CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2018, n. 16625
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Redditometro – Dichiarazione dei redditi – Maggior reddito – Prova a carico del contribuente
Ritenuto in fatto
S.B. ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Lombardia, n. 5205/33/16 dep. 11.10.16, che in controversia su impugnazione di avviso di accertamento sintetico, ex art. 38 comma 4 d.p.r. 600/73, per Irpef anno 2008, ha respinto l’appello del contribuente, confermando la sentenza di primo grado. La CTR, dichiarati inammissibili, in quanto nuovi, i motivi aggiunti con la memoria illustrativa, ha rigettato nel merito l’appello del contribuente, ritenendo che egli non avesse fornito la prova, della quale aveva l’onere, di “fornire documentazione attestante il percepimento di risorse patrimoniali e finanziarie non soggette a dichiarazione ma anche il loro utilizzo nell’anno d’imposta soggetto a verifica”.
L’Agenzia delle entrate si costituisce con controricorso.
Considerato in diritto
1. Col primo motivo si deduce violazione di legge, art. 38 co. 4 ex art. 2697, 2728, 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la CTR, in relazione ad accertamento basato sul c.d. redditometro, ritenuto sussistere una presunzione legale di maggior reddito con onere della prova a carico del contribuente;
2. Col secondo motivo si deduce violazione di legge, per violazione dell’art. 38 ex art. 2697 c.c., per avere la CTR male valutato il contenuto dell’onere della prova a carico del contribuente, ritenendo sussistere sia l’onere di provare la disponibilità di risorse finanziarie sia il loro utilizzo.
3. Gli anzidetti motivi sono infondati, in quanto, per principio consolidato, in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi dell’art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973, (applicabile “ratione temporis”), è onerato della prova contraria in ordine sia alla disponibilità di detti redditi che all’entità degli stessi ed alla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (Cass. n. 1510 del 20/01/2017). Va in tal senso rettificata la motivazione della sentenza della CTR.
Quanto alla natura del redditometro (motivo 1) questa Corte ha affermato che qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’art. 38, sesto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato): Cass. n. 17487 del 01/09/2016, n. 6813 del 20/03/2009.
Quanto all’onere della prova (motivo 2) la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto esenti o soggetti a ritenute alla fonte, ma anche la documentazione di circostanze sintomatiche che ne denotano l’utilizzo per effettuare le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso (Cass. n. 7389 del 23/03/2018; n. 1510 del 20/01/2017 cit.).
Col terzo motivo si deduce violazione di legge in tema di sanzioni, art. 1 comma 2, d.lgs. 471/97 e art. 3 comma 3 d.lgs. 472/97, per mancata riduzione della sanzioni, in violazione del principio del favor rei.
5. Sul tema questa Corte, con principio qui condiviso (n. 9505 del 12/04/2017, n. 28061 del 24/11/2017), ha statuito che le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015, in tema di sanzioni tributarie, non operano in maniera generalizzata in “favor rei”, rendendo la sanzione irrogata illegale, dovendosi conseguentemente escludere che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno “ius superveniens” più favorevole, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non solo in ragione della necessaria specificità dei motivi di ricorso ma, soprattutto, per il principio costituzionale di ragionevole durata del processo.
Al rigetto del ricorso consegue, per il principio di soccombenza, la condanna al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo. Ai sensi dall’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore dell’Agenzia delle entrate, in €. 5.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dall’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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