CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 maggio 2022, n. 17241
Tributi – IRPEF – Indennità percepite a seguito di transazione novativa con il proprio datore di lavoro – Tassazione separata – Cartella di pagamento – Rettifica importo in favore del contribuente
Rilevato che
1. R.P. impugnava, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, la cartella di pagamento n. 097-2013-0289686123000, riguardante due distinti ruoli, uno riferito all’imposta derivante dall’assoggettamento a tassazione separata di emolumenti percepiti a seguito di transazione novativa con il datore di lavoro C.S. s.r.l., ed un secondo relativo alla TARSU per il periodo d’imposta 2008. L’impugnazione riguardava solo il primo dei suddetti ruoli.
La C.T.P. di Roma, con sentenza n. 16334/20/2015, depositata il 16 luglio 2015, accoglieva il ricorso del contribuente, ritenendo che la somma di € 200.000,00, versata in favore del P. al netto della ritenuta d’acconto di € 50.000,00, dovesse potesse essere qualificata non come indennità di fine rapporto, e quindi soggetta ad imposizione ex art. 19, comma 1, T.U.I.R., bensì come rientrante tra le “altre indennità” ex art. 17, comma 1, lett. a), T.U.I.R.
Avverso tale sentenza interponeva appello l’Ufficio, e la C.T.R. del Lazio – sede di Roma, con sentenza n. 1397/15/2017, depositata il 16 marzo 2016, accoglieva l’appello e dichiarava in parte qua legittima la cartella di pagamento impugnata.
Riteneva, in particolare, la C.T.R. che l’Ufficio, pur ridimensionando il reddito di riferimento, in base alla decorrenza dell’emolumento come stabilito dal Tribunale di Roma, aveva provveduto ad inquadrare la somma in questione proprio tra le “altre indennità” ex art. 17, comma 1, lett. a), T.U.I.R., e che essa era stata sottoposta a tassazione separata, secondo quanto previsto dall’art. 19, comma 2, T.U.I.R.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente R.P., sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
3. La discussione del ricorso è stata quindi fissata per la camera di consiglio del 21 aprile 2022, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1 cod. proc. civ., come introdotti dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
4. Con il primo motivo di ricorso il contribuente eccepisce la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente e conseguente violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., e 36, comma 2, num. 4), d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., in quanto la C.T.R., nell’accogliere l’appello, si era limitata a ricopiare gli assunti contenuti nell’atto di appello dell’Ufficio, accedendo acriticamente alla tesi difensiva dell’Agenzia.
Con il secondo motivo di ricorso il P. eccepisce, ancora, la nullità della sentenza impugnata, per inesistenza della motivazione e conseguente violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost. e 36, comma 2, num. 4), d.lgs. n. 546/1992, in relazione agli artt. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., in quanto la C.T.R., nello sposare acriticamente le ragioni dell’Ufficio, aveva concluso nel senso che “L’appello proposto dall’Ufficio deve essere accolto e la cartella di pagamento deve essere confermata”, nonostante l’Ufficio stesso avesse concluso chiedendo alla C.T.R. di “riformare la pronuncia nei termini rappresentati dal gravame (…)”, termini che prevedevano una riduzione della richiesta portata dalla cartella, a seguito della rettifica della data di inizio del rapporto di lavoro (15 luglio 1994, anziché 1° marzo 2008, come indicato dal sostituto d’imposta).
Con il terzo motivo di ricorso il contribuente eccepisce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), 4) e 5), cod. proc. civ., per avere l’Ufficio formulato, in sede di appello, delle domande nuove, posto che, mentre nelle controdeduzioni in primo grado aveva dichiarato che l’emolumento in questione fosse da qualificare “come saldo di altre indennità non connesse alla cessazione del rapporto di lavoro e liquidato correttamente applicando l’aliquota media del biennio precedente”, al contrario, nell’atto di appello, lo stesso Ufficio aveva sostenuto che “la somma corrisposta a seguito di accordo transattivo appare certamente riconducibile, sul piano sistematico, alla lettera a) dell’art. 17, comma 1, d.P.R. n. 917/1986, nella parte in cui si parla di somme e valore comunque percepiti (…) a seguito (…) di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro”.
Con il quarto motivo di ricorso il contribuente eccepisce la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., per avere i giudici d’appello confermato la pretesa tributaria contenuta nella cartella di pagamento impugnata, sulla base di ragioni di diritto diversi da quelli versati nella medesima cartella. In particolare, era stato lo stesso Ufficio, nell’atto di appello, ad ammettere che la cartella di pagamento, così come formulata, risultava erronea, laddove affermava che, “a parziale accoglimento delle doglianze ex adverso avanzate in primo grado, laddove si evidenzia l’erroneità della data di inizio del rapporto indicata dal sostituto d’imposta (1° marzo 2008), lo scrivente Ufficio ha innanzitutto provveduto a rettificarla inserendo quella di decorrenza (15 luglio 1994) statuita dal Tribunale di Roma, quale risulta dalla sentenza civile prodotta dalla parte”. Ma era stata proprio tale tesi difensiva, diversa rispetto all’originaria pretesa riportata nella cartella di pagamento, a fondare il decisum della C.T.R., con ciò andando ultra petita.
Con il quinto motivo di ricorso il contribuente deduce, infine, violazione e falsa applicazione degli artt. 17, comma 1, lett. a), e comma 3, nonché art. 19 TUIR, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., in quanto qualifica l’emolumento corrisposto dal sostituto d’imposta come indennità di fine rapporto (art. 19), anziché come “altre indennità” ex art. 17, comma 1, lett. a), dello stesso TUIR
5. Venendo quindi allo scrutinio dei singoli motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
5.1. Il primo motivo è infondato. La sentenza impugnata appare pienamente motivata, a nulla rilevando che essa abbia riportati stralci del ricorso in appello, essendo pienamente legittima la prassi, per il giudicante, di recepire il contenuto di un atto difensivo, purché appaia chiaro che tale contenuto è stato fatto proprio dall’organo giudiziario e sia ad esso attribuibile, in quanto contenente l’esposizione chiara, univoca ed esaustiva delle ragioni della decisione (Cass. 14 dicembre 2018, n. 32533; Cass., Sez. U., 16 gennaio 2015, n. 642).
5.2. Anche il secondo motivo è infondato. Anche se la C.T.R., nella parte motiva, conclude nel senso che l’appello deve essere accolto e “la cartella di pagamento deve essere confermata”, è chiaro che all’accoglimento dell’appello conseguiva la conferma della pretesa impositiva, nei termini – più favorevoli per il contribuente – come rideterminati dallo stesso Ufficio nell’atto di appello. Non sussiste, pertanto, alcuna contraddittorietà nella motivazione, in quanto il gravame è stato accolto nei termini richiesti dall’Ufficio, tanto è vero che, nel dispositivo, la Commissione si è limitata a disporre unicamente l’accoglimento dell’appello.
5.3. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. Con l’atto di appello l’Ufficio non ha introdotto alcuna domanda nuova, ma si è limitato a richiedere la somma portata in cartella, come rideterminata dallo stesso Ufficio in maniera più favorevole per il contribuente. Si è trattato, quindi, di una semplice emendatio libelli (in quanto il presupposto impositivo era lo stesso, essendo soltanto stata modificata la data di decorrenza del rapporto di lavoro, e quindi rideterminato il reddito di riferimento), e non già di nova in appello.
5.4. Infondato è anche il quarto motivo di ricorso. La riduzione della pretesa dell’Ufficio in sede di appello, come già detto, non ha determinato alcuna domanda nuova, rimanendo invariata la causa petendi (imposizione di indennità percepite a seguito di transazione novativa con il proprio datore di lavoro) ed il petitum (pagamento dell’IRPEF, sia pure per un minore importo rispetto a quello portato in cartella). Pertanto, non può configurarsi, nella specie, alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo la C.T.R. comunque valutato la pretesa impositiva, nei termini ridotti come prospettati in appello.
5.5. Anche il quinto motivo di ricorso è infondato.
La somma richiesta al contribuente è il frutto dell’assoggettamento a tassazione separata di emolumenti percepiti a seguito di una transazione con il datore di lavoro C.S. s.r.l.
In particolare, con sentenza del 5 dicembre 2001 il Tribunale di Roma – sezione lavoro, riconosceva l’unitarietà del rapporto di lavoro tra il P. ed il datore di lavoro suindicato, in riferimento al periodo intercorrente tra il 15 luglio 1994 e la data della sentenza. Tale decisione è divenuta definitiva in quanto non appellata. Successivamente, in data 21 dicembre 2007 il P. e la C.S. s.r.l. raggiungevano un accordo transattivo per la definizione del rapporto di lavoro subordinato, ricostruito per effetto della sentenza di cui sopra, attraverso la sottoscrizione di una transazione generale novativa ex art. 1965 cod. civ., e successivamente resa efficace con la sottoscrizione di apposito verbale dinanzi alla Direzione Provinciale del Lavoro di Roma a mezzo della procedura ex art. 410 cod. proc. civ. (nel testo vigente pro-tempore).
In data 6 marzo 2008 il contribuente e la società C.S. s.r.l. comparivano dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione delle controversie individuali di lavoro, e confermavano, con la sottoscrizione del processo verbale di conciliazione n. 11735 rep., l’accordo transattivo di cui sopra.
Tale accordo contemplava la rinuncia a proseguire il rapporto di lavoro subordinato presso la C.S. s.r.l. nonché a cessare ogni altra rivendicazione in relazione al medesimo rapporto, prevedendo, a fronte delle rinunce del ricorrente, il pagamento in suo favore della somma di € 200.000,00, al netto delle ritenute di legge da liquidare ad opera del sostituto d’imposta C.S. s.r.l. Orbene, ciò posto, va rilevato che la C.T.R. ha correttamente inquadrato l’emolumento corrisposto dal datore di lavoro tra le somme percepite a seguito di transazione relativa alla risoluzione di un rapporto di lavoro ex art. 17, comma 1, lett. a), TUIR, ritenendo ad essa applicabile – conformemente a quanto ritenuto dall’Ufficio – la tassazione separata come previsto da tale disposizione, ed assoggettandola ad imposizione secondo quanto previsto dall’art. 19, comma 2, TUIR [che riguarda, tra l’altro, proprio gli emolumenti ex art. 17, comma 1, lett. a), cit.]
L’Ufficio, peraltro, con l’atto di appello, considerando corretta la data di decorrenza del rapporto di lavoro come indicata dal Tribunale di Roma (15 luglio 1994), piuttosto che quella indicata dal datore di lavoro (1° marzo 2008), ha operato la riliquidazione dell’imposta, ridimensionando il reddito di riferimento, passato da € 3.000.000,00 ad € 219.523,00, ed applicando quindi la minore aliquota del 39,89% in luogo della precedente del 42,77%.
Ne consegue, pertanto, che correttamente la C.T.R. ha confermato tale inquadramento, non potendo, invece, considerarsi l’importo in questione come semplice trattamento di fine rapporto ex art. 19, comma 1, TUIR.
6. Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono inoltre i presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato dovuto per tale impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese di questo grado di giudizio, che si liquidano in € 3.500,00 per onorari, oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato dovuto per tale impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
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