Corte di Cassazione ordinanza n. 1492 depositata il 23 gennaio 2020
contenzioso tributario – correzione della sentenza
RILEVATO CHE:
– C.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 21 settembre 2016, di accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2007, era stata rettificata la sua dichiarazione e recuperate le imposte non versate;
– con sentenza depositata il 22 marzo 2019 questa Corte ha rigettato tale ricorso, affidato a due motivi, condannandolo alla rifusione delle spese del giudizio e al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115;
– il ricorrente chiede provvedersi alla correzione della sentenza evidenziando la non pertinenza della motivazione, apparentemente riferibile a diversa situazione fattuale;
– la parte deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;
CONSIDERATO CHE:
– il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento, causato da mera svista o disattenzione e, come tale, rilevabile ictu oculi (cfr. Cass. 14 febbraio 2019, n. 4319; Cass. 31 maggio 2011, n. 12035);
– l’errore materiale è, dunque, quello che non incide sul contenuto sostanziale della decisione, ma investe la manifestazione del pensiero all’atto della formazione del provvedimento (cfr., altresì, Cass. 26 settembre 2011, n. 19601);
– non può, pertanto, farsi ricorso a procedimento di correzione solo quando il giudice intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo perché in questo modo si viene a conferire alla sentenza «corretta» un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso;
– nel caso in esame, viene in rilievo, quanto alla motivazione della decisione di inammissibilità del secondo motivo di ricorso, una argomentazione non pertinente, verosimilmente riferita ad altro giudizio ed erroneamente ivi inserita, in luogo di quella propria, per apparente errore nell’utilizzo dello strumento informatico, in relazione al mancato inserimento del(la parte del) file appropriato;
– si tratta, dunque, di un errore che non attiene al contenuto sostanziale della sentenza, ma solo alla manifestazione del pensiero sottostante la decisione assunta, e che non è idoneo a dare luogo ad un contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, ostativo del ricorso alla procedura di correzione di errore materiale;
– infatti, il tenore della sentenza non consente alcun dubbio circa l’intenzione del Collegio di dichiarare inammissibile il motivo del ricorso;
– pertanto, la sentenza oggetto del presente procedimento deve essere corretta mediante la sostituzione del par. 3.1. con quanto segue:
«3.1. Il motivo è inammissibile. Censurando contestualmente la violazione di diversi parametri normativi, nonché l’error in procedendo, il motivo prospetta una pluralità di questioni, consistenti, sostanzialmente, nella insussistenza dei presupposti per la rettifica della dichiarazione, nel difetto di motivazione dell’atto impositivo e nell’erronea rideterminazione del reddito. Una siffatta articolazione della censura è inammissibile in quanto, da un lato, costituisce una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiede un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (così, Cass. 14 settembre 2016, n. 18021).
3.2. In ogni caso, quanto alla dedotta insussistenza dei presupposti per la rettifica della dichiarazione, operata dall’Ufficio ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. c), d.P.R. n. 600 del 1973, la Commissione regionale ha ritenuto che il rinvenimento di documentazione extracontabile presso la mandante K. s.a. evidenziasse l’irregolare tenuta della contabilità da parte del contribuente. Ha, in tal modo, fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui l’accertamento, ai sensi degli artt. 39, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 600 del 1973, può fondarsi su verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, senza che per l’utilizzabilità dei medesimi sia richiesta l’instaurazione di un previo contraddittorio nei confronti del soggetto cui è riferita la rettifica, non potendosi tale onere desumere in via interpretativa, sul piano sistematico, dall’ordinamento tributario in sede di mera raccolta degli elementi di prova (cfr. Cass., ord., 13 luglio 2017, n. 17260).
3.3. Non può trovare ingresso la censura della sentenza impugnata per violazione delle disposizioni in tema di motivazione dell’atto impositivo, perché priva della necessaria specificità, in quanto la questione giuridica sollevata dalla parte non risulta essere stata trattata in alcun modo nella sentenza impugnata e la parte medesima non ha assolto l’onere di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di appello, funzionale ad escludere la novità di tale questione (cfr., in tema, Cass., ord., 24 gennaio 2019, n. 2038; Cass., ord., 13 giugno 2018, n. 15430).
3.4. Immune da critiche è, infine, la sentenza impugnata nella parte in cui ridetermina, presuntivamente, il maggior reddito in ragione della percentuale della provvigione accertata, nella misura del 30,88%, in relazione ad un’operazione. Tale elemento costituisce criterio idoneo a fondare la ricostruzione delle provvigioni riscosse anche per le altre operazioni non contabilizzate, avuto, altresì, riguardo alla mancata offerta da parte del contribuente – così come accertato dal giudice di merito – di elementi a sostegno dell’erroneità della valutazione effettuata.»;
– priva di errori materiali è, invece, la restante parte della sentenza, ivi, incluso il richiamato par. 2.1., relativo alla trattazione del primo motivo di ricorso, imperniato sull’asserita violazione dell’art. 9, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e, dunque, dedicato ai «Servizi internazionali connessi agli scambi internazionali», di cui si fa menzione nella motivazione;
– non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente procedimento di correzione, poiché esso ha natura amministrativa e non è, dunque, possibile individuare all’esito di esso una parte vittoriosa e una parte soccombente (cfr., Cass., Sez. Un, ord., 27 giugno 2002, n. 9438)
P.Q.M.
La Corte dispone che la sentenza di questa Corte del 22 marzo 2019, n. 8108, sia corretta così come indicato in motivazione; manda alla Cancelleria di annotare la correzione sull’originale della predetta sentenza.
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