CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2019, n. 24356

Lavoro – Plurimi contratti di somministrazione a tempo determinato – Invalidità – Accertamento

Rilevato che

1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza n. 346/2016 del 28.10.2016, rigettava l’appello proposto da S.P.J. nei confronti di E. s.r.l. (già E. di P.V. & C. s.a.s.) avverso la sentenza con cui il Giudice del lavoro del Tribunale di Brescia aveva respinto la domanda del predetto lavoratore diretta all’accertamento dell’invalidità di plurimi contratti di somministrazione a tempo determinato da lui conclusi tra il 24 luglio 2006 e il 30 settembre 2012 e alla costituzione, ai sensi dell’art. 27 d.lgs. n. 276 del 2003, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze della società utilizzatrice, nonché il proprio correlato diritto alla riammissione in servizio e al risarcimento del danno.

2. La Corte territoriale, premesso che il Tribunale aveva accolto l’eccezione di decadenza ex art. 32, comma 4, legge n. 183 del 2010 con riferimento a tutti i contratti di somministrazione intercorsi tra le parti fino al 29 febbraio 2012, poiché soltanto con lettera del 9 novembre 2012 il lavoratore aveva proposto la prima ed unica impugnativa stragiudiziale, da riferire soltanto all’ultimo dei contratti, ossia a quello decorrente dal 28 agosto 2012 fino al 30 settembre 2012, osservava che non poteva essere accolto il motivo di appello secondo cui l’impugnativa doveva estendersi a tutti i contratti pregressi, in presenza di rapporti plurimi che si erano succeduti nel tempo con intervallo tra l’uno e l’altro inferiore al termine di sessanta giorni. Riteneva, infatti, che il legislatore, introducendo un termine di decadenza per l’impugnativa di cui all’art. 32, comma 4, legge n. 183 del 2010, non aveva previsto alcuna ipotesi di temporanea sospensione della decorrenza del termine nell’ipotesi di successione di contratti. Né poteva ravvisarsi l’ipotesi di una causa impeditiva della decadenza ex art. 2966 cod. civ.

3. Per la cassazione di tale sentenza il P.J. ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la società E.

4. Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis. 1 cod. proc. civ.. (inserito dall’art. 1, lett. f, del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).

Considerato che

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia falsa applicazione dell’art.6 legge n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32 legge n. 183 del 2010, in relazione agli artt. 2966 cod. civ. e 24 Cost. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.), per avere la Corte territoriale ritenuto che, in caso di plurimi contratti succedutisi con intervallo tra l’uno e l’altro inferiore al termine di sessanta giorni, l’impugnativa proposta nei confronti dell’ultimo contratto non fosse da intendersi estesa anche agli altri.

2. Con il secondo motivo denuncia, in subordine, falsa applicazione dell’art. 6 legge n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32 legge n. 183 del 2010, in relazione agli artt. 111 e 14 disp. prel. cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.), per avere la Corte di appello ritenuto applicabile il termine di decadenza anche ai rapporti costituiti antecedentemente alla nuova disciplina, pur in assenza di disposizioni transitorie in tal senso.

3. Il ricorso è infondato.

4. Il primo motivo introduce la questione della capacità espansiva dell’impugnazione dell’ultimo contratto di lavoro a termine in somministrazione anche a quelli che lo hanno preceduto, con particolare riferimento all’ipotesi che tra un contratto e l’altro sia intercorso un termine inferiore a quello utile per l’impugnazione stragiudiziale.

5. Tale questione è stata recentemente esaminata e risolta da questa Corte con una serie di pronunce (Cass. n. 30134, 30135, 30136, 32702 del 2018 e nn. 422 e 2283 del 2019) in base al seguente principio di diritto: In tema di successione di contratti di lavoro a termine in somministrazione, l’impugnazione stragiudiziale dell’ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l’altro sia decorso un termine inferiore a quello di sessanta giorni utile per l’impugnativa, poiché l’inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro – il quale potrà determinarsi solo “ex post”, a seguito dell’eventuale accertamento della illegittimità del termine apposto – comporta la necessaria conseguenza che a ciascuno dei predetti contratti si applichino le regole inerenti la loro impugnabilità.

6. Con tali pronunce è stato richiamato e condiviso l’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 2420 del 2016, con cui era stato affermato che il termine di decadenza di cui all’art. 6 della legge n. 604 del 1966, come successivamente modificato, decorre, per i contratti di somministrazione, dalla data di scadenza originariamente pattuita, in quanto il potenziale rinnovo per un numero indefinito di volte di tale tipologia di contratto, a differenza di quanto previsto per i contratti a termine, non autorizza di per sé il lavoratore a nutrire alcun affidamento. In continuità con tale principio, è stato ritenuto che la singolarità dei contratti di somministrazione e l’inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro evidenzia la necessità che a ciascuno di essi si applichino le regole inerenti la loro impugnabilità, venendo altrimenti anticipata in modo non giustificato una eventuale considerazione unitaria del rapporto lavorativo, estranea al fatto storico allegato, il cui rilievo giuridico è oggetto della domanda avanzata. E1 stato ritenuto non pertinente il richiamo ai fatti impeditivi della decadenza (art. 2966 cod. civ.), in quanto specificamente previsti e, dunque, non suscettibili di applicazione estensiva ed analogica.

7. In sede di memoria ex art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., parte ricorrente ha sollecitato questa Corte a rivedere tale indirizzo interpretativo, in quanto esso comporterebbe un’eccessiva compromissione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. In particolare, sostiene che l’onere di impugnare ciascun contratto di somministrazione entro il termine di sessanta giorni dalla sua conclusione esporrebbe il lavoratore alla conseguenza, pressoché certa, del mancato rinnovo del contratto.

7.1. Richiama la direttiva europea 2008/104/CE relativa al lavoro tramite agenzia interinale e, segnatamente gli artt. 6 e 10, che si indirizzano agli Stati membri: a) per l’adozione delle “..misure necessarie affinché siano dichiarate nulle o possano essere dichiarate nulle le clausole che vietano o che abbiano l’effetto di impedire la stipulazione di un contratto di lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione b) per la previsione di un “regime di sanzioni applicabili a violazioni delle disposizioni nazionali di attuazione della medesima direttiva” e per l’adozione di “…ogni misura necessaria a garantirne l’attuazione”.

8. Ad avviso del Collegio, tali rilievi non sono concludenti per una rivisitazione del suddetto indirizzo interpretativo, né di conseguenza sono ravvisabili i presupposti per la rimessione della causa alla pubblica udienza.

8.1. Il primo degli argomenti non integra una ragione giuridica, ma si fonda su una considerazione di mero fatto, peraltro genericamente prospettata, e d’altra l’ipotesi del rinnovo del contratto è una mera aspettativa (anche se di plausibile realizzazione), non potendosi escludere che sia inviato dall’agenzia di somministrazione all’utilizzatore un lavoratore diverso dal precedente, e comunque non è dato conoscere all’interessato preventivamente se e quando un nuovo contratto di somministrazione verrà concluso.

8.2. Il secondo rilievo, che sostanzialmente ravvisa nella previsione di un termine di decadenza applicato ai singoli contratti di somministrazione un contrasto con il diritto dell’Unione – per costituire tale previsione un fattore di ostacolo o impedimento alla “stipulazione di un contratto di lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione” (art. 6, comma 2 della direttiva 2008/104/CE), non appare meritevole di accoglimento:

a) innanzitutto, le previsioni di cui agli artt. 6 e 10 della direttiva 2008/104/Ce, al pari di quelle contenute nell’art. 4 della stessa direttiva (riesame dei divieti e delle restrizioni) si rivolgono agli Stati membri dell’Unione; al riguardo, la CGUE, con la sentenza del 17 marzo 2015 causa C- 533/13, ha chiarito che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia interinale, deve essere interpretato nel senso che esso si rivolge unicamente alle autorità competenti degli Stati membri, imponendo loro un obbligo di riesame al fine di garantire che eventuali divieti o restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale siano giustificati e, dunque, che lo stesso non impone alle autorità giudiziarie nazionali l’obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione di diritto nazionale che preveda divieti o restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale che non siano giustificati da ragioni di interesse generale ai sensi del suddetto articolo 4, paragrafo 1. Lo stesso ordine argomentativo deve orientare per l’interpretazione del successivo art. 6;

b) la direttiva 2008/104/CE non è autoapplicativa e vincola gli Stati membri soltanto al raggiungimento dell’obiettivo di uno standard uniforme di tutele del lavoratore, lasciando agli Stati stessi la scelta della forma e dei mezzi; essa è stata trasposta nell’ordinamento nazionale con il d.lgs. 2 marzo 2012, n. 24 (quando erano già vigenti nell’ordinamento le disposizioni introdotte dal c.d. Collegato lavoro, art. 32, comma 4, legge n. 183 del 2010); non risulta che siano state devolute ai giudici di merito questioni interpretative relative alla normativa di attuazione della direttiva europea in relazione agli effetti dell’istituto della decadenza introdotto dalla legge n. 183 del 2010;

c) infine, per completezza, va richiamata la sentenza della Corte di Giustizia UE 11 aprile 2013, C-290/12, Della Rocca, con la quale è stato escluso che la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato e l’accordo quadro medesimo allegato a tale direttiva, si applichino al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore interinale e un’agenzia di lavoro interinale e al rapporto di lavoro a tempo determinato tra tale lavoratore e un’impresa utilizzatrice – cioè alla somministrazione di lavoro a termine – che sono specificamente disciplinati dalla direttiva 2008/104/CE del 19 novembre 2008 relativa al lavoro tramite agenzia interinale (recepita in Italia con il d.lgs. 2 marzo 2012, n. 24). (“37. Si deve rilevare in proposito che l’esclusione prevista da detto preambolo dell’accordo quadro riguarda il lavoratore interinale in quanto tale, e non l’uno o l’altro dei suoi rapporti di lavoro, con la conseguenza che tanto il suo rapporto di lavoro con l’agenzia di lavoro interinale quanto quello sorto con l’azienda utilizzatrice esulano dall’ambito di applicazione di tale accordo quadro”); nel diritto UE le due fattispecie giuridiche restano distinte e sono regolate da fonti diverse.

9. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi recentemente, come peraltro anche l’odierno ricorrente ha dato atto in sede di memoria ex art. 380 bis. 1 cod. proc. civ..

9.1. Costituisce ius receptum il principio secondo cui, in tema di somministrazione di lavoro, la decadenza di cui all’art. 32, comma 4, 1. n. 183 del 2010, e la conseguente proroga di cui al comma 1-bis del medesimo articolo, si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione scaduti alla data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010), senza la necessità di una specifica previsione di deroga all’art. 11 prel. cod.civ, atteso che la nuova norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto ma solo il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione perché ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora consumati (così Cass. nn. 7788 del 2017, 12984, 24598, 30134, 30135, 30136 e 30153 del 2018 e, da ultimo n. 160 del 2019, che, dando continuità a Cass. n. 2420 del 2016, hanno definitivamente superato il contrario ed isolato avviso espresso da Cass. nn. 21916 del 2015 e 2462 del 2016)

9.2. In tale contesto, giova pure ribadire che l’art. 32, comma 1-bis, della l. n. 183 del 2010, introdotto dal d.l. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla l. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato art. 6 della l. n. 604 del 1966, sicché, con riguardo ai contratti a termine, nonché ai contratti a termine in somministrazione, non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla ratio legis di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione ex novo del suddetto e ristretto termine di decadenza (Cass. n. 25103 del 2015; Cass. S.U. n. 4913 del 2016; con particolare riguardo all’applicabilità ai contratti in somministrazione già scaduti alla data del 24.11.2010 cfr. Cass. 2420 del 2016, Cass. n. 7788 del 2017, nonché, da ultimo, Cass. n. 30134 del 2018).

9.3. L’introduzione del nuovo termine di decadenza con efficacia ex nunc non determina una violazione degli artt. 24 Cost., 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE o 6 e 13 della CEDU, essendo stato assicurato un ambito temporale quantitativamente congruo per la conoscibilità della nuova disciplina, attesa la proroga disposta “in sede di prima applicazione” dal citato comma 1-bis (v. Cass. n. 7788 del 2017; conf. Cass. n. 23619 del 2018).

10. Deve poi osservarsi che non è stata specificamente impugnata la sentenza di appello nella parte in cui è stato affermato, ancorché “per mera completezza”, che gli stessi contratti per i quali era stata ritenuta la decadenza erano comunque da ritenere legittimi. La Corte territoriale ha infatti ritenuto ascrivibili alle ragioni di cui all’art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 276 del 2003, le “punte di intensa attività” non fronteggiabili con il ricorso al normale organico, ed anche il semplice riferimento alle stesse è stato considerato “valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. e” (cfr. Cass. 20010 del 2018, Cass. n. 8148 del 2018, Cass. n. 17865 del 2016, Cass. n. 21001 del 2014, Cass. 3 aprile 2013 n. 8120, Cass. 21 febbraio 2012, n. 2521). Tale distinta ratio decidendi non ha formato oggetto di alcuno specifico motivo di impugnazione e dunque è passata in giudicato.

11. In conclusione, il ricorso va respinto.

12. Tenuto conto che la questione oggetto del primo motivo di ricorso è stata risolta solo recentemente da questa Corte, in epoca successiva all’introduzione del giudizio di legittimità, e, quanto al secondo motivo, che l’orientamento espresso da Cass. n. 2420 del 2016 ha trovato conferma nella giurisprudenza formatasi negli anni 2017 e seguenti (in precedenza vi era, difatti, un contrasto giurisprudenziale), le spese del presente giudizio sono compensate integralmente tra tutte le parti del giudizio.

13. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.