CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 16719 depositata il 13 giugno 2023
Lavoro – Reclamo – Licenziamento – Tutela reintegratoria attenuata – Ragionevole durata del processo – Motivazione per relationem – Assenze da malattia del lavoratore – Recesso del datore di lavoro – Periodo di comporto – Scarso rendimento – Giustificato motivo soggettivo – Rigetto
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da A. – (…) spa (d’ora in poi anche “A.”), confermando la sentenza di primo grado che, al pari dell’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il 25.9.2015 a R.D.B., applicando la tutela reintegratoria attenuata, di cui all’art. 18, commi 7 e 4, della legge n. 300 del 1970, modificato dalla legge n. 92 del 2012.
2. La Corte territoriale ha premesso che il D.B. è stato licenziato per giustificato motivo oggettivo sulla base delle seguenti circostanze: “con riferimento al periodo 1.1.2013/30.6.2016 risulta che il lavoratore è stato assente per brevi ma ripetuti periodi di malattia per complessive 135 giornate lavorative. Tali assenze… sono significativamente superiori rispetto alla media delle assenze del personale appartenente alla stessa categoria del lavoratore risultando, peraltro, prevalentemente adiacenti a periodi di riposo. Al di là delle motivazioni di tali assenze, quanto sopra esposto incide negativamente sull’organizzazione aziendale e sui livelli di produzione del settore cui il lavoratore è stato assegnato, con effetti diretti e negativi sull’organizzazione dell’attività, sul dimensionamento dell’organico e sull’erogazione del servizio”. La Corte di merito ha ritenuto che correttamente il tribunale avesse ricondotto il licenziamento alla previsione dell’art. 2110 c.c. e che il recesso, intimato pacificamente prima del superamento del periodo di comporto, dovesse considerarsi nullo, con applicazione della tutela reintegatoria attenuata, secondo il disposto dell’art. 18, comma 7 cit., risultando irrilevanti le prove dedotte dalla società su elementi diversi rispetto a quello decisivo rappresentato dal mancato esaurimento del periodo di comporto.
3. Avverso tale sentenza A. – (…) spa in amministrazione straordinaria ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria. R.D.B. ha resistito con controricorso.
Considerato che
4. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per genericità della motivazione, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. per motivazione per relationem in riferimento all’art. 2110 c.c., anziché in riferimento alla disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Si critica la sentenza d’appello per aver motivato il rigetto del reclamo aderendo ad un indirizzo giurisprudenziale di legittimità, peraltro contrastante con quello posto a base dell’atto di reclamo, senza illustrare un proprio autonomo convincimento.
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 3, legge n. 604 del 1966 e dell’art. 2110 c.c. La società censura la sentenza impugnata per avere sussunto la fattispecie oggetto di causa nella previsione dell’art. 2110 c.c., anziché in quella del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con particolare riferimento all’ipotesi di eccessiva morbilità, secondo la quale è considerato legittimo il recesso motivato dalle assenze per malattia del lavoratore inferiori al periodo di comporto ove il datore dimostri l’impossibilità di utilizzare la prestazione lavorativa frazionata e il rilevante pregiudizio arrecato dalle citate assenze alla produzione aziendale.
6. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione sulla mancata ammissione dei mezzi istruttori; inoltre, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in connessione con l’art. 115 c.p.c., per genericità della motivazione sulla mancata ammissione dei mezzi istruttori. Si critica la motivazione adottata dai giudici di appello nella parte in cui hanno giudicato irrilevante la prova su circostanze diverse dal superamento del periodo di comporto.
7. Con il quarto motivo si addebita alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, concernente gli scompensi organizzativi causati dalle reiterate assenze del lavoratore. Si assume che la Corte di merito abbia omesso di esaminare tale aspetto avendo erroneamente sussunto la fattispecie nella previsione dell’art. 2110 c.c.
8. Con il quinto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 7, della legge n. 300 del 1970, per avere la sentenza impugnata ritenuto applicabile la tutela reintegratoria attenuata, prevista dalla disposizione citata, in conseguenza dell’erronea sussunzione della fattispecie nell’art. 2110 c.c.
Si sostiene che, qualificato il licenziamento come intimato per giustificato motivo oggettivo, i giudici di merito non avrebbero potuto applicare la tutela reintegratoria in ragione della sussistenza del fatto (le assenze del lavoratore) e della riconducibilità dello stesso agli estremi del giustificato motivo oggettivo di recesso, per le conseguenze negative di dette assenze sull’organizzazione e sulla produzione aziendale.
9. Il primo motivo di ricorso è infondato perché la motivazione formulata mediante rinvio al precedente che costituisce orientamento assolutamente consolidato soddisfa i requisiti richiesti dall’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e il dovere costituzionale di cui all’art. 111 Cost., in ossequio al principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che giustifica la mancata ripetizione delle argomentazioni già esposte, ove condivise dal giudicante e non contrastate da argomenti nuovi (così Cass. n. 13708 del 2015). La motivazione per relationem ad un precedente giurisprudenziale esime il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, purché il percorso argomentativo consenta, comunque, di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato (v. Cass. n. 11227 del 2017); requisiti presenti nella sentenza impugnata (pag. 3) che, attraverso il percorso argomentativo tratto dai precedenti di legittimità, ha comunque scrutinato le censure di parte appellante ed applicato il principio di diritto, espresso su fattispecie analoga, idoneo a risolvere la questione controversia.
10. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
11. Costituisce punto fermo, nella giurisprudenza di questa Corte, che la fattispecie di recesso del datore di lavoro, per l’ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), è soggetta alle regole dettate dall’art. 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali. Ne consegue che il datore di lavoro, da un lato, non può recedere dal rapporto prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto periodo di comporto), il quale è predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall’altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (Cass. n. 1861 del 2010; Cass. n. 1404 del 2012; Cass. n. 31763 del 2018).
12. Le Sezioni Unite della S.C., con la sentenza n. 12568 del 2018, hanno affermato la nullità del licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità; hanno ribadito, in continuità con un orientamento radicato (v. Cass. n. 24525 del 2014; Cass. n. 1404 del 2012; Cass. n. 12031 del 1999; Cass. n. 9869 del 1991), come il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisca una fattispecie autonoma di licenziamento, vale a dire una situazione di per sé idonea a consentirlo, diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo di cui all’art. 2119 cod. civ. e agli artt. 1 e 3 legge n. 604 del 1966; hanno chiarito che il mero protrarsi di assenze oltre un determinato limite stabilito dalla contrattazione collettiva – o, in difetto, dagli usi o secondo equità – di per sé non costituisce inadempimento alcuno (trattandosi di assenze pur sempre giustificate); né per dare luogo a licenziamento si richiede un’accertata incompatibilità fra tali prolungate assenze e l’assetto organizzativo o tecnico-produttivo dell’impresa, ben potendosi intimare il licenziamento per superamento del periodo di comporto pur ove, in concreto, il rientro del lavoratore possa avvenire senza ripercussioni negative sugli equilibri aziendali; hanno statuito che nell’art. 2110, comma 2, cod. civ. si rinviene un’astratta predeterminazione (legislativo-contrattuale) del punto di equilibrio fra l’interesse del lavoratore a disporre d’un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all’organizzazione aziendale (v. da ultimo Cass. n. 27334 del 2022).
13. La Corte d’appello si è attenuta ai principi appena esposti e la decisione assunta si sottrae alle censure di violazione di legge mosse col motivo di ricorso in esame.
14. Non possono condurre a conclusioni diverse i precedenti di legittimità richiamati nel ricorso. La sentenza Cass. n. 12592 del 2016 ha dichiarato inammissibile il ricorso della società avverso la sentenza d’appello che aveva confermato il carattere ritorsivo del licenziamento intimato e le frasi estrapolate dalla ricorrente costituiscono meri argomenti utilizzati nella sentenza a supporto della rilevata inammissibilità, privi come tali di qualunque portata decisoria.
15. La sentenza Cass. n. 18678 del 2014 concerne un’ipotesi di licenziamento per scarso rendimento che costituisce grave inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, suscettibile di licenziamento per giustificato motivo soggettivo (v. Cass. n. 14310 del 2015; Cass. n. 2291 del 2013; Cass. n. 24361 del 2010; Cass. n. 1632 del 2009; Cass. n. 3876 del 2006; Cass. n. 10303 del 2005) e non per giustificato motivo oggettivo, come invece preteso da parte ricorrente. È vero che nel precedente in esame lo scarso rendimento è collegato all’elevato numero di assenze e alla cadenza delle stesse, ma si tratta di pronuncia isolata, là dove la giurisprudenza pressoché unanime, partendo dal presupposto che lo scarso rendimento è caratterizzato da colpa del lavoratore, reputa che esso non possa sostanziarsi nell’alto numero di assenze dal lavoro, ove queste non siano tali da esaurire il periodo di comporto.
16. La sentenza Cass. n. 7701 del 2009 è relativa ad un licenziamento per impossibilità della prestazione dovuta ad inidoneità fisica del prestatore di lavoro. Riguardo al D.B., non è allegata né nella lettera di licenziamento né negli atti di causa una condizione di sopravenuta inidoneità fisica e quindi il precedente invocato risulta non pertinente, dovendosi, peraltro, dare atto di una significativa evoluzione giurisprudenziale su questo tema (v. da ultimo Cass. n. 6497 del 2021 e Cass. n. 9095 del 2023).
17. Il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso sono assorbiti perché formulati sul presupposto della erronea sussunzione della fattispecie concreta nell’art. 2110 c.c., invece in questa sede confermata.
18. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
19. La regolazione delle spese di lite segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
20. Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 6.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. P.L.P. e dell’avv. K.A.G., antistatari.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto
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