CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 18460 depositata il 28 giugno 2023

Lavoro – Licenziamento – Fallimento – Stato passivo – Accertamento di nullità per causa di matrimonio – Dimissioni per giusta causa – Retribuzioni maturate – Diritto di recesso – Comunicazione datoriale di invito alla ripresa del servizio – T.F.R. – Titolarità passiva dell’obbligazione – Accoglimento

Rilevato che

1. con decreto 28 febbraio 2019, il Tribunale di Napoli ha rigettato l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 98 l. fall., da R.L.M. allo stato passivo del Fallimento P.M. s.r.l., cui era stata ammessa soltanto per il credito relativo agli importi dovutile, in dipendenza dell’accertamento di nullità del licenziamento intimatole per causa di matrimonio per il periodo fino alla data in cui ella avrebbe dovuto decidere in merito all’invito datoriale di ripresa del posto di lavoro (e pertanto di trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa e di retribuzioni maturate fino a tale data), con esclusione del maggior credito a titolo di retribuzioni successive al fallimento e di relativo rateo di T.f.r.;

2. esso ha, infatti, ritenuto l’infondatezza della prospettazione dedotta da parte della lavoratrice: a) di vigenza del rapporto di lavoro, in assenza di alcun valido atto di recesso datoriale successivo alla sua riammissione in servizio, a causa della dichiarata nullità del licenziamento; b) ovvero, di inefficacia delle dimissioni, nel caso di attribuzione di rilevanza (alla luce del tenore del provvedimento di ammissione allo stato passivo) al recesso della lavoratrice medesima, in quanto non convalidate dalla D.T.L. o dal Centro per l’impiego territorialmente competenti (art. 4, diciassettesimo comma della legge n. 92/2012), o di risoluzione del rapporto, in assenza di ciò (ovvero della sottoscrizione prevista dall’art. 4, diciottesimo comma della legge cit.), in caso di mancata trasmissione datoriale della comunicazione contenente l’invito dell’art. 4, ventiduesimo comma cit.

E ciò per avere la lavoratrice esercitato il diritto di recesso, ai sensi dell’art. 35, settimo comma d.lgs. 198/2006, in riscontro della comunicazione datoriale di invito alla ripresa del servizio in data 12 settembre 2013 (anteriore al fallimento), comportante l’ammissione allo stato passivo ottenuta;

3. con atto notificato, in tempestiva rinnovazione a mezzo posta della notificazione (in data 27 marzo 2019 non andata a buon fine per “mancata consegna del plico per irreperibilità del destinatario per civico inesistente”) il 4 aprile 2019, la lavoratrice ha proposto ricorso con quattro motivi, illustrati da memoria si sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.; il fallimento intimato non ha svolto difese.

Considerato che

1. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 96, 99 l. fall., per omessa motivazione in ordine alle ragioni dell’integrale rigetto della domanda svolta dalla ricorrente al punto n. 1) dei motivi del ricorso in opposizione allo stato passivo”, in palese inosservanza della disposizione dell’art. 99, undicesimo comma l. fall., secondo cui “Il collegio provvede in via definitiva sull’opposizione … con decreto motivato … ” (primo motivo);

2. esso è infondato;

3. al di là della denuncia inappropriata di una nullità della sentenza per omessa motivazione (per effetto della conversione, ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per riduzione al di sotto del minimo costituzionale, a norma dell’art. 111, sesto comma Cost.: Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. 16 aprile 2019, n. 10573), anziché come error in procedendo, quale error in iudicando, esso è inconfigurabile;

3.1. il Tribunale ha, infatti, adempiuto all’obbligo di una più che congrua motivazione, esplicitando chiaramente le ragioni del rigetto del giudice delegato, alla luce del provvedimento assunto (dal quarto al sesto alinea del primo periodo di pg. 1 del decreto), dato conto della sua comprensione anche da parte della ricorrente (in particolare al terz’ultimo capoverso di pg. 2 del decreto: “Osserva, inoltre, che qualora … ”) e basando la propria argomentazione su un critico ed articolato ragionamento (dall’ultimo capoverso di pg. 2 al secondo di pg. 3 del decreto); sicché, lungi dall’averlo violato, esso ha pienamente rispettato l’art. 99, undicesimo comma l. fall.;

4. la ricorrente ha poi dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 4, ventiduesimo comma legge n. 92/2012, 55, quarto comma d.lgs. 151/2001, 35, settimo comma d.lgs. 198/2006,  99 l. fall. ed omessa motivazione, per avere il Tribunale erroneamente escluso la vigenza del rapporto di lavoro, per effetto della natura dichiarativa della pronuncia di nullità del licenziamento per causa di matrimonio, ritenendone la cessazione dipendente dal recesso della lavoratrice, ai sensi dell’art. 35, settimo comma d.lgs. 198/2006, nonostante la non avvenuta interruzione del rapporto per la mancata convalida delle dimissioni della lavoratrice, tanto più necessaria in quanto madre di una figlia minore, di tre anni (secondo motivo);

5. esso è fondato;

6. nonostante la specifica deduzione, ai fini di ammissibilità del mezzo in osservanza della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., da parte della lavoratrice della circostanza di avere, al momento del proprio recesso (il 17 settembre 2013), una figlia minore di tre anni (al primo periodo di pg. 8 del ricorso in opposizione allo stato passivo) e della ragione di diritto della necessità di convalida (omessa) delle proprie dimissioni, ai sensi dell’art. 55, quarto comma d.lgs. 151/2001 (dal primo al penultimo capoverso di pg. 8 del ricorso citato), il Tribunale nessun riferimento ha operato a detta norma, non scrutinando la fattispecie anche in base ad essa, neppure per effetto dell’esplicito richiamo, in particolare, dell’art. 4, diciassettesimo comma della legge n. 92/2012 (al terz’ultimo capoverso di pg. 2 del decreto), ravvisandone l’inapplicabilità “nel caso di specie” (così al penultimo capoverso di pg. 2 del decreto);

6.1. tale ultima disposizione normativa esordisce, infatti, esplicitamente eccettuando dall’applicazione della disciplina di efficacia delle dimissioni della lavoratrice in essa contenuta, ponendola appunto “Al di fuori”, “l’ipotesi di cui all’art. 55, comma 4 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”.

Ed esso, tuttora in vigore e nel testo sostituito dall’art. 4, sedicesimo comma della legge n. 92/2012, stabilisce, per quanto qui interessa: “ … la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice … durante i primi tre anni di vita del bambino … devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro”.

Sicché, occorre un nuovo esame della controversia alla luce anche di tale norma, tempestivamente e specificamente denunciata di violazione, ma ignorata dal Tribunale nell’affrontare la “risolutiva ai fini del decidere … questione inerente la cessazione o meno del rapporto di lavoro” (terzo capoverso di pg. 2 del decreto).

7. la ricorrente ha quindi dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2, secondo comma D.M. 30 gennaio 2007, 1, comma 755 legge n. 296/2006, 2120 c.c., 99 l. fall. ed omessa motivazione, per l’esclusione del credito per T.f.r., sull’erroneo presupposto del difetto di legittimazione passiva del Fallimento datoriale in favore del Fondo di Tesoreria presso l’Inps, nonostante la mancata prova del versamento datoriale ad esso di somme al detto titolo, risultando anzi il contrario dall’invio dalla curatela fallimentare all’Inps di istanza di liquidazione delle somme dovute a tale titolo alla lavoratrice; con ammissione del relativo credito quanto meno alla data del proprio recesso, al cui stato passivo ella era stata ammessa esclusivamente per il credito in via privilegiata di € 46.264,80, a titolo di retribuzioni maturate dal 21 giugno 2012 al 17 settembre 2013 e di € 10.795,12, a titolo di indennità sostitutiva di licenziamento con riguardo al medesimo periodo, oltre interessi e rivalutazione (terzo motivo);

8. anch’esso è fondato;

9. è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, in materia di insinuazione allo stato passivo, il lavoratore abbia legittimazione alla domanda di ammissione per le quote di t.f.r. maturate dopo il 1° gennaio 2007 e non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall’INPS, ai sensi dell’art. 1, comma 755, della legge n. 296 del 2006, poiché il datore di lavoro non è un mero adiectus solutionis causa e non perde quindi la titolarità passiva dell’obbligazione di corrispondere il t.f.r. stesso (Cass. 16 maggio 2018, n. 12009; Cass. 10 settembre 2021, n. 24510; Cass. 11 maggio 2022, n. 14990);

9.1. nel caso di specie, non è stata data prova dell’effettivo versamento datoriale degli importi ad esso relativi al Fondo di Tesoreria presso l’Inps, il cui onere probatorio secondo il principio della cd. “ripartizione”, è a carico dello stesso datore, costituendo fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei suoi confronti, da dimostrarsi, pertanto, da chi lo opponga in eccezione (così, in particolare: Cass. 15 novembre 2017, n. 27014; Cass. 16 maggio 2018, n. 12009, in motivazione, sub p.to 5.3.2).

Sicché, ferma la spettanza del T.f.r. fino alla data del recesso della lavoratrice, deve esserne valutata pure quella in esito all’accertamento, per le ragioni esposte nello scrutinio del precedente motivo, del periodo di eventuale vigenza del rapporto di lavoro (ribadito il principio per il quale, in caso di fallimento del datore di lavoro, ove non vi sia esercizio provvisorio di impresa, il rapporto di lavoro entra in una fase di sospensione, con conseguente venir meno dell’obbligo di corrispondere la retribuzione in difetto dell’esecuzione della prestazione lavorativa, sino a quando il curatore non decida la prosecuzione o lo scioglimento del rapporto, ai sensi dell’art. 72 l. fall. ratione temporis applicabile, nell’esercizio di una facoltà comunque sottoposta al rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi: Cass. 11 gennaio 2018, n. 522; Cass. 28 maggio 2019, n. 14503), di maturazione del T.F.R. in favore della medesima;

10. la ricorrente ha infine dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 96, 99 l. fall., 4, ventiduesimo comma legge n. 92/2012, 55, quarto comma d.lgs. 151/2001, 35, settimo comma d.lgs. 198/2006, 2, secondo comma D.M. 30 gennaio 2007, 1, comma 755 legge n. 296/2006, 2120 c.c., per il rigetto dei motivi dedotti in via subordinata al punto n. 5) del ricorso in opposizione, oggetto della domanda di insinuazione tardiva (quarto motivo);

11. esso è inammissibile;

12. il mezzo difetta di specificità per l’indicazione assolutamente generica del credito insinuato in via tardiva (“I residui importi oggetto della dichiarazione tardiva di credito 24 novembre 2016 non venivano ammessi dal Giudice delegato, in totale assenza di motivazione … ”: al penultimo capoverso di pg. 6 del ricorso) e parimenti ribadita nel quinto motivo del ricorso in opposizione (al punto 5, al penultimo capoverso di pg. 9 del ricorso), nella palese inidoneità del riferimento al lamentato errore “per i motivi tutti dedotti” nei mezzi sopra scrutinati, in riferimento a tale domanda (indicata al punto 5, dalla quinta riga 5 in poi, di pagina 15 del ricorso in opposizione: così all’ultimo capoverso di pg. 20 dell’odierno ricorso);

12.1. giova in proposito ribadire, a fronte di un’approssimazione di riferimenti tale per cui neppure risulta quali crediti siano stati con essa insinuati nel concorso, la delicatezza dell’esame di ammissibilità di un’insinuazione tardiva di crediti, ai fini della verifica che non si tratti di crediti già oggetto della domanda di insinuazione tempestiva: risultando ammissibile la domanda tardiva, che sia diversa per petitum e causa petendi da quella tempestiva, perché il carattere giurisdizionale e decisorio del procedimento di verificazione del passivo esclude che, per il giudicato interno formatosi sull’istanza tempestiva, possa proporsi una nuova insinuazione per un credito, o una parte di esso, che sia stato in precedenza escluso dal passivo (Cass. 10 novembre 2006, n. 24049; Cass. 28 giugno 2012, n. 10882; Cass. 20 febbraio 2020, n. 4506);

13. pertanto il secondo e il terzo motivo di ricorso devono essere accolti, rigettati gli altri; con la cassazione del decreto impugnato in relazione al motivo nei limiti in cui accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Napoli in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Napoli in diversa composizione.