CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 gennaio 2019, n. 2020
Lavoro – Assunzione di manodopera agricola – Accertamento – Presupposto della irregolare iscrizione a ruolo
Rilevato che
la Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 472 del 2013, ribadendo la tardività dei motivi d’opposizione per ragioni formali (essendo decorso il termine previsto dall’art. 617 cod.proc.civ.) e l’infondatezza del motivo relativo alla omessa notifica al debitore dell’avviso di accertamento, nonché la correttezza dell’accertamento operato sulla natura agricola dell’attività svolta e sulla effettiva assunzione di manodopera agricola da parte della società opponente, ha rigettato l’impugnazione proposta da R. M. V. quale legale rapp.te della A. S. S’Anna s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Crotone che aveva rigettato l’opposizione a cartella esattoriale proposta dalla stessa sul presupposto della irregolare iscrizione a ruolo e dell’infondatezza dell’accertamento del servizio ispettivo dell’INPS che aveva appurato un debito contributivo e per somme aggiuntive pari ad euro 46.069,28;
avverso tale sentenza ricorre per cassazione la A. S. S’Anna s.r.l. sulla base di cinque motivi;
l’INPS, anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a. resiste con controricorso; E.T.R. s.p.a. è rimasta intimata;
Considerato che
con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 24 d.lgs.n. 46 del 1999 in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. in quanto la Corte territoriale, reiterando una omissione del primo giudice, non aveva attribuito alcun rilievo alla circostanza che la legale rappresentante della società – come ammesso dagli ispettori – aveva provveduto al versamento dei contributi dovuti presso la gestione commercio, ove era iscritta, per cui tali importi avrebbero dovuto essere sottratti da quelli pretesi in cartella; il secondo motivo rileva la violazione dell’art. 25 d.lgs. n. 46 del 1999 con conseguente vizio di motivazione in quanto l’iscrizione a ruolo era avvenuta dopo la scadenza prevista da tale disposizione;
il terzo motivo deduce nuovamente la violazione dell’art. 24 d.lgs. n. 46 del 1999 per affermata carenza di motivazione circa le somme pretese a titolo di interessi e di sanzioni;
il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 14 della I. n. 689 del 1981 e vizio di motivazione in ragione del fatto che la sentenza impugnata non aveva inteso il senso del motivo consistente nella necessaria estinzione delle sanzioni amministrative in quanto non correttamente accertate e contestate;
il quinto motivo deduce la violazione dell’art. 8 del d. Igs. n. 375 del 1993 avendo la Corte territoriale fondato la decisione, relativa all’espletamento di attività agricola da parte dell’opponete, su dati equivoci e contraddittori, smentiti da quanto emerso in sede di c.t.u., ed esclusivamente tratti dalle risultanze ispettive;
i diversi profili dei motivi, connessi dall’unicità del tema della correttezza giuridica e congruità della motivazione della sentenza sono infondati posto che la sentenza impugnata ha, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte di cassazione, qualificato come opposizione agli atti esecutivi, tardivamente proposta, le ragioni di opposizione relative alla affermata tardività dell’iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 25 d.lgs. n. 46 del 1999, ai vizi di motivazione della cartella riguardanti sia l’omessa indicazione del versamento di contributi presso la gestione commercio per il periodo marzo 2001- gennaio 2002 che le dovute spiegazioni sul calcolo di interessi e sanzioni aggiuntive;
infatti, si è affermato (Cass. n. 21080 del 2015) il principio secondo cui in tema di riscossione mediante iscrizione a ruolo delle entrate non tributarie ai sensi del d.lgs. n. 46 del 1999, la contestazione dell’assoluta indeterminatezza per mancanza di motivazione della cartella di pagamento integra un’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 46 cit., per la cui regolamentazione rinvia alle forme ordinarie, poiché è diretta a far valere un vizio di forma dell’atto esecutivo, sicché, prima dell’inizio dell’esecuzione, l’opposizione va proposta entro il termine di venti giorni decorrente dalla notificazione della cartella che contiene un estratto del ruolo costituente titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 49 del d.P.R. n. 602 del 1973;
correttamente, inoltre, la sentenza impugnata ha rilevato l’inapplicabilità alla fattispecie di riscossione esattoriale di crediti contributivi della violazione dell’art. 14 I. n. 689 del 1981 posto che il procedimento previsto dalla I. n. 689 del 1981 per l’irrogazione delle sanzioni amministrative e i requisiti di legittimità ed efficacia del relativo procedimento, non si estendono alla richiesta di adempimento delle obbligazioni previdenziali (Cass. n. 2132 del 2018);
pure corretta è l’affermazione relativa alla natura delle somme aggiuntive che secondo la giurisprudenza di questa Corte costituisce una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, in funzione del rafforzamento dell’obbligazione contributiva e di predeterminazione legale, con presunzione “iuris et de iure”, del danno cagionato all’ente previdenziale, sicché non è consentita alcuna indagine sull’imputabilità o sulla colpa in ordine all’omissione o al ritardo del pagamento della contribuzione al fine di escludere o ridurre l’obbligo suindicato (Cass. 24358 del 2008), dunque non è dovuta alcuna specifica giustificazione circa la loro applicazione; inoltre, poiché, in tema di riscossione di contributi previdenziali, l’opposizione alla cartella esattoriale introduce un ordinario giudizio di cognizione avente ad oggetto il rapporto previdenziale, deve rilevarsi che a prescindere dalla tardività dell’opposizione, posto che nel caso di specie ciò è effettivamente accaduto, quand’anche fosse intervenuta la decadenza per tardiva iscrizione a ruolo dei crediti, ciò non potrebbe produrre alcun effetto sull’accertamento dell’obbligo giacché l’INPS, pur non potendo più avvalersi del suddetto titolo esecutivo, può sempre chiedere la condanna al corrispondente adempimento nel medesimo giudizio, senza mutare la domanda (Cass. n. 3486 del 2016);
la Corte territoriale, inoltre, ha preso atto della affermazione della opponente relativa all’adempimento dell’obbligo contributivo ma ha rilevato che di ciò non vi era alcuna prova;
quanto al profilo di censura relativo alla violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 375 del 1993, posto che non si è riconosciuto il carattere di azienda direttocoltivatrice, mezzadrile o colonica della ricorrente, va osservato che il motivo addotto quale vizio di violazione di legge, in realtà, prospetta una errata valutazione del quadro probatorio acquisito e non una inesatta interpretazione della norma; tuttavia, alla sentenza impugnata non può rivolgersi tale censura posto che la stessa ha proceduto ad un vaglio critico del contenuto e delle specifiche contestazioni del verbale ispettivo dalle quali emergeva la sussistenza di una impresa agricola non a conduzione familiare giacché l’assunzione della manodopera agricola risultava addirittura ammessa ed il fabbisogno accertato attraverso c.t.u.; dunque, risulta rispettato il principio espresso da questa Corte di cassazione secondo il quale nel giudizio promosso dal contribuente per l’accertamento negativo del credito previdenziale, incombe all’INPS l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva, che l’Istituto fondi su rapporto ispettivo ed a tal fine, il rapporto ispettivo dei funzionari dell’ente previdenziale, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine (in particolare, mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi), restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori (Cass, 14965 del 2012); in definitiva, il ricorso è infondato e deve essere rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura liquidata in dispositivo;
l’esito del giudizio costituisce il presupposto per la affermazione della sussistenza dell’obbligo di pagamento dell’ulteriore importo previsto a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in favore dell’INPS nella misura di Euro 3500,00 per compensi, oltre ad Euro 200 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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