CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 19748 depositata l’ 11 luglio 2023
Tributi – Avvisi d’accertamento – IVA – IRAP – Studi di settore – Scostamento del reddito dichiarato dalle risultanze dello studio applicato – D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies – Vizio di motivazione – Grave incongruenza tra i dati – Accoglimento – vizio di motivazione
Rilevato che
Dalla sentenza impugnata si evince che l’Agenzia delle entrate notificò alla C. s.r.l. due avvisi d’accertamento, relativi agli anni d’imposta 2006 e 2007, con cui, rideterminando gli imponibili dichiarati mediante ricorso agli studi di settore, richiese maggiori imposte ai fini Iva ed Irap.
La società, che contestava gli esiti dell’accertamento, adì la Commissione tributaria provinciale di Roma, che respinse il ricorso con sentenza n. 2096/28/2014. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettò l’appello con la sentenza n. 342/04/2016, ora oggetto d’impugnazione. Il giudice regionale, dopo aver riconosciuto la legittimità dell’accertamento avviato nei confronti della società, per il rilevato scostamento tra il reddito dichiarato e quello determinabile secondo lo studio di settore applicato, ha affermato che la contribuente in sede di contraddittorio non aveva allegato alcuna documentazione idonea a legittimare una diversa valutazione, né risultava che nella dichiarazione dei redditi fossero state indicate le cause di inapplicabilità dello studio di settore.
La società ha censurato la pronuncia, di cui ne ha chiesto la cassazione, affidandosi a due motivi.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
All’esito dell’adunanza camerale celebrata il 20 dicembre 2022, la causa è stata riservata in decisione.
Considerato che
Con il primo motivo la società ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché il giudice regionale ha del tutto omesso di pronunciarsi sulle questioni rappresentate dalla contribuente a giustificazione dello scostamento del reddito dichiarato dallo studio di settore applicato.
Il motivo è inammissibile. Nella sentenza la commissione regionale afferma che “la ricorrente, dopo aver partecipato infruttuosamente al contraddittorio, non ha allegato in tale sede alcuna valida documentazione, limitandosi ad affermare genericamente una crisi del settore merceologico, pur avendo omesso di indicare nelle dichiarazioni dei redditi le cause di esclusione o inapplicabilità dello studio di settore”. A fronte delle ragioni sollevate dalla contribuente -e su cui ci si diffonderà nel valutare il secondo motivo- la pronuncia risulta generica ma non può ritenersi omessa. Si è a tal fine affermato che nell’ipotesi in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza altre precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda o un’eccezione siano generiche ed inidonee a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso, non può ritenersi sussistente né la violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, né la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, mentre, ove si assuma che una tale pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalità sufficientemente specifiche, la censura deve essere formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, quando uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di una o più di tali circostanze, la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata (cfr. Cass. 21 ottobre 2019, n. 26764).
Con il secondo motivo la società si duole dell’omessa valutazione di un fatto decisivo per l’esito del giudizio, che ha formato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La ricorrente rileva che con l’appello aveva contestato l’applicazione dello studio di settore, per aver evidenziato la grave crisi economica che attraversava il settore merceologico nel quale operava, tanto da aver subito una considerevole contrazione dei ricavi tra il 2006 e il 2007 nella sede di (…), poi chiusa del tutto nel 2008, ed essere stata costretta a vendere il locale presso il centro commerciale “(…)”; aveva evidenziato che il reddito dichiarato non poteva comunque qualificarsi come gravemente incongruente rispetto allo studio di settore applicato (lo scostamento era del 5,40% per il primo anno accertato e del 4,11% per la seconda annualità); aveva avvertito che era stato in ogni caso applicato uno studio di settore meno evoluto rispetto a quello successivamente introdotto. Nessuna di queste prospettazioni era stata analizzata dalla commissione regionale.
Occorre intanto chiarire che i fatti richiamati con il motivo rientrano senz’altro nell’alveo del vizio di motivazione, così come riformulato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, non costituendo affatto meri elementi istruttori e trattandosi invece di circostanze astrattamente decisive per la decisione.
E’ altrettanto utile chiarire che, nonostante la difesa erariale contesti la tempestività di alcuna delle questioni sollevate, dal medesimo controricorso si evince che la contribuente avesse presentato documentazione a supporto delle proprie ragioni (cfr. pag. 9 del controricorso) e la circostanza che l’Ufficio non avesse ritenuto congrue quelle giustificazioni non consentiva certo al giudice di merito di ignorarne l’esistenza.
A tal fine va ribadito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, introdotto con il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. In tale sede il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le allegazioni del contribuente. L’esito del contraddittorio peraltro non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, il cui onere probatorio grava sull’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente (Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635; 18 dicembre 2017, n. 30370; 31 maggio 2018, n. 13908; 20 settembre 2017, n. 21754; 07/06/2017, n. 14091; 12 aprile 2017, n. 9484).
Attese quindi le conseguenze derivanti dalla ripartizione dell’onere probatorio, si è anche affermato che ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato e il contribuente abbia omesso di parteciparvi, oppure, anche partecipando, non abbia allegato alcunché per spiegare lo scostamento, l’Ufficio non è più tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (cfr. Cass. 15 luglio 2020, n. 14981; 20 settembre 2017, n. 21754 cit.; 30 ottobre 2018, n. 27617 e 20 giugno 2019, n. 16545). In questo caso infatti la rilevazione dello scostamento, a fronte dell’assenza di elementi con cui il contribuente ne spieghi la sussistenza, assume la dignità di indizio grave e preciso, idoneo, pur se unico, a supportare la dimostrazione del fatto ancora sconosciuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c. Tanto in ogni caso non pregiudica definitivamente la difesa del contribuente, cui resta sempre il diritto di allegazione e di prova in sede contenziosa, anche per la prima volta, degli elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario si fonda (cfr. Cass. 30 settembre 2019, n. 24330; 9 ottobre 2020, n. 21824).
Peraltro, sempre ai fini dell’accertamento affidato allo scostamento tra dichiarato e risultanze dello studio applicato, questa Corte ha ritenuto rilevante l’emersione di una grave incongruenza tra i dati. E a tal fine si è affermato che il requisito della “grave incongruenza” di cui al d.l. n. 331 del 1993, art. 62sexies, comma 3, conv. con mod. dalla l. n. 427 del 1993, costituisce presupposto impositivo necessario per gli avvisi di accertamento su di essi fondati, senza che assuma rilievo, per gli avvisi notificati successivamente al 1 gennaio 2007, la modifica della l. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, operata con la l. n. 296 del 2006, art. 1 comma 23, in quanto priva di portata innovativa e diretta ad assicurare, secondo una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, una funzione di mera semplificazione e coordinamento normativo, attesa l’abrogazione dei commi 2 e 3 del medesimo art. 10, ad opera del D.L. n. 226 del 2006, art. 37, comma 2, lett. b, e l’estensione della tipologia di accertamento a prescindere dalla contabilità adottata (cfr. da ultimo Cass. 27 giugno 2022, n. 20608).
Nel caso di specie la società ha riferito di aver evidenziato lo stato di grave crisi in cui versava ed ha invocato l’assenza di gravi incongruenze, che potevano autorizzare l’accertamento induttivo secondo i parametri dello studio applicato.
La carenza di considerazione delle ragioni allegate dalla società vizia la motivazione, fondata di contro su valutazioni molto generiche.
Il motivo va pertanto accolto.
La sentenza va dunque cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia di II grado del Lazio, che in diversa composizione provvederà, oltre che a liquidare le spese del giudizio di legittimità, al riesame dell’appello proposto dalla società, tenendo conto dei principi di diritto dispensati da questa Corte.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, inammissibile il primo, cassa la sentenza e rinvia il giudizio alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.