CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 25035 depositata il 22 agosto 2023

Lavoro – TFR – Fondo di tesoreria di cui all’art. 1, commi 755 ss., Legge n. 296/2006 – Natura previdenziale della prestazione corrisposta dal Fondo di tesoreria – Obbligo del Fondo di corrispondere la prestazione – Possibilità di recupero dal datore di lavoro dei contributi non versati dallo stesso – Accoglimento

Fatti di causa

Con sentenza depositata il 4.4.2016, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta dall’INPS avverso il decreto ingiuntivo con cui P.A.P. aveva chiesto la condanna dell’ente previdenziale, nella qualità di gestore del Fondo di tesoreria di cui all’art. 1, commi 755 ss., l. n. 296/2006, al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi sul TFR liquidatole a seguito di cessazione del rapporto di lavoro.

La Corte, in particolare, muovendo dal presupposto che le prestazioni del Fondo di tesoreria concernenti il TFR avessero natura retributiva e non già previdenziale, ha ritenuto applicabile il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui gli accessori da ritardo nella corresponsione delle somme spettanti al lavoratore costituiscono componente necessaria del credito originario ed entrano pertanto nel patrimonio del creditore indipendentemente dall’effettività del danno e dalla sussistenza di una qualche responsabilità del soggetto tenuto a corrisponderle.

Avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura. P.A.P. ha resistito con controricorso.

Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso. In vista dell’udienza, le parti hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 1, commi 755 ss., l. n. 296/2006, dell’art. 1, commi 2 ss., e 2, d.m. 30.1.2007, nonché degli artt. 2114 e 2116 c.c., in relazione all’art. 16, comma 6, l. n. 412/1991, per avere la Corte di merito ritenuto che la prestazione del TFR effettuata dal Fondo di tesoreria avesse natura retributiva e non previdenziale, con conseguente inapplicabilità, in caso di ritardo nella sua corresponsione, del divieto di cumulo di rivalutazione monetaria e interessi.

Va premesso, al riguardo, che i giudici territoriali, nel motivare la natura retributiva e non previdenziale della prestazione erogata dal Fondo di tesoreria, hanno preso le mosse dalla lettera dell’art. 1, commi 755 e 756, l. n. 296/2007, e hanno ravvisato sicuri indici della conclusione nella circostanza che i presupposti e la misura della prestazione restano regolati dall’art. 2120 c.c. e nel fatto che il contributo dovuto dal datore di lavoro al Fondo è pari alla quota che egli stesso avrebbe dovuto accantonare a titolo di TFR nel caso in cui il lavoratore non avesse scelto di destinarlo alla previdenza complementare, non senza aggiungere che una diversa soluzione sconterebbe l’incongruenza di attribuire al TFR una diversa natura giuridica a seconda della consistenza occupazionale dei datori di lavoro, operando la previsione dell’art. 1, commi 755 ss., l. n. 296/2006, soltanto per i datori di lavoro che abbiano alle loro dipendenze cinquanta o più addetti.

Dal canto suo, nel motivare le proprie conclusioni per il rigetto del ricorso, il Pubblico ministero ha ulteriormente rilevato che il fatto che al contributo da versare al Fondo di tesoreria si applichino le disposizioni in materia di accertamento e riscossione dei contributi previdenziali obbligatori (art. 1, comma 756, ultimo periodo, l. n. 296/2006) non sarebbe sicuro indice della sua natura previdenziale, atteso che l’applicabilità della disciplina dei contributi previdenziali obbligatori è limitata, appunto, all’ “accertamento ed alla riscossione”, con esclusione delle altre regole comuni a tale tipo di contribuzione, di talché si potrebbe meglio spiegare con l’intento di estendere alla riscossione del contributo le regole della più celere ed efficace procedura di riscossione prevista per la contribuzione obbligatoria.

Tali conclusioni appaiono prima facie conformi a quell’orientamento maturato in seno a questa Corte di legittimità che, da una parte, ha escluso che l’appaltante chiamato solidalmente a rispondere ex art. 29, d.lgs. n. 276/2003, per le quote di TFR dei dipendenti dell’appaltatore inadempiente maturate dopo il 1°.1.2007, possa eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva in favore del Fondo di tesoreria in mancanza di prova del versamento dei contributi dovuti al Fondo stesso (così già  Cass. nn. 27014 del 2017 e 11536 del 2019) e, dall’altra parte, ha ritenuto che spetti al lavoratore la legittimazione alla domanda di ammissione al passivo per il TFR maturato dopo il 1°.1.2007 e le cui quote accantonate non siano state versate dal datore di lavoro fallito al Fondo di tesoreria (così Cass. nn. 12009 del 2018 e 24510 del 2021): è infatti evidente che in tanto si può predicare che la legittimazione all’ammissione al passivo per le quote di TFR non versate al Fondo spetta al lavoratore e sostenere che solo l’effettivo versamento dei contributi al Fondo di tesoreria costituisce fatto estintivo della sua pretesa nei confronti del datore di lavoro (ed eventualmente del suo committente obbligato solidale ex lege) in quanto si reputi che l’istituzione del Fondo di tesoreria da parte dell’art. 1, commi 755 ss., l. n. 296/2006, non abbia in nulla e per nulla immutato rispetto alla struttura dell’obbligazione concernente il TFR maturato dopo il 1°.1.2007, né per quanto riguarda la sua natura giuridica (che resterebbe di carattere retributivo) né per ciò che concerne il soggetto tenuto alla sua corresponsione (che resterebbe il datore di lavoro, salva la prova del fatto estintivo dell’avvenuto conferimento dell’accantonamento al Fondo); ed è del pari evidente che, giusta tale ricostruzione, il debito per il TFR sorgerebbe in capo al Fondo di tesoreria soltanto limitatamente a quanto effettivamente versato dal datore di lavoro, con la conseguenza che sarebbe piuttosto il Fondo ad essere, rispetto ad esso, un mero adiectus solutionis causa.

Si tratta, tuttavia, di conclusioni che, a parere del Collegio, non possono essere ulteriormente condivise.

Mette conto, anzitutto, ricordare che l’art. 1, comma 755, l. n. 296/2006, nell’istituire a far data dal 1°.1.2007 il “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile” e nel prevedere che esso venga “gestito, per conto dello Stato, dall’INPS su un apposito conto corrente aperto presso la tesoreria dello Stato”, con modalità di finanziamento che “rispondono al principio della ripartizione”, stabilisce che il Fondo così istituito “garantisce ai lavoratori dipendenti del settore privato l’erogazione dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile, per la quota corrispondente ai versamenti di cui al comma 756”.

Quest’ultimo, a sua volta, oltre a prevedere che, con la medesima decorrenza, al Fondo debba affluire mensilmente un “contributo” a carico dei datori di lavoro che abbiano cinquanta o più addetti alle proprie dipendenze in misura pari alla quota di cui all’art. 2120 c.c. che non sia stata “destinata alle forme pensionistiche complementari” di cui al d.lgs. n. 252/2005 ovvero all’opzione di cui al successivo comma 756-bis, stabilisce specificamente, ai fini che qui interessano, che “la liquidazione del trattamento di fine rapporto e delle relative anticipazioni al lavoratore viene effettuata, sulla base di un’unica domanda, presentata dal lavoratore al proprio datore di lavoro, secondo le modalità stabilite con il decreto di cui al comma 757, dal Fondo […] limitatamente alla quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro”.

A sua volta, l’art. 2, d.m. 30.1.2007, emanato in attuazione della delega di cui all’art. 1, comma 757, l. n. 296/2006, oltre a prevedere al comma 1 che “il Fondo eroga le prestazioni secondo le modalità previste dall’articolo 2120 del codice civile”, stabilisce espressamente al comma 2 che “le prestazioni di cui al comma 1 sono erogate dal datore di lavoro anche per la quota parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio, da valersi prioritariamente sui contributi dovuti al Fondo riferiti al mese di erogazione della prestazione e, in caso di incapienza, sull’ammontare dei contributi dovuti complessivamente agli enti previdenziali nello stesso mese”; fermo tuttavia restando, aggiunge il successivo comma 4, che “l’importo di competenza del Fondo erogato dal datore di lavoro non può in ogni caso eccedere l’ammontare dei contributi dovuti al Fondo e agli enti previdenziali con la denuncia mensile contributiva” e che, “qualora si verifichi tale ipotesi, il datore di lavoro è tenuto a comunicare immediatamente al Fondo tale incapienza complessiva e il fondo deve provvedere, entro trenta giorni, all’erogazione dell’importo delle prestazioni sulla quota parte di competenza del Fondo stesso”.

Da quanto testé esposto, e segnatamente dal combinato disposto degli artt. 1, comma 756, l. n. 296/2006, e dell’art. 2, commi 2 e 4, d.m. 30.1.2007, si ricava anzitutto che l’unico soggetto obbligato al pagamento del TFR maturato dai lavoratori del settore privato successivamente al 1°.1.2007 è il Fondo di tesoreria: il datore di lavoro, infatti, risponde dell’obbligazione quale adiectus solutionis causa e nei soli limiti dei contributi dovuti per quel mese al Fondo stesso e, in subordine, agli altri enti previdenziali.

Si tratta di un meccanismo di anticipazione salvo conguaglio affatto analogo a quello che presiede alla corresponsione di altre prestazioni previdenziali (ad es., assegni familiari, indennità di malattia, indennità di maternità), le quali, proprio per ciò, vengono del pari corrisposte “sulla base di un’unica domanda, presentata dal lavoratore al proprio datore di lavoro”, esattamente come prevede per la prestazione in esame l’art. 1, comma 756, l. n. 296/2006.

D’altra parte, la circostanza che l’art. 1, comma 1, d.m. 30.1.2007, stabilisca che “il Fondo eroga le prestazioni secondo le modalità previste dall’articolo 2120 del codice civile”, avvalora un’ulteriore conclusione già desumibile dal tenore testuale degli artt. 1, commi 755 ss., l. n. 296/2006: e precisamente, che quella corrisposta dal Fondo è una prestazione che, sebbene modulata quanto a presupposti e misura secondo le previsioni dell’art. 2120 c.c., costituisce nondimeno una prestazione previdenziale.

Deve infatti convenirsi con l’Istituto ricorrente nel rilievo che la legge n. 296/2006 abbia all’uopo istituito una gestione previdenziale obbligatoria, ai sensi dell’art. 2114 c.c.: al Fondo, invero, affluiscono i contributi obbligatoriamente versati dai datori di lavoro che abbiano cinquanta o più dipendenti ed è il Fondo medesimo tenuto ad erogare le relative prestazioni “secondo il principio della ripartizione”; né in contrario potrebbe argomentarsi in relazione al disposto dell’art. 1, comma 755, l. n. 296/2006, secondo cui “la liquidazione del trattamento di fine rapporto e delle relative anticipazioni al lavoratore viene effettuata […] limitatamente alla quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro”: la disposizione testé cit. deve infatti ritenersi riferita al fatto che, operando il Fondo a far data dall’1.1.2007, le quote di TFR maturate nel periodo precedente dai lavoratori interessati non possono che restare a carico del datore di lavoro.

Del resto, che non si possa attribuire alla disposizione in esame il significato di rendere piuttosto il Fondo adiectus solutionis causa delle quote di TFR liberamente e volontariamente versate dal datore di lavoro si ricava dal meccanismo obbligatorio che presiede alla corresponsione del “contributo” mensilmente dovuto in misura pari alla quota di cui all’art. 2120 c.c. che non sia stata “destinata alle forme pensionistiche complementari” di cui al d.lgs. n. 252/2005 ovvero all’opzione di cui al successivo comma 756-bis: l’art. 1, d.m. 30.1.2007, oltre ad affermare al comma 5 che i datori di lavoro indicati nell’art. 1, comma 756, l. n. 296/2006, “sono obbligati al versamento del contributo”, stabilisce al comma 3 che “ai fini dell’accertamento e della riscossione del contributo previsto dall’articolo 1, comma 756, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si applicano le disposizioni vigenti in materia di contribuzione previdenziale obbligatoria, con esclusione di qualsiasi forma di agevolazione contributiva”. E, diversamente da quanto ritenuto nella sua requisitoria dal Pubblico ministero, pare al Collegio che l’insieme di tali previsioni si spieghi solo con l’intenzione del legislatore di attribuire al contributo de quo la stessa natura giuridica dei contributi previdenziali obbligatori.

Ma la conferma più decisiva della natura previdenziale della prestazione corrisposta dal Fondo di tesoreria si ricava, a ben vedere, dalla previsione dell’art. 1, comma 755, l. n. 296/2006, secondo cui il Fondo stesso “garantisce ai lavoratori dipendenti del settore privato l’erogazione dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile, per la quota corrispondente ai versamenti di cui al comma 756”: se infatti pochi dubbi possono sussistere circa il fatto che l’impiego del verbo “garantisce” lascia trasparire l’intento del legislatore di sottrarre la corresponsione del TFR alle alterne fortune cui essa può andare incontro allorché l’unica sua garanzia sia costituita dalla responsabilità patrimoniale del datore di lavoro di cui all’art. 2740 c.c. (ed eventualmente dal Fondo di garanzia di cui alla legge n. 297/1982), non è meno vero che l’unico modo in cui il legislatore può sottrarre un interesse reputato meritevole di tutela al destino precario cui è inevitabilmente soggetto sulla base del mercato concorrenziale è di attrarlo nell’orbita della regolamentazione pubblica; e se è vero che già sulla base del rapporto di lavoro privato il TFR costituisce retribuzione differita con funzione previdenziale, è evidente che non si può garantire pubblicamente la meritevolezza di tale funzione se non per tramite dell’istituzione di una forma di previdenza obbligatoria, solo quest’ultima essendo assistita dalla previsione di cui all’art. 2116, comma 1°, c.c., secondo cui “le prestazioni […] sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali”.

In quest’ottica, si può ulteriormente rilevare che l’istituzione del Fondo di tesoreria intende sottrarre ai datori di lavoro privati che abbiano cinquanta o più dipendenti la disponibilità diretta del risparmio forzoso costituito dagli accantonamenti per il TFR che il lavoratore non abbia destinato sponte sua alla previdenza complementare di cui al d.lgs. n. 252/2005 oppure all’opzione di cui all’art. 1, comma 756-bis, l. n. 296/2006, allo scopo di gestirli secondo un sistema a ripartizione che consenta, all’occorrenza, anche il loro impiego per fini di pubblica utilità, così come prevede l’art. 1, comma 758, l. n. 296/2006; e ciò, mentre avvalora ulteriormente la natura squisitamente contributiva del “contributo” cui sono tenuti i datori di lavoro di cui all’art. 1, comma 756, l. n. 296/2006, trattandosi di una prestazione patrimoniale imposta per fini di pubblica utilità (ossia di un’imposta speciale, così come in generale i contributi previdenziali), non può specularmente che confermare che quella erogata dal Fondo è una prestazione previdenziale pubblica, ancorché modulata, quanto a presupposti e misura, sulle previsioni di cui all’art. 2120 c.c..

Del resto, che il TFR possa non avere carattere unitario e comporsi di quote distinte, una facente capo al datore di lavoro privato e l’altra alla previdenza pubblica, è qualcosa che questa Corte ha avuto modo di affermare, sia pure con riguardo alla quota di esso maturata durante il periodo di cassa integrazione (cfr. Cass. n. 15978 del 2009). Mentre, sotto altro profilo, è appena il caso di notare che in nessun modo le anzidette conclusioni appaiono suscettibili di porre dubbi di legittimità costituzionale in relazione al diverso trattamento giuridico del TFR corrisposto dai datori di lavoro non tenuti all’applicazione dell’art. 1, commi 755 ss., l. n. 296/2006: l’istituzione di forme di previdenza obbligatorie rientra infatti nella discrezionalità del legislatore, che ben può ritenere, in relazione all’importanza economica di flussi di reddito cospicui come quelli concernenti il risparmio forzoso a fini previdenziali delle imprese con cinquanta o più dipendenti, di attrarli nell’orbita della disciplina pubblicistica; e in quest’ottica, eventuali dubbi di legittimità costituzionale potrebbero a tutto concedere residuare per la diversa tutela accordata ai lavoratori dipendenti di imprese non altrettanto grandi, per i quali tuttavia soccorre, ricorrendone le condizioni, la supplenza del Fondo di garanzia di cui alla citata legge n. 297/1982.

Le suesposte considerazioni, oltre a evidenziare l’errore in diritto della sentenza impugnata per aver affermato la natura retributiva del TFR corrisposto dal Fondo di tesoreria, trattandosi, come detto, di prestazione previdenziale semplicemente modulata, quanto a presupposti e misura, sulle previsioni di cui all’art. 2120 c.c. e dunque assoggettata alle previsioni di cui all’art. 16, comma 6, l. n. 412/1991, danno conto dell’impossibilità di assicurare continuità ai principi di diritto espressi da Cass. nn. 27014 del 2017 e 11536 del 2019 e da Cass. nn. 12009 del 2018 e 24510 del 2021, già citate: da quanto anzidetto, infatti, risulta evidente, per un verso, che il Fondo di tesoreria è l’unico obbligato alla corresponsione delle quote di TFR maturate dopo il 1°.1.2007, anche in mancanza di prova del versamento dei contributi dovuti al Fondo stesso, trattandosi di prestazione previdenziale cui il Fondo di tesoreria è tenuto ai sensi dell’art. 2116, comma 1°, c.c., e, per un altro verso, che il lavoratore non può in alcun modo ritenersi creditore del datore di lavoro per il TFR maturato dopo il 1°.1.2007 e le cui quote accantonate non siano state versate dal datore di lavoro fallito al Fondo di tesoreria, rimanendo il Fondo pur sempre obbligato alla corresponsione della prestazione e potendo e dovendo semmai recuperare esso stesso i contributi non versati dal datore di lavoro, eventualmente nelle forme del concorso.

Il ricorso, pertanto, va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.