Corte di Cassazione, ordinanza n. 4343 depositata il 14 febbraio 2019
vizio di extra o ultrapetizione
Rilevato che:
– in controversia relativa ad impugnaz1one di tre intimazioni di pagamento di somme portate da tre diverse cartelle di pagamento che il ricorrente assumeva non esserle mai state notificate, la CTR, accogliendo l’appello proposto dall’agente della riscossione avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, rigettava il ricorso del contribuente sostenendo che il contribuente aveva «l’onere di impugnare le intimazioni di pagamento, facendo valere direttamente le censure di merito», peraltro non riproposte in sede di appello e quindi <la ritenersi rinunciate cx art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992;
– avverso tale statuizione il contribuente ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso;
– risulta regolarmente costituito il contraddittorio sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del vigente art. 380 bis proc. civ.;
Considerato che:
– il motivo di ricorso con cui il ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 proc. civ., per avere la CTR pronunciato su un motivo di appello (l’irregolare notificazione delle intimazioni dli pagamento) mai dedotta dall’appellante neppure con il ricorso di primo grado e, invece, omesso di pronunciare su quello relativo all’omessa notifica degli atti prodromici, ovvero delle cartelle di pagamento, è fondato e va accolto;
– è fermo principio giurisprudenziale quello secondo cui «il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli clementi obiettivi dell’azione (“petitum” e “causa pctendi”) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato» (Cass. n. 455 del 2011); con specifico riferimento al giudizio tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell’atto fiscale per vizi formali o sostanziali, si è precisato che «l’indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell’atto impugnato, il giudice deve attenersi all’esame di essi e non può, “ex officio”, annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al “thema controversum”, come definito dalle scelte del ricorrente. L’oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita pero, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel solo caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione”» (Cass. n. 19337 del 2011; conf. Cass. n. 28680 del 2005, n. 6620 del 2009 e, più recentemente, n. 15769 del 2017);
– orbene, nel caso in esame, la CTR ha palesemente violato la disposizione censurata cd i sopra citati principi in quanto, stando al contenuto degli atri processuali, riprodotti per autosufficienza nel ricorso, il ricorrente aveva dedotto in primo grado l’omessa notifica delle cartelle
prodromiche alle intimazioni di pagamento e 1iaffermato in secondo grado il mancato adempimento dell’agente della 1iscossione all’onere <li provare la regolarità di quelle notifiche e, pertanto, accogliendo l’appello sul presupposto che il contribuente aveva «l’onere di impugnare le intimazioni di pagamento, facendo valere direttamente le censure di merito», la CTR ha pronunciato su una questione che nessuna delle parti aveva proposto, omettendo, invece, di esaminare quella posta dalla parte contribuente con il ricorso introduttivo;
– resta assorbito il secondo motivo, peraltro subordinato, con cui il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli 2697 e segg. cod. proc. civ. per avere la CTR pronunciato in assenza dell’esibizione da parte dell’agente della riscossione degli originali degli avvisi di ricevimento delle notifiche delle cartelle di pagamento, che il ricorrente aveva espressamente richiesto;
– conclusivamente, quindi, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e quindi la sentenza va cassata con rinvio alla competente CTR per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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