CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 ottobre 2021, n. 30118
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico – Redditometro – Indici di capacità contributiva – Acquisto di un immobile – Conto corrente cointestato con un familiare – Imputazione prò quota del saldo attivo – Presunzione
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio l’1 ottobre 2018 n. 6578/11/2018, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per l’IRPEF relativa all’anno 2008, ha rigettato l’appello proposto in via principale dalla medesima ed ha accolto l’appello proposto in via incidentale da B.P. avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma col n. 24680/39/2016, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure, sul presupposto che le somme depositate sul conto corrente cointestato alla madre della contribuente – e reimpiegate nell’acquisto di un immobile – costituissero il frutto di risparmi derivanti dalle retribuzioni percepite da quest’ultima per il lavoro prestato alle dipendenze del Ministero degli Esteri.
B.P. si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Considerato che
Con unico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 38, commi 4 e 6, del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la cointestazione con la madre del conto corrente non bastasse a far presumere l’appartenenza prò quota della somma utilizzata per il pagamento del prezzo dovuto per l’acquisto dell’immobile.
Ritenuto che
1. Il motivo è fondato.
1.1. Come è noto, il metodo di accertamento sintetico del reddito delineato dall’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 – nella versione, applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma introdotta con il D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010 n. 122 – consente di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi, e delle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (c.d. “spese per incrementi patrimoniali”), sostenute per incrementare in modo durevole il patrimonio, prevedendo in tal caso una presunzione di imputabilità del reddito, in quote costanti, all’anno in cui la spesa è stata effettuata ed ai quattro precedenti, introducendo una disciplina di favore, adottata in base all’id quod plerumque accidit, ossia al fatto che la capacità di effettuare una determinata spesa ben può attribuirsi non al reddito prodotto nello stesso anno d’imposta cui l’accertamento si riferisce, bensì alla disponibilità di capitale accumulato negli anni precedenti (Cass., Sez. 5^, 29 maggio 2020, n. 10245; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2021, n. 1554).
1.2 Si tratta, dunque, di una forma di accertamento sintetico attraverso il quale il reddito viene determinato senza conoscerne le fonti di produzione, sulla base dell’impiego che il contribuente ne faccia per consumi e investimenti personali. Tale sistema valorizza il rapporto di connessione tra la spesa e il reddito sulla scorta della regola di comune esperienza per la quale il contribuente impronta il proprio comportamento alla normale prudenza, con la conseguenza che ogni sua spesa postula un preventivo incremento patrimoniale e, quindi, un reddito adeguato (Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2021, n. 1554).
1.3 L’accertamento redditometrico si distingue, tuttavia, dalle altre metodologie di accertamento sintetico (come, ad esempio, quello condotto mediante parametri e studi di settore) perché, a differenza di queste – che si fondano su presunzioni semplici in ragione delle quali l’amministrazione finanziaria è tenuta a motivare il nesso tra spesa e reddito per poi procedere alla stima di quest’ultimo – è basato su un rapporto inferenziale tra fatto noto e fatto ignorato direttamente stabilito dalla fonte normativa. Tali schemi presuntivi, che una parte della dottrina denomina “predeterminazioni”, assimilandole, dal punto di vista del regime giuridico, alle presunzioni legali, sono ricondotte dalla prevalente giurisprudenza di legittimità nel paradigma dell’art. 2728 cod. civ. In tale prospettiva ermeneutica si pongono le pronunce che affermano che l’accertamento redditometrico si fonda su presunzioni di capacità contributiva legali, imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto certo della disponibilità di determinati beni e servizi l’esistenza di una capacità contributiva, di guisa che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’amministrazione finanziaria, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto, valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché – già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (tra le tante: Cass., Sez. 5A, 29 ottobre 2012, n. 18604; Cass., Sez. 6A-5, 10 agosto 2016, n. 16912; Cass.. Sez. 5A, 19 luglio 2017, n. 17793; Cass., Sez. 5^, 31 ottobre 2018, n. 27811).
Per un verso, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore si fonda su un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è predeterminata ex lege dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività di soggetti costituenti gruppi omogenei, ma sorge solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; per altro verso, la formulazione dell’art. 38, comma 4, del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, nella versione nella specie applicabile ratione temporis – a mente del quale, «con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto» – e dei decreti ministeriali di attuazione del redditometro – in cui sono elencati gli elementi patrimoniali sintomatici della capacità contributiva e fissati i coefficienti di trasformazione in reddito delle spese necessarie al relativo mantenimento – non consente al giudice di escludere l’attitudine degli specifici indicatori previsti dalla fonte regolamentare a fondare una presunzione di capacità contributiva. Invero, la gravità, la precisione e la concordanza dei fatti, fondanti la presunzione redditometrica, selezionati dal legislatore è predeterminata ope legis dalla fonte regolamentare, prescrivendo l’art. 38, comma 4, del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, che il decreto ministeriale stabilisca «le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente» il maggior reddito in relazione a detti indici.
1.4 Ne consegue che sull’amministrazione finanziaria grava il solo onere di dimostrare l’esistenza dei fatti ritenuti ex lege indicativi di capacità contributiva, essendo esonerata dal compiere un’attività di ricostruttiva e di quantificazione del reddito che potrebbe giustificarli. Si è, dunque, al cospetto di un meccanismo presuntivo strutturalmente e funzionalmente sovrapponibile al paradigma della presunzione legale relativa, la quale, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, si distingue dalla presunzione semplice in ordine al modo di insorgenza, perché, mentre il fatto sul quale si fonda la prima deve essere provato in giudizio e il relativo onere grava su colui che intende trarne vantaggio, la seconda è stabilita dalla legge e, quindi, non abbisogna della dimostrazione di un fatto sul quale possa fondarsi e giustificarsi e comporta un’inversione dell’onere della prova a carico di colui contro il quale depone, onere che può essere assolto anche mediante presunzioni semplici (Cass., Sez. 6^-5, 3 marzo 2016, n. 4241).
1.5 Circa l’estensione dell’oggetto della prova gravante sul contribuente, questa Corte ha precisato che, affinché possa ritenersi vinta la presunzione l’accertamento sintetico, è necessario dimostrare non solo il possesso di redditi esclusi dalla tassazione, ma anche che la spesa sia stata sostenuta proprio con tali redditi, anche mediante la produzione di documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (tra le tante: Cass., Sez. 5A, 20 gennaio 2017, n. 1510; Cass., Sez. 5^, 4 agosto 2020, n. 16637; Cass., Sez. 5A, 26 gennaio 2021, n. 1554; Cass., Sez. 6A-5, 17 febbraio 2021, n. 4122). Le pronunce richiamate muovono dall’assunto, condiviso da questo collegio, per il quale il contenuto indefettibile della prova gravante sul contribuente comprende la dimostrazione tanto della concreta ed effettiva disponibilità di un reddito esente o comunque soggetto a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, quanto dell’entità dello stesso e della durata del relativo possesso. In tal senso deve, invero, essere letto lo specifico riferimento, contenuto nell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, nella versione applicabile ratione temporis, alla prova, risultante da «idonea documentazione», dell’«entità» di tali eventuali ulteriori redditi e della «durata» del relativo possesso, previsione che ha la finalità di ancorare a fatti oggettivi di tipo quantitativo e temporale la riferibilità ai medesimi redditi della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico (tra le tante: Cass. Sez. 5^, 20 gennaio 2017, n. 1510; Cass., Sez. 5^, 26 settembre 2019, n. 24030; Cass., Sez. 5A, 29 maggio 2020, n. 10245).
1.6 Nella specie, il giudice di appello non si è attenuto al principio enunciato, avendo ritenuto che la prova documentale – attraverso la produzione degli estratti conto – della consistenza finale della provvista utilizzata per l’acquisto immobiliare, senza che fossero anche dimostrate la formazione progressiva e la provenienza unilaterale di tale disponibilità, fosse sufficiente ad escludere che la cointestazione del conto corrente con la madre della contribuente valesse a presumerne l’imputazione prò quota del saldo attivo a favore di quest’ultima.
2. Valutandosi la fondatezza del motivo dedotto, dunque, il ricorso può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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