribuzione possibile oggetto di restituzione, in quella effettivamente versata dal dipendente e non già della parte dell’onere contributivo assolto dall’ente datore di lavoro, posto che secondo un generale principio del nostro sistema delle assicurazioni sociali, improntato al criterio solidaristico, non esiste in via generale il diritto alla restituzione dei contributi legittimamente versati, in relazione ai quali non si siano verificati i presupposti per la maturazione del diritto alla prestazione previdenziale (cfr., con riferimento ad altre previsioni normative, Cass. n. 10649 del 1990, Cass. ord., n. 16419 del 2014, Cass. n. 4470 del 2015, Cass. n. 4471 del 2015; Cass. n. 19469 del 2015), per cui, quando la legge dispone la liquidazione di tali contributi, o di una parte di essi, si è in presenza di un beneficio attribuito all’interno del rapporto previdenziale, con intento, dunque, non retributivo, né restitutorio. Ciò significa che l’ammontare della restituzione non coincide necessariamente con l’integralità di quanto versato, ma dipende dalla specifica previsione normativa che la dispone;
che, nel caso in esame, la finalità della previsione, alla quale occorre avere riguardo, è quella di consentire al dipendente transitato presso il Ministero, nell’arco temporale sopra indicato, che ha optato per il ricongiungimento presso la nuova posizione assicurativa della contribuzione relativa al periodo di lavoro prestato presso A., di ottenere la restituzione dei contributi dallo stesso versati sole se tali contributi non siano da computare ai fini della ricongiunzione dei periodi previdenziali;
che la disposizione vuole consentire la compensazione della posizione sfavorevole in cui si sono venuti a trovare i soggetti che, sul piano del trattamento previdenziale, non fruiscono dei vantaggi riconosciuti dalla medesima legge al personale cessato definitivamente alla data del 12 ottobre 1993 (e quindi in data non molto lontana dalla loro) e non possono vantare prospettive di consolidamento e sviluppo nel tempo del nuovo assetto del rapporto previdenziale, come chi poté proseguire il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione oltre la data indicata del 9 febbraio 1995;
che, tale effetto è certamente realizzato attraverso la restituzione dei contributi legittimamente versati dal dipendente mentre, se si dovesse accedere alla tesi sostenuta dalla sentenza impugnata, si otterrebbe il diverso risultato di attribuire ai soggetti indicati dalla norma in esame una misura premiale e non compensatoria che non troverebbe valida giustificazione a fronte della portata generale del principio di divieto di restituzione della contribuzione legittimamente versata e non utilizzata;
che, dunque, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 cod.proc.civ. con il rigetto della domanda proposta da C.M.V.;
che la mancanza di specifici precedenti di legittimità determina la compensazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da C.M.V.; dichiara compensate le spese dell’intero processo.
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