Corte di Cassazione, ordinanza n. 25659 depositata il 4 settembre 2023
limiti di impugnazione del diniego della richiesta di autotutela – vizio di mancata pronuncia
Rilevato che
Dalla pronuncia impugnata e dal ricorso si evince che a seguito di controlli eseguiti da funzionari doganali su merci importate nel 2012 dalla società (tubi di ghisa) era emersa una classificazione doganale diversa da quella dichiarata. Fu anche riscontrato, con riguardo alla merce giunta alla Dogana di Cagliari, l’indebita fruizione delle preferenze daziarie, poiché il certificato FORM A, scortante la merce, risultava rilasciato in data successiva a quella d’imbarco. Furono riscontrate irregolarità dei certificati di origine FORM A per altre operazioni di importazione.
L’Amministrazione doganale emise l’atto impositivo n. 16528/15 e l‘atto di irrogazione sanzioni n. 16529/15, nonché gli atti suppletivi nn. 21055/15 e 21064/15. Avverso tutti i provvedimenti impositivi e sanzionatori la società propose tardivamente ricorso giurisdizionale.
In data 17.09.2015 la società propose istanza di riesame in autotutela. L’Amministrazione emise provvedimento di diniego di autotutela, impugnato dalla società dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Trieste, che con sentenza n. 81/02/2016 ne accolse le ragioni. L’appello proposto dall’Ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia fu respinto con sentenza n. 153/02/2019, ora al vaglio della Corte.
Il giudice regionale, dopo aver riportato delle incertezze interpretative in ordine all’impugnabilità dell’atto di diniego dell’istanza di autotutela, ha ritenuto che nel caso di specie esso fosse impugnabile, trattandosi di un atto di diniego con cui l’Amministrazione aveva riesaminato la vicenda, con ciò di fatto sostituendo i precedenti provvedimenti impositivi e sanzionatori, che pertanto restavano assorbiti dal nuovo.
L’Amministrazione delle Dogane ha proposto impugnazione avverso la pronuncia, di cui ha chiesto la cassazione, affidandosi a tre motivi, cui ha resistito con controricorso la società.
Nell’adunanza camerale del 4 aprile 2023 la causa è stata trattata e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la «Mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato – violazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, c. 4 c.p.c.», quanto alla mancata pronuncia sulla eccepita tardività della notifica del ricorso introduttivo che la società ha notificato in data 31 ottobre 2015.
Questa Corte ha affermato che non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame non può farsi valere quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento, ex art. 112 cod. proc. civ. (Cass., 6 novembre 2020, n. 24953; 13 gennaio 2021, n. 459; cfr. anche 29 luglio 2004, n. 14486).
Il principio trova applicazione anche nel caso di specie, che, pur diverso da quello esaminato nel precedente giurisprudenziale richiamato, afferisce ad una statuizione del giudice d’appello, che nel riconoscere l’impugnabilità dell’atto di diniego dell’istanza di autotutela, a tal fine ritenendo irrilevante la definitività dei pregressi atti impositivi o sanzionatori, ha implicitamente rigettato l’eccezione invocata dall’Agenzia delle dogane.
Il motivo risulta dunque infondato.
Con il secondo motivo l’ufficio si è doluto della «Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 CO.3 DLGS 546/92 ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. Inammissibilità dell’impugnazione meramente formale e strumentale avverso l’atto di diniego di Autotutela Prot. 26827/15, notificato il 23.10.2015, non opposto per vizi propri bensì al fine di rientrare nel merito degli atti prodromici definitivi».
Sostiene l’Amministrazione doganale che il giudice regionale sarebbe incorso in un errore di interpretazione di norme sostanziali, laddove ha ritenuto autonomamente impugnabile il diniego di autotutela, così riemergendo l’interesse alla rivalutazione del merito del rapporto impositivo, sulla base dell’argomentazione secondo cui esso «si sostituisce ai precedenti atti come fonte di disciplina del rapporto ed i precedenti provvedimenti restano assorbiti dal nuovo [così che] in tale evenienza è ammissibile l’impugnazione dello stesso».
Il motivo è fondato.
Questa Corte, con orientamento ormai consolidato e con riguardo al contenzioso tributario, ha affermato che, il sindacato del giudice sul provvedimento di diniego dell’annullamento in sede di autotutela dell’atto tributario divenuto definitivo è limitato all’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente che contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo (Cass., 12 maggio 2010, n. 11457; 3 luglio 2014, n. 15194; 20 febbraio 2015, n. 3442; cfr. inoltre Cass., 7 marzo 2022, n. 7318; 25 settembre 2020, n. 20200; 11 luglio 2019, n. 18604; 28 marzo 2018).
Nel caso di specie il giudice regionale, pur avvertendo che, dopo alcuni contrasti, nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento appena richiamato aveva assunto il carattere della continuità, ha ritenuto di valorizzare una pronuncia (Cass., 29 gennaio 2019, n 1803, non massimata), secondo cui l’atto di diniego dell’istanza di autotutela, qualora valuti, nel merito, i fatti ed i motivi prospettati dal richiedente, «inizia un vero e proprio procedimento di riesame, con una nuova valutazione della situazione in fatto di diritto», con ciò sostituendosi al precedente provvedimento che resta assorbito dal nuovo.
A parte che tale pronuncia è più articolata nella sua argomentazione, distinguendo le ipotesi in cui l’esame porti ad una conferma cd. impropria del precedente atto da quello in cui si ha una conferma “propria”, solo in questa seconda ipotesi giungendo alle conclusioni appena riprodotte -e nel caso di specie manca qualunque sufficiente richiamo al contenuto del diniego-, si tratta di un precedente isolato e comunque superato da quella giurisprudenza sopra menzionata, che questo Collegio condivide e a cui intende dare continuità.
Con la sua decisione il giudice regionale non si è attenuto ai principi enunciati.
Il motivo va dunque accolto.
L’accoglimento del secondo motivo assorbe il terzo, con cui l’Agenzia delle dogane ha denunciato la «violazione e/o errata applicazione dell’art. 97-Unvicies e terdecies Reg. CEE n. 2454/93, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.», quanto all’errato riconoscimento della validità dei Certificati di Origine FORM A.
La sentenza va pertanto cassata, tenendo conto del seguente principio di diritto «Il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo o un provvedimento irrogativo di sanzioni, divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria».
Alla cassazione della sentenza può anche seguire la decisione nel merito della causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto. Come è dato evincere dal contenuto delle stesse difese della controricorrente, ai fini dell’istanza di autotutela non erano stati prospettati interessi di rilevanza generale, atti ad indurre l’Amministrazione finanziaria a riconoscere essa stessa l’esigenza di rimozione dell’atto, così che era privo di fondamento il ricorso introduttivo della società. Questo va dunque rigettato.
All’esito del giudizio segue la regolazione delle spese processuali, come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, assorbito il terzo e rigettato il primo. Cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società. Compensa le spese dei gradi di merito e condanna la società alla rifusione in favore dell’Agenzia delle dogane delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.