CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2018, n. 17161
Tributi – Accertamento – Operazioni soggettivamente inesistenti – Società “cartiere” – Diligenza del cessionario – Presunzione di consapevolezza del cessionario – Elementi indizari – Assenza di struttura e di dipendenti
Rilevato che
– Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche (in seguito, CTR) veniva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e, per l’effetto, confermata la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Macerata (in seguito, CTP) n.4/03/2010, avente ad oggetto l’impugnazione di tre avvisi di accertamento IVA, IRES e IRAP con cui venivano rettificate le dichiarazioni relative agli anni di imposta 2003, 2004 e 2005, per indebite detrazioni in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti e partecipazione ad una frode carosello; infine, veniva contestata l’indetraibililtà di determinati costi ai sensi dell’art.14 comma 4 bis I. n. 537/1993;
– In particolare, gli avvisi di accertamento traevano origine da due processi verbali di constatazione del 2006 e 2007, contro cui la A. S.R.L. (in seguito, la contribuente) proponeva un unico ricorso avanti alla CTP, deducendo l’effettiva esistenza degli importatori e delle operazioni di compravendita delle autovetture dall’estero e, comunque, invocando la propria buona fede; resisteva l’Agenzia;
– Il ricorso veniva accolto dalla CTP, avendo i giudici di primo grado ritenuto che le operazioni di compravendita intercorse tra la contribuente e le sue danti causa fossero effettive, mancasse la consapevolezza da parte della contribuente della qualità di cartiere in capo alle stesse, oltre che la detraibilità dei costi in contestazione; a ripresa veniva abbandonata dall’Agenzia a seguito del proscioglimento da parte dei Tribunale di Camerino del legale rappresentante della società dal procedimento penale originato dai medesimi fatti, mentre sui restanti capi di soccombenza veniva proposto appello, rigettato dalla CTR per ritenuta assenza di prova della partecipazione della contribuente alla frode carosello;
– Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione l’Agenzia affidato a due motivi, cui replica la contribuente con controricorso e depositando memoria.
Ritenuto che
– Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibiltà sollevata dalla contribuente, non essendo rinvenibile nel ricorso alcuna strumentale richiesta di rivalutazione del merito preclusa in sede di legittimità, ma una corretta articolazione delle doglianze in motivi ex art.360 c.p.c. miranti a colpire la sentenza per specifiche violazione di legge e vizi motivazionali, con le precisazioni che seguono;
– Con il primo motivo di ricorso, si censura, ai fini dell’art. 360 comma 1° n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 comma 1° e 54 comma 2° del D.P.R. n. 633/72, dell’art. 2729 c.c. nonché dei principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia 12 gennaio 2006 rese nelle cause C-354/03, C-355/03 e C-484/03, e 6 luglio 2006 rese nelle cause C-439/04, C-440/04, per aver la CTR richiesto all’Amministrazione, tra l’altro, la prova di un “comportamento consapevole da parte della società A. S.r.l. che possa considerarsi partecipativo con le obiettive attività antigiuridiche”, oltre che aver indebitamente richiamato l’art.14 comma 4 bis della I. n.537/1993 in assenza di appello sul capo della sentenza di primo grado sull’indeducibilità dei costi reato;
– Premesso che è pacifico il mancato appello dell’Agenzia circa la statuizione della CTP sull’indeducibilità dei costi-reato e osservato che conseguentemente, la statuizione della CTR ha indebitamente richiamato l’art.14 comma 4 bis della l. n. 537/1993, la Corte rammenta che, ove l’Amministrazione, come nel caso di specie, contesti l’insorgenza del diritto di detrazione, al cospetto dell’esistenza delle condizioni formali di esercizio, essenzialmente fatture regolarmente redatte emesse da società iscritta nel registro delle imprese e dotata di numero d’identificazione fiscale quale soggetto passivo (Corte giust. 14 marzo 2013, causa C- 527/11, Valsts ienémumu dienests c.Ablessio SIA, § 29), è onerata della prova del fatto che almeno uno dei presupposti sostanziali, di norma quello concernente la soggettività passiva del cedente, non sussista; -A questo proposito, la Corte di giustizia non ha ritenuto sufficiente, al fine di escludere la qualità di soggetto passivo, la presenza di un compendio di circostanze che inducevano ad affermarne l’inesistenza in base al diritto nazionale applicabile, tra cui: le condizioni fatiscenti dell’immobile ove era posta la sede sociale, l’impossibilità di stabilire un contatto, la mancanza delle autorizzazioni necessarie all’esercizio della specifica attività d’impresa, l’omissione delle dichiarazioni fiscali ed il mancato pagamento dell’Iva.
La Corte, in quel caso, ha ravvisato la realizzazione effettiva dell’operazione imponibile, facendo leva, sul piano sostanziale, sul fatto che la cessionaria “ha effettivamente ricevuto e pagato i beni in questione, ossia il carburante, indicati nelle fatture emesse dalla F. e che essa ha utilizzato tali beni a valle ai fini delle sue operazioni gravate da imposta”;
– Inoltre, su di un piano formale, la Corte del Lussemburgo ha fatto aggio sulla circostanza che le fatture di cui era in possesso il cessionario fossero rispondenti alle prescrizioni dell’art. 22, paragrafo 3, lettera b) della VI direttiva, in quanto “indicavano, conformemente a detta disposizione, segnatamente la natura dei beni ceduti e l’importo dell’IVA dovuta, nonché il nome della F., il suo numero d’identificazione fiscale e l’indirizzo della sua sede sociale” (Corte giust. 22 ottobre 2015, in causa C-277/14, par. 30 e 42). Conseguentemente, la Corte di Giustizia ha affermato il principio secondo il quale “le disposizioni della sesta direttiva 77/388/ CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2002/38/CE del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”;
– Orbene, l’esercizio “fraudolento” del diritto di detrazione è nondimeno riscontrabile qualora, pur sussistendo tutti i presupposti sostanziali del diritto di detrazione ed al cospetto delle condizioni formali per il suo esercizio, si configuri l’evasione fiscale di colui che invochi il diritto di detrazione, oppure del suo fornitore diretto, oppure ancora di uno dei fornitori nella catena delle cessioni o delle prestazioni; infatti, il soggetto che emette fattura è, quanto meno formalmente, il fornitore effettivo, ma l’operazione si iscrive – per quanto riguarda quel trasferimento o per quanto concerne i passaggi precedenti – in una combinazione negoziale fraudolenta di cui l’acquirente era o partecipe o consapevole e che contempla l’avvalimento in vario modo da parte dei cessionari successivi del non versamento dell’IVA da parte di un cedente. In questi casi, l’onere probatorio dell’amministrazione finisce con l’appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o che disponga dei relativi documenti (Corte giust. in causa C- 277/14, par. 52);
– Siffatto obbligo di verifica, tuttavia, si prospetta in capo al cessionario a fronte di determinati indizi che gli consentano di sospettare l’esistenza appunto di irregolarità o di evasione, allegati e provati dall’amministrazione in base ad elementi oggettivi, anche presuntivi (Cass. 24 settembre 2014, n. 20059; 2 luglio 2014, n. 15044). Al riguardo, per orientare il giudizio, questa Corte valorizza, con orientamento consolidato (Cass. 5 dicembre 2014, n. 25778; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24426; Cass. 13 marzo 2013, n. 6229), l’immediatezza dei rapporti tra cedente e cessionario come utile elemento sintomatico capace di consentire al secondo di rendersi conto o, almeno, di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione. Si tratta di un tipico accertamento di fatto demandato al giudice di merito, come rimarcato dalla stessa Corte di giustizia nella causa C-277/14;
– È sotto questo profilo che la cesura è fondata, in quanto la CTR ha recisamente ritenuti “indimostrati i rapporti ed i comportamenti consapevolmente collusivi” come si legge a pag. 2 della sentenza, ma non ha verificato se la cessionaria fosse in condizioni di rendersi conto dell’esistenza del meccanismo allestito dalle cedenti delle autovetture importate da Stato comunitario; nel dettaglio numerose sono le circostanze indiziarie del fatto che i cedenti fossero mere cartiere, evincibili dall’avviso di accertamento riportato in ricorso a sostegno dell’autosufficienza, il quale si riporta a sua volta alle risultanze del processo verbale di constatazione mai specificamente contestate: le società interposte non solo non avevano presentato la prescritta dichiarazione IVA, versato l’imposta, e presentato dichiarazione dei redditi per anni, ma mancavano anche di struttura operativa presso la sede, non avevano dipendenti, la documentazione contabile era introvabile; tali elementi dovevano essere presi in considerazione dal giudice di appello, considerato che la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativa alla diversa operazione effettivamente realizzata tra altri soggetti: da ultimo, Cass. 7 ottobre 2015, n. 20060;
– La fattispecie così ricostruita, si armonizza con la più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, pure nell’ambito di una frode carosello quali sono quelle in contestazione, in cui le operazioni sono sempre effettive, l’Amministrazione ha l’onere di provare solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ossia la sua non operatività, oltre che la consapevolezza del destinatario di essere parte di un’evasione, anche in via presuntiva in quanto avrebbe dovuto conoscere l’inesistenza del contraente, dovendo poi provare il contribuente di aver rispettato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo ragionevolezza e proporzionalità, essendo irrilevante la regolare contabilità, la regolarità dei pagamenti, e anche la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. 20 aprile 2018 n.9851; Cass. 21 aprile 2017 n. 10120);
– La censura va in conseguenza accolta, col conseguente assorbimento del secondo motivo di ricorso, col quale la ricorrente si duole, in via subordinata ed eventuale, del vizio motivazionale in relazione alla medesima ratio decidendi;
– In conclusione, in accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo, la sentenza dev’essere cassata con rinvio alla CTR, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo accolto, oltre che per il regolamento delle spese di lite.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale delle Marche, in diversa composizione, in ordine al profilo accolto, ed anche per il regolamento delle spese di lite.
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