CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 marzo 2020, n. 7587

Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Rettifica valore di cessione di immobile in base al mutuo ottenuto dall’acquirente

Rilevato che

– La società V.P. S.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, depositata il 5 luglio 2012, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che ne aveva respinto il ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2006;

– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva accertato un maggior reddito d’impresa ai fini Ires, Irap ed Iva, in relazione al valore della compravendita di un immobile, il cui prezzo, dichiarato in € 48.000, era stato rettificato in € 120.000, corrispondente alla somma ottenuta in mutuo per detto acquisto dall’acquirente;

– il ricorso è affidato a due motivi, cui l’Agenzia delle entrate resiste con contro ricorso.

Considerato che

– con il primo motivo di ricorso la società denuncia «omessa insufficiente contraddittoria ed erronea motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 n. 5 c.p.c.)»;

– evidenzia che la società aveva, nei gradi di giudizio, dedotto che la riduzione del prezzo della compravendita era avvenuta nel contesto di un lungo contenzioso tra le parti;

– il giudice di appello, avendo riconosciuto l’idoneità della giustificazione fornita dalla ricorrente, non poteva legittimare l’operato dell’ufficio sulla base di un unico indizio, omettendo di valutare che nel contenzioso civile gli acquirenti dell’immobile avevano contestato alla società di aver integralmente saldato il mutuo ipotecario gravante sull’immobile, concesso in favore della società, “che per contratto avrebbe dovuto accollarsi solo pro quota”;

– l’esame di tale circostanza avrebbe dovuto condurre la CTR a ritenere giustificata “la destinazione diversa del mutuo”;

– il motivo è inammissibile, in quanto la doglianza si risolve in una erronea attribuzione agli elementi valutati, da parte del giudice del merito, di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322) e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dalla CTR (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932);

il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova;

– nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ben tenuto presente che la compravendita si inseriva in una complessa trattativa, ma ha altresì valutato, con un giudizio di fatto che non è stato idoneamente contrastato nemmeno in questa sede, che a fronte di un prezzo dichiarato di € 48.000 era stato contratto un mutuo di € 120.000, affermando che “la contestualità delle date, e la mancata prova su una destinazione diversa dal mutuo richiesto, costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti che legittimano l’operato dell’ufficio”.

– Con il secondo motivo la società deduce «violazione di legge » per aver fondato la propria decisione su una presunzione semplice, laddove ai sensi dell’art. 39 d.P.R 600/73 e 54 d.P.R 633/72 l’efficacia dell’accertamento era subordinato “alla individuazione di presunzioni semplici che tuttavia siano gravi, precisi e concordanti”;

– la censura è infondata;

– questa Corte è ferma nel ritenere che, ai fini dell’accertamento del maggior reddito d’impresa, lo scostamento tra l’importo dei mutui ed i minori prezzi indicati dal venditore è sufficiente a fondare la rettifica dei corrispettivi dichiarati, non comportando ciò alcuna violazione delle norme in materia di onere probatorio (Cass. n. 26485 del 21/12/2016; Cass. n. 7857 del 20/4/2016; Cass. n. 14388 del 9/6/2017) e non potendosi escludere in materia di presunzioni semplici che l’accertamento trovi fondamento anche su un unico elemento presuntivo;

– infatti, ai fini degli accertamenti tributari, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzioni siano plurimi, benché gli artt. 2729, primo comma, cod. civ., 38, terzo comma, 39, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 si esprimano al plurale, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su un unico elemento, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico, non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia sorretto, come nella specie, da una adeguata motivazione che sia immune da contraddittorietà (Cass. n. 17574 del 29/7/2009; Cass. n. 656 del 15/1/2014; Cass. n. 2155 del 25/1/2019);

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata il 11/3/2013, successivamente quindi alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).

P.Q.M.

Respinge il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.