CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8919
Rapporto di lavoro – Procedura di riduzione di personale – Lavoratori collocati in mobilità – Indennità
Rilevato che
1. con sentenza del 3 aprile 2013, la Corte di Appello di Milano confermava la decisione del Tribunale in sede di accoglimento della domanda proposta da C.M.H.B. nei confronti dell’INPS intesa ad accertare il diritto di esso ricorrente ad essere iscritto nella lista regionale di mobilità per il periodo massimo di 24 mesi decorrenti dall’8 aprile 2009 con condanna dell’istituto al pagamento della relativa indennità;
2. la Corte territoriale, per quello ancora di rilievo in questa sede, osservava: che il B. era stato licenziato il 31.1.2009 all’esito di una procedura di riduzione di personale effettuata dalla M. Italia s.p.a., datrice di lavoro, con un preavviso di due mesi non lavorato avendo la società pagato la relativa indennità sostitutiva; che aveva compiuto i quaranta anni di età il 5 marzo 2009 ed era stato iscritto nelle liste di mobilità l’8 aprile 2009; che era rilevante il compimento del quarantesimo anno di età prima della data di iscrizione nelle liste di mobilità non potendosi condividere l’assunto dell’istituto secondo cui per determinare se era dovuta l’indennità per 12 o 24 mesi occorreva verificare l’età alla data di cessazione del rapporto, nel caso in esame avvenuta il 31 gennaio 2009 con il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso; ed infatti, in mancanza di una disciplina specifica, occorreva applicare il disposto dell’art. 73, comma 3, del R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827 secondo cui «Qualora all’assicurato sia pagata una indennità per mancato preavviso, l’indennità è corrisposta dall’ottavo giorno successivo a quello della scadenza del periodo corrispondente alla indennità per mancato preavviso ragguagliata a giornate>> con la conseguenza, sia pure in via interpretativa, che i diritti riconosciuti dall’art. 7 L. 223/1991 cit. decorrevano solo dalla iscrizione nelle liste di mobilità ed era a tale data che occorreva far riferimento per la valutazione dei requisiti per il suo riconoscimento;
3. per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’INPS affidato ad un unico motivo illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ. cui resiste il B. con controricorso; il Procuratore Generale ha depositato requisitoria concludendo per il rigetto del ricorso;
Considerato che
4. con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4, comma 9, 6, comma 1, 7 commi 1 prima parte e 12, 16, comma 1, 24, comma 1, della legge 23 luglio 1991 n. 223 nonché 73, comma 2, del R.D.L. n. 1827/1935 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) in quanto dal complesso delle predette disposizioni si evince che è il licenziamento il fatto oggettivo costituente il presupposto dell’inserimento del lavoratore nella lista di mobilità e, quindi, è alla data dello stesso cui occorre far riferimento per verificare i requisiti personali per la durata dell’indennità;
5. il motivo è fondato. L’art. 4, comma 1, della L. n.223/1991 prevede che «I. L’impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all’articolo I ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare le procedure di mobilità ai sensi del presente articolo»; il successivo comma 9 dello stesso articolo prevede che «9. Raggiunto l’accordo sindacale ovvero esaurita la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, l’impresa ha facoltà di collocare in mobilità gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso». L’art. 7, comma 1, della legge in esame dispone che «1. I lavoratori collocati in mobilità ai sensi dell’articolo 4, che siano in possesso dei requisiti di cui all’articolo 16, comma 1, hanno diritto ad una indennità per un periodo massimo di dodici mesi, elevato a ventiquattro per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a trentasei per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta anni». L’art. 16, comma 1, prevede che « Nel caso di disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione di personale ai sensi dell’art. 24 da parte delle imprese, diverse da quelle edili rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale il lavoratore [omissis] qualora possa far valere una anzianità aziendale di almeno dodici mesi di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato [omissis] ha diritto alla indennità di mobilità ai sensi dell’art. 7.»
Dal complesso di tali disposizioni è evidente che è il licenziamento, ovvero il collocamento in mobilità, il fatto costituente il presupposto per l’inserimento del lavoratore nella lista di mobilità e, dunque, è a questo fatto oggettivo che occorre fa riferimento per determinare la ricorrenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla normativa.
Questa Corte ha, inoltre, precisato che « L’art. 7, primo comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223, il quale dispone che “i lavoratori collocati in mobilità ai sensi dell’art. 4 della stessa legge, che siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 16, primo comma, hanno diritto ad un’indennità per un periodo massimo di dodici mesi, elevato a ventiquattro per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a trentasei per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta anni”, va interpretato nel senso che il requisito dell’età, ai fini della insorgenza del diritto alla elevazione del periodo di godimento del beneficio di cui si tratta, deve essere posseduto alla data in cui si perfeziona il diritto al conseguimento della indennità di mobilità, non essendo, invece, rilevante la maturazione dello stesso requisito in costanza di prestazione.
L’elevazione del periodo di godimento del beneficio in questione rappresenta, infatti, una deroga alla regola generale in ordine alla durata dello stesso, come tale insuscettibile di applicazione al di fuori dei casi esplicitamente previsti, secondo il principio dettato dall’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale.» (Cass. n. 8657 del 29/05/2003; Cass. 82 del 05/01/2001 (Rv. 542956 – 01). E’ stato infatti osservato come la concessione o l’ampliamento di un beneficio in funzione di requisiti personali suscettibili di evoluzione nel tempo deve ragionevolmente essere ancorata una data certa, quale è appunto quella della collocazione in mobilità conseguente ad un atto del datore di lavoro adottato in esito ad una ben determinata scansione procedimentale e temporale, e non può essere differito ad un momento successivo, attribuendo all’inequivoca espressione “hanno compiuto”, il significato ambivalente “hanno compiuto o compiano in costanza di erogazione del beneficio”, con la sostituzione di una norma diversa, sol perché ritenuta più equa, a quella che regola in modo chiaro e completo la fattispecie.
Vale a questo punto ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, superando il diverso orientamento che assegnava al preavviso di recesso efficacia reale, è ormai costantemente orientata nel senso che alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 cod. civ., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale, che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine, ma efficacia obbligatoria, con la conseguenza che nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso ( v. fra le altre Cass. n. 13988 del 06/06/2017); applicando tali principi al caso in esame può affermarsi che il periodo di preavviso non lavorato non può essere computato ai fini del raggiungimento del requisito dei quaranta anni per la determinazione della durata della indennità di mobilità. Né, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, tale principio è messo in forse dalla disposizione di cui all’art. 73 del RDL n. 1827 del 1935, in tema di indennità di disoccupazione;
6. pertanto, alla luce quanto esposto, poiché nel caso di specie è pacifico che alla data del licenziamento, il 31 gennaio 2009, l’ odierno controricorrente non aveva ancora compiuto i quaranta anni di età, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza va cassata con decisione nel merito – ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – e con il rigetto della originaria domanda;
7. le spese relative ai gradi di merito vanno compensate tra le parti in considerazione del diverso esito rispetto a quello finale, mentre quelle relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore dell’INPS;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; compensa tra le parti le spese relative ai gradi di merito e condanna B.H.M.C. alle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
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