CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 16260 depositata l’ 8 giugno 2023

Lavoro – Sospensioni di lavoro concordate per crisi aziendali – Minimale contributivo – Impossibilità di modulare l’obbligazione contributiva in funzione dell’orario o della presenza al lavoro – Imponibile contributivo determinato sul «dovuto» e non su quanto «di fatto erogato» – Delibera dello stato di crisi – Riduzione della retribuzione dei soci di cooperativa al di sotto dei minimi contrattuali fissati dal CCNL di categoria – Irrilevanza sulla regola del minimale contributivo – Rigetto

Rilevato che

1. la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della decisione di primo grado, dava atto del pagamento, da parte della Cooperativa A.S. S.c.r.l. (di seguito, Cooperativa), delle somme richieste dall’INPS e dall’INAIL con riferimento agli addebiti relativi ai lavoratori impiegati nel servizio appaltato da D.A. S.pa; dichiarava, invece, dovute dalla Cooperativa le somme e gli accessori richiesti dagli Enti in epigrafe, a titolo di mancato versamento dei contributi e premi assicurativi per i giorni in cui i soci erano in permesso non retribuito nel periodo gennaio 2012/luglio 2014;

2. per quanto ancora in discussione, la Corte di appello, richiamati i principi di Cass. nr. 15120 del 2019, quanto all’imponibile retributivo, in caso di sospensioni di lavoro concordate per crisi aziendali, ha osservato come, con riferimento al periodo sopra specificato, gli accordi individuali intervenuti tra la Cooperativa e i lavoratori ed il loro generico presupposto di regolamento interno-non corrispondessero al paradigma normativo eccettuativo dell’obbligo contributivo che, invece, poteva riconoscersi per il successivo periodo, in forza della delibera dello stato di crisi adottata dalla Cooperativa in data 18 luglio 2014; ne conseguiva l’irrilevanza della prova richiesta, anche in appello, in particolare con riguardo alle presunte ragioni personali a fondamento dei permessi fruiti da alcuni dei lavoratori, parimenti rientranti nel novero di semplici accordi individuali, inidonei a modificare l’imponibile retributivo della contribuzione dovuta;

3. ha proposto ricorso per cassazione, la società cooperativa, con quattro motivi, resistito dall’INPS e dall’INAIL;

4. parte ricorrente ha depositato memoria;

5. all’adunanza camerale, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art. 380 bis 1, comma 2, cod.proc.civ.).

Considerato che

6. con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 del DL nr. 338 del 1989, convertito con legge nr. 389 del 1989, e dell’art 12 disp. sulla legge in generale, per avere la sentenza impugnata ritenuto che i contributi e i premi siano dovuti anche in presenza di assenze del lavoratore, nel caso di sospensione concordata che costituisca il risultato di un accordo non riconducibile alle ipotesi previste dalla legge o dal contratto collettivo;

7. con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 del DL nr. 338 del 1989, convertito con legge nr. 389 del 1989, e degli artt. 1,3,4 e 6 della legge nr. 142 del 2001 e dell’art 12 disp. sulla legge in generale, per avere la sentenza impugnata affermato che, nelle società cooperative, soltanto la delibera di uno stato di crisi consente di derogare in peius al trattamento economico minimo previsto dalla contrattazione collettiva, con la conseguenza che, in mancanza di un piano di crisi aziendale, i contributi sono dovuti anche per le ore non lavorate nonostante la sospensione concordata del rapporto e le assenze per esigenze personali dei soci;

8. con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 4 e 6 della legge nr. 142 del 2001 e dell’art 12 delle disp.  sulla legge in generale per avere la Corte di appello ritenuto che le disposizioni contenute nei regolamenti interni della cooperativa non fossero sufficienti a legittimare la sospensione del rapporto di lavoro, disposta a fronte di un calo di commesse che non garantiva la piena occupazione di tutti i soci;

9. con il quarto motivo, infine, è dedotta la violazione dell’art 111, co 6, Cost. e dell’art 132, comma 2, nr. 4 cod.proc.civ., risultando il processo decisionale solo apparente e comunque viziato da insanabile contraddizione nella parte in cui il decisum della sentenza è sorretto dall’orientamento giurisprudenziale richiamato senza una specifica presa di posizione rispetto alla correttezza dello stesso;

10. i motivi possono congiuntamente esaminarsi, per la loro stretta connessione, e sono infondati;

11. in primo luogo, va osservato come l’iter argomentativo della sentenza impugnata rispetti ampiamente il cd. minimo costituzionale(v. Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014). Come sinteticamente riportato nello storico di lite, il decisum è sorretto da chiare e comprensibili argomentazioni, con sostanziale applicazione dei principi che di seguito vanno ad illustrarsi;

12. secondo la giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi dopo Cass., sez. un., nr. 11199 del 2002, l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali, ai sensi del D.L. nr. 338 del 1989, art. 1 (conv. con legge nr. 389 del 1989), non può essere inferiore all’importo del c.d. «minimale contributivo», ossia all’importo di quella retribuzione che ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale. Tale regola è espressione del principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, in virtù del quale l’obbligo contributivo ben può essere parametrato ad un importo superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro e – com’è stato chiarito da Cass. nr. 15120 del 2019 – la sua operatività concerne non soltanto l’ammontare della retribuzione c.d. contributiva, ma altresì l’orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva (o dal contratto individuale, se superiore):

è infatti evidente che, se ai lavoratori venissero retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e la contribuzione dovuta venisse modulata su tale minore retribuzione, non vi potrebbe essere rispetto del minimale contributivo nei termini dianzi ricordati e ne verrebbe vulnerata la stessa idoneità del prelievo a soddisfare le esigenze previdenziali e assistenziali per le quali è stato istituito (v. in tal senso già Corte Cost. n. 342 del 1992);

13. ciò equivale a dire che non sussiste alcuna possibilità per i datori di lavoro di modulare l’obbligazione contributiva in funzione dell’orario o della stessa presenza al lavoro che abbiano concordato con i loro dipendenti: l’obbligazione relativa ai contributi deve piuttosto ritenersi affatto svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta e semmai connotata da caratteri di predeterminabilità e oggettività, anche in funzione della possibilità di un controllo da parte dell’ente previdenziale, per modo che rimane dovuta nell’intero ammontare previsto dal contratto collettivo anche nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione della prestazione lavorativa che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro e non da ipotesi previste dalla legge e dal contratto collettivo medesimo, quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione (così, espressamente, Cass. nr. 4676 del 2021 e Cass. nr. 15120 del 2019, sulla scorta di quanto già affermato da Cass. nr. 13650 del 2019 che ha in tal senso superato il diverso principio affermato da Cass. nr. 24109 del 2018);

14. il cit. D.L. n. 338 del 1989, art. 1, infatti, nel prevedere che la retribuzione da assumere quale base di calcolo dei contributi previdenziali non possa essere «inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quella prevista dal contratto collettivo», non si limita a ribadire quanto già desumibile dalla legge nr. 153 del 1969, art. 12, ossia che l’imponibile contributivo si determina sul «dovuto» e non su quanto «di fatto erogato», ma pone il diverso e ulteriore principio per cui la retribuzione «dovuta» in relazione al sinallagma del rapporto di lavoro risulta rilevante solo se è superiore ai minimi previsti dal contratto collettivo, mentre in caso contrario non rileva e vale la misura minima determinata dal contratto collettivo. Vale a dire che non ogni alterazione del sinallagma funzionale del rapporto di lavoro, per quanto possa incidere sull’an e sul quantum dell’obbligazione retributiva, è rilevante ai fini della commisurazione dell’obbligazione contributiva: quest’ultima segue infatti proprie regole, potendo risultare dovuta perfino in assenza di alcun obbligo retributivo a carico del datore di lavoro (così testualmente, Cass. nr. 4676 del 2021 che richiama, in proposito, Cass. nr. 4899 del 2017);

15. si è, quindi, affermato che «finanche la forza maggiore non imputabile al datore di lavoro, pur potendo liberare il lavoratore dall’obbligo della prestazione ed il datore di lavoro dall’obbligo di corrispondere la retribuzione, non acquista rilevanza ai fini della determinazione dell’obbligazione contributiva se non in quanto vi sia una clausola del contratto collettivo di settore che attribuisca alla “forza maggiore” la qualità di causa di sospensione del rapporto di lavoro» (Cass. nr. 4676 del 2021 cit.) e, con specifico riferimento alle cooperative, che «la regola del cd. minimale contributivo […] si applica anche nel caso in cui una cooperativa, ai sensi dell’art. 6 della l. n. 142 del 2001, deliberi uno stato di crisi che comporti la riduzione della retribuzione dei soci al di sotto dei minimi contrattuali fissati dal c.c.n.l. di categoria, non rientrando tale delibera tra le fonti che […] individuano la retribuzione minima da assumere come parametro per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale, né facendo l’art. 6 alcun riferimento agli obblighi contributivi» (Cass. nr. 37020 del 2021; Cass. nr. 2019, n. 15172);

16. agli indicati principi deve essere assicurata continuità in questa sede, dovendo solo precisarsi che le anzidette conclusioni non sono suscettibili di essere messe in discussione dalle argomentazioni contenute in una recente pronuncia, richiamata in memoria dalla parte ricorrente, che, a proposito della regola del minimale contributivo, farebbe salva l’ipotesi in cui «la controprestazione non sia stata resa per assenza del lavoratore o sospensione concordata, da provarsi da parte del datore» (Cass. n. 22127 del 2022); indipendentemente dal fatto che l’indicata affermazione costituisce mero obiter dictum, essa è resa attraverso il richiamo di Cass. nr. 13650 del 2019 e di Cass. nr. 4676 del 2021 che, invece, criticamente hanno inteso superare proprio l’affermazione in questione;

17. sulla base di quanto precede, il ricorso va, dunque, rigettato, con le spese che seguono la soccombenza e si liquidano, in favore di ciascuna parte controricorrente, come da dispositivo;

18. sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 4500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.