CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 2437 depositata il 25 gennaio 2024
Tributi – Atto di intimazione di pagamento di IVA non versata – Ipotesi di sottofatturazione – Solidarietà tra cedente e cessionario – Diniego di autotutela – Accoglimento
Rilevato che
– l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Liguria aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di B.C. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 593/05/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Genova che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società avverso il provvedimento di diniego di annullamento, in via di autotutela, dell’atto di intimazione di pagamento, in via solidale, ai sensi dell’art. 60-bis c.p.c., alla contribuente -cessionaria, dell’Iva non versata dal fornitore -cedente, quale supposto soggetto interposto in un’ipotesi di sottofatturazione relativa a cessioni aventi ad oggetto specifiche tipologie di beni (carni) di cui al DM del Ministero dell’economia e delle Finanze del 22.12.05;
– in punto di diritto, la CTR, confermando la sentenza di primo grado, ha affermato che: 1) andava respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso essendo il diniego di autotutela un atto impugnabile e non essendo ostativa l’addotta definitività del sotteso atto di intimazione, ricorribile solo per “vizi propri”, senza che nelle “informazioni per il contribuente” fosse stato specificato che la società avrebbe dovuto fornire la prova contraria nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell’atto medesimo; 2) nella specie, risultava essere stata fornita dalla società contribuente la prova contraria ai fini del superamento della presunzione relativa posta a suo carico dall’art. 60bis cit. di solidarietà tra cedente e cessionario, atteso che, con provvedimento di accertamento negativo emesso dalla Direzione Provinciale di Bergamo, era stata certificata l’assenza in radice di una condotta sanzionabile a carico della società; pur basandosi l’atto di intimazione soltanto sulle indagini compiute dalla Direzione provinciale di Bergamo, tali conclusioni erano state ignorate dall’Ufficio in violazione dei principi di affidamento e buona fede di cui all’art. 10 dello statuto del contribuente;
– la società contribuente è rimasta intimata.
Considerato che
– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 19 del Dlgs. n. 546/92 per avere la CTR ritenuto infondata l’eccezione – riproposta dall’Ufficio in sede di gravame – di inammissibilità del ricorso avverso il diniego di autotutela nonostante lo stesso fosse basato su motivi, afferenti alla fondatezza della pretesa tributaria, che avrebbero potuto essere fatti valere avverso il prodromico atto di intimazione di pagamento; in tal modo, ad avviso della ricorrente, la contribuente, lungi dal dedurre eventuali profili di illegittimità del diniego di annullamento dell’atto di intimazione, avrebbe cercato di “recuperare” tramite l’impugnazione dello stesso motivi che avrebbero dovuto essere avanzati nei confronti dell’atto impositivo prodromico, nella specie, non oggetto di impugnazione;
– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 60 bis del d.P.R. n. 633/72, per avere la CTR ritenuto fornita dalla contribuente la prova contraria ai fini del superamento della presunzione legale relativa di solidarietà tra cedente e cessionario, ai sensi dell’art. 60 bis cit., in base alle risultanze della indagine della D.P. di Bergamo sebbene il controllo svolto da quest’ultima fosse finalizzato a verificare la consapevole partecipazione della società alla fattispecie fraudolenta per una eventuale emissione di un avviso di accertamento per il disconoscimento della detrazione Iva senza che le conclusioni della stessa potessero, invece, valere ad escludere la solidarietà passiva tra cedente e cessionario, ai sensi dell’art. 60 bis cit. i cui presupposti (mancato versamento dell’imposta da parte del cedente; cessioni a prezzi inferiori al valore normale; soggettività Iva del cessionario) erano emersi a seguito di indagine svolta dalla D.P. di Genova;
– il primo motivo è fondato con assorbimento del secondo;
– la questione dei limiti entro cui il diniego di autotutela avverso l’atto tributario definitivo può essere impugnato e stato ripetutamente scrutinata da questa Corte di legittimità, e sulla questione si e pronunciata anche la Corte costituzionale;
– nella specie, il prodromico atto di intimazione di pagamento, ex art. 60 bis del d.P.R. n. 633/72, non è stato impugnato dalla società ed e divenuto definitivo; quest’ultima ha proposto istanza di annullamento in autotutela dell’atto di intimazione, avverso cui l’Ente impositore ha emesso espresso diniego;
– la società ha impugnato il provvedimento di rigetto dell’istanza di annullamento in autotutela opposto dall’Amministrazione finanziaria innanzi alla CTP che ha ritenuto ammissibile l’impugnativa e fondate le ragioni allegate dalla contribuente, pronunciando sul merito della lite. Questa decisione e stata confermata dalla CTR;
– può allora ricordarsi che l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e suscettibile di una interpretazione estensiva, e deve essere riconosciuta al contribuente la possibilità di ricorrere, nei termini di legge, alla tutela assicurata dal giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’Ente impositore, e dunque anche in caso di provvedimenti di diniego, o comunque emessi in sede di autotutela – ancorché l’originario provvedimento sia divenuto già definitivo – ogni qual volta tali provvedimenti siano idonei ad incidere sul rapporto tributario, essendo configurabile un collegamento tra gli atti dell’Amministrazione e il rapporto tributario sottostante, privandosi altrimenti il contribuente della possibilità di invocare difesa relativamente al provvedimento di diniego di autotutela, non conseguendo ad esso alcun ulteriore atto impositivo;
– occorre ancora rammentare che la valutazione circa la sussistenza del presupposto dell’esercizio dell’autotutela dipende dal contemperamento tra l’esigenza di tutelare l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e l’interesse, altrettanto pubblicistico, alla stabilità dei rapporti giuridici e pertanto all’incontestabilità degli atti impositivi quando essi siano divenuti definitivi;
– in merito si è espressa anche la Corte Costituzionale, la quale – oltre a confermare la giurisprudenza di questo Giudice di legittimità secondo cui, tenuto conto del carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario, questo “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente” – ha espressamente affermato che pure “in un contesto cosi caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilita dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti – e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria e chiamata a provvedere – secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio“, Corte cost., sent. 13.07.2017, n. 181;
– ne consegue, ha statuito questa Corte di legittimità, che “nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente“, Cass. sez. V, ord. 24.08.2018, n. 21146 (evidenza aggiunta).
– per orientamento costante di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’amministrazione finanziaria, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (tra le tante: Cass., Sez. 5ª, 20 febbraio 2015, n. 3442; Cass., Sez. 5ª, 28 marzo 2018, n. 7616; Cass., Sez. 5ª, 24 agosto 2018, n. 21146; Cass., Sez. 5ª, 26 settembre 2019, n. 24032; Cass., Sez. 5ª, 4 dicembre 2020, n. 27806; Cass., Sez. 6ª-5, 16 marzo 2021, n. 7378; Cass., Sez. 6ª-5, 4 novembre 2021, n. 31574; Cass., Sez. 5ª, 7 marzo 2022, n. 7318; Cass.,Sez. 5, Ordinanza n. 37332 del 2022; Cass. 5, Ordinanza n. 8596 del 2023); in particolare, si e precisato che il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell’annullamento dell’atto tributario divenuto definitivo e consentito, ma nei limiti dell’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo” (Cass. sez. V, 7.3.2022, n. 7318);
– pertanto, si deve escludere che la proposizione dell’istanza di autotutela possa esonerare il contribuente dalla proposizione del ricorso al giudice tributario per l’impugnazione dell’atto impositivo entro il termine perentorio dell’art. 21, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, ovvero che l’amministrazione finanziaria sia vincolata ad adottare il diniego di autotutela prima che l’atto impositivo divenga definitivo con la scadenza del termine perentorio dell’art. 21, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546. Ovviamente, tale principio e destinato a valere per l’atto impositivo nella sua integrale portata, sia che contenga l’accertamento dei presupposti, la contestazione delle violazioni e la determinazione dell’imposta, sia che si estenda o si limiti (come pure e possibile) alla liquidazione degli interessi moratori ed all’irrogazione delle sanzioni amministrative per l’omessa presentazione della dichiarazione ovvero per l’omesso o parziale versamento dell’imposta, trattandosi, comunque, di distinte ed autonome manifestazioni della medesima pretesa fiscale (Sez. 5, Ord. n. 37332 del 2022);
– nella specie, la CTR non si e attenuta ai suddetti principi, in quanto ha disatteso l’eccezione dell’Ufficio di inammissibilità del ricorso avverso il diniego di autotutela affermando apoditticamente che “nella specie (poteva) ravvisarsi la sottoposizione al controllo di legittimità del diniego da parte di questa Commissione per la sua rispondenza all’interesse pubblico” sebbene – come si evince dalla stessa sentenza di appello – i motivi di censura proposti afferissero sostanzialmente all’assunta illegittimità del prodromico atto di intimazione in quanto basato sull’istruttoria compiuta dalla DP di Bergamo conclusasi con provvedimento certificativo dell’assenza in radice di condotte sanzionabili a carico della società contribuente; con ciò, trattandosi di doglianze – volte a contestare l’esistenza stessa dei presupposti di cui all’art. 60 bis citato – che avrebbero dovuto essere fatte valere mediante la tempestiva impugnazione in sede giudiziale dell’atto di intimazione, nella specie, non opposto e, pertanto, divenuto definitivo; pertanto, non si ritiene che nel caso in esame la contribuente abbia dedotto un “rilevante interesse generale” legittimante l’autotutela, dovendosi affermare il principio per cui l’interesse generale non può consistere nella mera deduzione dell’erronea imposizione, trattandosi quest’ultimo di un profilo inerente in via esclusiva l’interesse privato ad evitare una tassazione superiore rispetto a quella che si ritiene dovuta (Cass., Sez. 5ª, 26 gennaio 2018, n. 1965; Cass., Sez. 5ª, 11 giugno 2021, n. 16671; Cass., Sez. 6ª-5, 27 aprile 2022, n. 13136; Sez. 5, Ordinanza n. 37332 del 2022);
– in conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 1, ultima parte, cod. proc. civ., con declaratoria di inammissibilità del ricorso originario della contribuente;
– si ravvisano giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese dei giudizi di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna la società contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro 4.300,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
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