CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 dicembre 2021, n. 41884
Cessione del ramo d’azienda – Mancato adempimento dell’ordine di reintegrazione – Risarcimento
Fatti di causa
La Corte di appello di Bologna con la sentenza n. 936/2015 aveva rigettato l’appello proposto da T.I. spa avverso la decisione con cui il locale tribunale aveva respinto l’opposizione alla ingiunzione di pagamento ottenuta da C.C. in danno di T.I. spa, relativa alle retribuzioni dallo stesso maturate per il periodo 31.12.2011/30.6.2012, sul presupposto della illegittimità della cessione del ramo di azienda da T. spa a H.P.D.
La corte territoriale, per quel che in questa sede interessa, dopo aver valutato illegittimo il trasferimento d’azienda per difetto dei presupposti di cui all’art. 2112 c.c., aveva ritenuto che, pur avendo il lavoratore prestato l’attività di lavoro nei confronti della “cessionaria”, la società T. fosse comunque tenuta all’obbligo risarcitorio conseguente al mancato adempimento dell’ordine di reintegrazione, avendo, il lavoratore, cessato il rapporto con la cessionaria nell’aprile 2006.
Avverso detta statuizione T.I. spa proponeva ricorso affidato a 4 motivi cui resisteva con controricorso C.C.
Era depositata successiva memoria del controricorrente.
Ragioni della decisione
1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 345 c.p.c. ( in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.), con riferimento alla contraddizione tra le allegazioni nel ricorso, sulla circostanza che il C. continuasse a lavorare presso la cessionaria, e quanto allegato in memoria circa la cessazione della prestazione all’aprile 2006.
Lamenta come la corte abbia deciso sul punto dando rilievo a documenti e allegazioni introdotte solo con memoria e dunque tardive e inammissibili. Rileva che il lavoratore nella memoria in sede di ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo, aveva dichiarato che il rapporto era ancora esistente. Tale circostanza era dunque da ritenersi pacifica e pertanto la allegazione circa la cessazione risultava essere nuova.
La doglianza deve ritenersi inammissibile poiché, richiedendo una valutazione sulla tardività della allegazione e novità della stessa in sede di appello, avrebbe dovuto essere corredata da specifiche indicazioni circa il quando e il come siffatta, allegazione era stata introdotta nel processo. La carenza individuata rende il motivo privo di necessaria specificazione poiché non consente l’esame richiesto.
2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e art. 2126 c.c.(in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.) per il mancato rilievo da attribuirsi agli “effetti” della cessazione del rapporto nel 2006 con la cessionaria, anche sul rapporto con T.
3) Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo quale la cessazione del rapporto di lavoro al 2006 per adesione alla mobilità volontaria.
I due motivi, da trattare congiuntamente, sono inammissibili in primo luogo perché introducono elementi di novità ( adesione alla mobilità volontaria), non trattati dalla corte di appello senza allegare, eventualmente, dove e come fossero già presenti nel processo. Peraltro, argomento non secondario, entrambe le censure non si sono confrontate con la statuizione della corte di merito ( pg 5 sentenza), sulla esistenza della sentenza della corte di appello di Bologna ( n. 1010/2011), passata in giudicato, attestativa dell’inadempimento di T. di reintegrazione del lavoratore ceduto illegittimamente, e del suo diritto al risarcimento del danno subito.
Le attuali censure risultano non considerare tali statuizioni e non colgono il decisum effettivo del provvedimento in questa sede impugnato.
4) L’ultimo motivo lamenta la violazione degli artt. 1206, 1207, 1223 c.c. in relazione all’art. 360 co.l n. 3 c.p.c.. Rileva che la messa a disposizione della prestazione di lavoro ( novembre 2011) non poteva essere fatta perché il lavoratore era dipendente da HP.
Il motivo oltre ad essere inammissibile poiché basato su circostanza di fatto non veritiera ( il rapporto con HP , come sopra evidenziato, è cessato nell’aprile 2006), è anche infondato alla luce dei principi enunciati da questa Corte secondo cui “In tema di cessione di ramo di azienda, ove ne venga accertata l’illegittimità, permane in capo al datore cedente, che, nonostante l’offerta della prestazione, non abbia ottemperato al comando giudiziale di ripristino del rapporto lavorativo, giuridicamente rimasto in vita, l’obbligo di pagamento delle retribuzioni; sancita la natura retributiva e non risarcitoria delle somme da erogarsi ai lavoratori da parte del cedente inadempiente, non trova applicazione il principio della “compensatio lucri cum damno” su cui si fonda la detraibilità di quanto altrimenti percepito ” (Cass.n. 21158/2019; Cass. SU n. 2990/2018).
Per le esposte ragioni, il ricorso deve essere rigettato.
Il recente assestamento degli orientamenti in materia determina la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
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