CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 novembre 2021, n. 37435
Tributi – Credito IRAP – Dichiarazione tardiva considerata omessa – Avviso bonario di mancato riconoscimento del credito – Istanza di autotutela – Diniego – Impugnazione – Inammissibilità
Fatti di causa
1. A seguito di avviso bonario con il quale l’Amministrazione finanziaria comunicava alla contribuente di non aver riconosciuto un invocato credito IRAP relativo all’anno 2008, la L. Sas di L.F. & C. in liquidazione proponeva istanza di annullamento in autotutela, “sostenendo la spettanza del credito e l’infondatezza dell’avviso bonario” (sent. CTR, p. II). L’Amministrazione finanziaria respingeva la richiesta con atto n. 2075/2012.
2. Avverso il diniego di autotutela, la società proponeva impugnazione innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano. La CTP riteneva infondata la richiesta della contribuente, perché il credito Irap non poteva essere riconosciuto, in conseguenza della presentazione della dichiarazione in cui era stato esposto oltre i novanta giorni dopo il termine previsto dalla legge, con la conseguenza che la dichiarazione doveva essere considerata come se fosse stata del tutto omessa. Riteneva peraltro assorbita l’eccezione preliminare proposta dall’Agenzia delle Entrate, secondo cui il diniego di autotutela non è un atto impugnabile in sede giurisdizionale.
3. Spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado la società, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. Il giudice dell’impugnazione ribadiva che l’intervenuta presentazione della dichiarazione ai fini Irap con un ritardo superiore ai novanta giorni, non consentiva “il riconoscimento del presunto credito” (sent. CTR, p. II) fiscale invocato dalla contribuente, e pertanto il recupero del credito erariale da parte dell’Amministrazione finanziaria appariva legittimo, rimanendo salvo il diritto della società di domandare, se del caso, il rimborso. In conseguenza confermava il rigetto dell’impugnativa introdotta dalla contribuente.
4. Avverso la decisione assunta dalla CTR ha proposto ricorso per cassazione la società, affidandosi a cinque strumenti di impugnazione.
L’Agenzia delle Entrate non si è costituita tempestivamente, ma ha depositato istanza di partecipazione all’eventuale udienza di discussione pubblica della causa. La contribuente ha poi depositato memoria, come pure l’Avvocatura dello Stato per conto dell’Amministrazione finanziaria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione, indicato come proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., la contribuente contesta la violazione dell’art. 111, secondo comma, della Costituzione, in conseguenza della violazione del principio della ragionevole durata del processo, per avere la CTR ritenuto legittima la negazione dell’annullamento in autotutela del disconoscimento del credito Irap, affermando però che lo stesso comunque competeva, incorrendo in “un inutile formalismo giuridico” (ric., p. 9).
2. Mediante il secondo strumento di ricorso, ancora introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., la società critica la decisione adottata dalla CTR per essere incorsa nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, perché la mancata presentazione (tempestiva) della dichiarazione dei redditi non può incidere sulla reale spettanza del credito.
3. Con il terzo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente censura la nullità della impugnata sentenza adottata dal giudice dell’appello, per aver omesso di pronunciare sulla domanda di voler accertare la reale esistenza del diritto “della contribuente allo scomputo del credito” (ric., p. 15) Irap.
4. Mediante il quarto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la contribuente lamenta la nullità dell’impugnata sentenza della CTR della Lombardia, per aver omesso di pronunciare in materia di mancata istaurazione del contraddittorio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, a seguito della ricezione dell’istanza di annullamento in autotutela della pretesa tributaria.
5. Con il suo quinto mezzo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la società contesta la violazione dell’art. 2, commi 7, 8 ed 8bis, del Dpr n. 322 del 1998 e dell’art. 53 della Costituzione, in cui è incorsa la CTR nella decisione impugnata, omettendo di tener conto che è riconosciuto nel nostro ordinamento il diritto del contribuente alla “piena emendabilità della dichiarazione tributaria” (ric., p. 19).
6. L’esame delle contestazioni proposte dalla L. Sas richiede la soluzione di un problema preliminare, quello di definire i limiti entro cui è possibile impugnare il diniego di annullamento in autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria. Come è ben noto questa Corte – anche esprimendosi in materia di avviso bonario che, come si è ricordato, è proprio l’atto che in questo giudizio era stato originariamente notificato alla contribuente – ha precisato che non solo gli atti elencati dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992 sono impugnabili innanzi al giudice tributario, ma tutti quelli, comunque denominati, che “esplicitano comunque le ragioni fattuali e giuridiche di una ben determinata pretesa tributaria, ingenerando così nel contribuente l’interesse a chiarire subito la sua posizione con una pronuncia dagli effetti non più modificabili“, Cass. Sez. V, 18.5.2011, n. 10987.
6.1. Un discorso particolare deve quindi farsi in materia di impugnazione del diniego di annullamento dell’atto tributario in autotutela. In linea di principio l’esercizio dell’indicato potere è ampiamente discrezionale, perché l’Ente impositore, nel rispetto della sua autonomia amministrativa, può valutare l’opportunità di esercitare il potere di annullamento, o meno, rimettendo all’eventuale contenzioso la soluzione della vicenda, indipendentemente dalla maggiore o minore fondatezza che ritiene abbia la pretesa del contribuente. La possibilità di impugnare un diniego di annullamento in autotutela rimane pertanto ristretta ad ipotesi limitate, caratterizzate da casi in cui l’esercizio del potere di caducazione trova la propria ragion d’essere non nella fondatezza della pretesa del contribuente istante, bensì nell’opportunità di preservare un interesse generale.
Questa Corte di legittimità ha già ripetutamente espresso questo concetto, affermando ad esempio che “nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente“, Cass. Sez. V, 24.8.2018, n. 21146. Non si è mancato, del resto, di spiegare che “in tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo“, Cass. Sez. V, 28.3.2018, n. 7616; e si è pure chiarito che “in tema di contenzioso tributario, non ricorrono ragioni di rilevante interesse generale che consentono il sindacato giurisdizionale sul diniego dell’Amministrazione di procedere ad un annullamento in autotutela ove dette ragioni consistano nella mera deduzione, da parte del contribuente, dell’erronea imposizione, trattandosi di un profilo inerente in via esclusiva l’interesse privato ad evitare una tassazione superiore a quella che si assume dovuta“, Cass. Sez. V, 26.1.2018, n. 1965.
6.2. Nel caso di specie, la società ricorrente imposta tutta la propria difesa sulla affermata ingiustizia di una pretesa tributaria che viene avanzata nei suoi confronti, in conseguenza di una mancanza consistita nell’aver fatto decorrere non solo il termine per la presentazione di una dichiarazione fiscale, ma anche quello indicato dalla legge come utile per l’emenda. Si tratta pertanto di un caso specifico, che non rivela profili di “interesse generale” all’annullamento in autotutela dell’atto, e comunque la ricorrente non ha provveduto a specificamente illustrarli.
Il generico richiamo al principio di ragionevole durata del processo, ricordato pure che neanche la contribuente afferma di avere introdotto un ricorso avverso l’avviso bonario notificatole, appare infatti senz’altro insufficiente allo scopo, e comunque la società non illustra come e quando abbia introdotto la questione nel processo, incorrendo in un’ulteriore causa di inammissibilità della censura.
Il ricorso introdotto dalla L. Sas, avverso il diniego di annullamento in autotutela, risultava pertanto non proponibile fin dalla sua introduzione in primo grado e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte di legittimità può decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., dichiarando inammissibile l’originario ricorso proposto dalla contribuente.
6.3. A quanto osservato deve poi almeno aggiungersi che l’Agenzia delle Entrate, nella sua memoria, ha segnalato che in relazione al disconoscimento del preteso credito Irap, per cui è causa anche in questo giudizio, è stata emessa cartella di pagamento, avverso la quale ha proposto ricorso la contribuente. Sia la CTP (Milano, 258/02/2013) che la CTR (Lombardia, 7000/24/2014), però, hanno ritenuto di confermare l’atto di esecuzione, e la contribuente non ha poi provveduto ad impugnare nei termini la decisione dei giudici dell’appello, con la conseguenza che è passata in giudicato. Sussiste pertanto anche il difetto di interesse dell’odierna ricorrente a coltivare la presente impugnazione, un’ulteriore causa di inammissibilità del ricorso.
7. In definitiva il ricorso per cassazione introdotto dalla contribuente deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo. Risulta dovuto anche il versamento del c.d. doppio contributo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla L. Sas di L.F. & C. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore; che condanna al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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