Corte di Cassazione, ordinanza n. 13840 depositata il 19 maggio 2023
base imponibile dei contributi previdenziali – contratti leader o trainanti
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di Torino, confermando la pronuncia del Tribunale di Verbania, ha rigettato l’opposizione ad avviso di addebito emesso nei confronti della società cooperativa “A. Scarl s.r.l.” a titolo di contributi, somme aggiuntive, sanzioni di mora e compensi di riscossione per l’ammontare di Euro 55.930,57, derivante dall’avere, la predetta società, per il periodo 2009 – 2010, erroneamente individuato quale parametro di individuazione della cd. retribuzione virtuale, ossia della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, quella prevista dal c.c.n.l. Logistica sottoscritto da Unci e Fast Consal, in luogo che dal c.c.n.l. Logistica trasporto merci e spedizione sottoscritto da Confcooperative- Lega Coop – AGCI e Filt Cgil – Fit Cisl – Uil Trasporti, potendo, solo il secondo, considerarsi come stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative della categoria;
in presenza di una pluralità di fonti contrattuali applicabili alla medesima categoria, la Corte territoriale ha ritenuto che il c.c.n.l. Confcooperative – Lega Coop – AGCI e Filt Cgil – Fit Cisl – Uil Trasporti dovesse essere considerato quale “contratto leader” ai fini della determinazione del minimale contributivo ai fini previdenziali, in virtù della superiore rappresentatività in termini comparativi delle associazioni sindacali stipulanti, requisito adeguatamente provato in giudizio dall’INPS sulla base di indici quali la consistenza associativa, la diffusione territoriale ed il numero di contratti collettivi stipulati;
quanto alle somme aggiuntive richieste con l’avviso di addebito, richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità, la Corte d’appello ha sancito la legittimità dell’operato dell’INPS, ritenendo che l’applicazione erronea del CCNL da parte del datore di lavoro postulasse l’occultamento di una parte della base imponibile a fini previdenziali, e che tale condotta fosse idonea a generare, in capo all’obbligato, una responsabilità a titolo di evasione e non di mera omissione contributiva;
la cassazione della sentenza è domandata dalla società cooperativa “A. Scarl s.r.l., sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria;
l’INPS ha depositato controricorso;
all’Adunanza il Collegio si è riservato il termine di 60 giorni per il deposito dell’ordinanza.
CONSIDERATO CHE:
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., la società ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 25, legge n. 549 del 1995, dell’art. 13 del d.lgs. n. 124 del 2004 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., per avere, la Corte d’appello, erroneamente affermato che i dati relativi non alla categoria ma alle confederazioni fanno presumere che anche nella categoria ci sia lo stesso rapporto”;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 25, legge n. 549 del 1995 e dell’art. 1 d.l. n. 338 del 1989 convertito in legge n. 389 del 1989, per avere erroneamente affermato che in ogni categoria deve essere applicato solo un contratto collettivo stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi”;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., contesta “Violazione dell’art.1, co.217 della legge n. 662 del 1996 e dell’art. 116, c.8, legge n. 388 del 2000, per avere erroneamente affermato che si applicherebbe il regime dell’evasione e non dell’omissione qualora il datore di lavoro applichi un contratto collettivo diverso da quello previsto dalla legge per il calcolo dell’imponibile previdenziale;
i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per intima connessione, concernendo entrambi la selezione del cd. contratto leader da parte della corte di merito, non meritano accoglimento;
la normativa menzionata in epigrafe, infatti, non appare diretta ad assicurare la conciliazione tra il diritto di organizzazione sindacale e la selezione della categoria di riferimento (espressione della corrispondente libertà di associazione datoriale), come pare prospettare la difesa della ricorrente; tale ultima esigenza è infatti assicurata dall’avere, l’ordinamento, riconosciuto in via pregiudiziale la fonte contrattuale quale parametro prioritario di riferimento per il calcolo della misura del minimale contributivo, e, soltanto in presenza di condizioni migliorative, il contratto individuale;
quanto alla capacità di scelta della fonte collettiva ai fini della determinazione della misura dell’obbligo previdenziale, fra tutte quelle astrattamente applicabili (anche di diverso livello), essa non è devoluta all’autonomia datoriale, bensì è una scelta che il legislatore riserva a sé, escludendo la possibilità che la stessa possa essere oggetto di deroga da parte dei contraenti;
il diverso tema che emerge, nel caso della selezione della fonte collettiva applicabile ai fini della determinazione della misura dell’obbligo previdenziale, è quello per il quale il legislatore ha inteso far entrare in gioco la fonte contrattuale consentendo la traslazione, sul piano collettivo, della garanzia in capo ai lavoratori di conseguire quel trattamento pensionistico (obbligatorio) “adeguato” cui fa espresso riferimento l’art. 38 Cost.;
in un settore nel quale le parti sociali hanno stipulato una pluralità di strumenti contrattuali, anche del medesimo livello, l’esigenza concreta che si pone ai fini contributivi, è quella di individuare, nella possibile giungla di trattamenti e di voci retributive, lo strumento trainante (definito, per ciò stesso “leader”), quale quello che meglio degli altri appare in grado di rappresentare le caratteristiche, anche soggettive dell’impresa nonché la storia contributiva dei lavoratori interessati alla definizione del minimale contributivo, per un verso, preservando le esigenze di eguaglianza e di solidarietà, per un altro verso, scongiurando un aumento incontrollato della spesa previdenziale pubblica;
in proposito, la giurisprudenza di legittimità in tema d’imponibile contributivo ritiene pacificamente che, quando ci s’imbatte in una pluralità di fonti contrattuali, non è sufficiente indicare in modo generico la categoria derivante dal ramo d’azienda a cui il datore stipulante appartiene, dovendo accertarsi che il trattamento retributivo da porre a base del minimale sia quello e solo quello negoziato dalle organizzazioni e dalle associazioni comparativamente più rappresentative;
tale orientamento è tributario al principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, posto a fondamento si svariate pronunce della giurisprudenza di legittimità, relative a fattispecie anche sensibilmente diverse (in tema di orario di lavoro quale parametro della retribuzione contributiva, cfr. Cass. n. 4676 del 2021, per le peculiarità del settore dell’edilizia, oltre che, in generale, Cass. n. 16859 del 2020, Cass. n. 15120 del 2019, n. Cass. n. 4899 del 2017; in tema di irrilevanza della violazione della percentuale di lavoratori con contratto part time ai fini dell’applicazione del minimale contributivo, cfr., Cass. n. 16859 del 2020; cfr. anche Cass. n. 13650 del 2019; sull’estensione anche ai fini contributivi, della responsabilità solidale dell’impresa committente nei confronti dei lavoratori assunti in violazione del divieto di subappalto, cfr. Cass. n. 27382 del 2019, ove si afferma l’esistenza di una relazione immanente e necessaria tra retribuzione dovuta secondo la legge previdenziale e pretesa impositiva dell’ente preposto ad attuare la tutela previdenziale); in altri termini, anche alla luce della giurisprudenza richiamata, può affermarsi che la scelta “a monte” operata dal legislatore nell’individuazione della fonte collettiva ai fini della concreta determinazione della base contributiva imponibile, costituisca l’ulteriore conferma dell’autonomia dell’obbligazione contributiva da quella retributiva, in virtù delle esigenze diverse a cui esse si ispirano, e, maggiormente, all’esigenza di salvaguardia dell’ unitarietà e della tenuta del sistema previdenziale.
sebbene, come si è appena affermato, i primi due motivi non siano idonei a confutare la motivazione della Corte territoriale, la quale ha dato corretta attuazione alla nozione di “contratto leader” come prevista dalle norme di legge, non può tacersi che gli stessi presentano un assorbente profilo di inammissibilità, dovuto alla carenza di allegazione dei contratti collettivi su cui la ricorrente fonda le sue doglianze;
trattandosi di fonti collettive di diritto comune, in base a quanto costantemente ritenuto da questa Corte, la parte che intende contestarne la violazione ha l’onere di produrne e allegarne la fonte in giudizio (cfr. per tutte Cass. n. 6394 del 2019; Cass. n. 19507 del 2014), ma tale incombente non risulta essere stato adempiuto dalla parte ricorrente;
il terzo motivo, con cui la società lamenta l’ingiustizia della misura delle sanzioni civili irrogate a titolo di evasione, in quanto più onerosa rispetto ai parametri di legge fissati per l’omissione contributiva, va rigettato;
così come correttamente riferito dal controricorrente nel proprio atto difensivo (p.8 contr.), la giurisprudenza cui si richiama la società è stata superata da un orientamento più recente, il quale riconosce, in materia contributiva, la sussistenza della responsabilità a titolo di evasione qualora sia stato accertato, come nel caso in esame, l’elemento intenzionale (Cass. n. 17535 del 2017, che richiama Cass. n. 5281 del 2017 e Cass. n. 17119 del 2015);
in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della l. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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