CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 6827 depositata il 14 marzo 2024
Lavoro – Licenziamenti disciplinari – Prestazione lavorativa resa in maniera gravemente difforme rispetto alla prassi e alle regole aziendali – Rivalutazione delle prove assunte nei precedenti gradi di giudizio – Giusta causa di licenziamento e proporzionalità della sanzione disciplinare – Clausole generali – Inammissibilità – ove non emerga (e nel caso in esame non emerge) l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio; non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato, dopo averli riuniti, i reclami proposti da D.M. e P.T. avverso la sentenza del Tribunale di Padova n. 204/2019 di rigetto (in fase di opposizione di cui alla legge n. 92/2012, con cui erano state confermate le distinte ordinanze rese in esito alla fase sommaria) dell’impugnativa dei licenziamenti loro intimati il 22/6/2016, a seguito di procedimento disciplinare, da G. SPA, di cui erano dipendenti rispettivamente con mansioni di impiegato commerciale e magazziniere;
2. per quanto qui rileva, in sintesi, la Corte distrettuale, previa ampia ricostruzione in fatto e articolata motivazione sulla valutazione delle prove:
– ha rilevato che la contestazione aveva avuto ad oggetto il caricamento su automezzo destinato a uno specifico cliente (fermato a seguito di ispezione) di merce di significativo valore commerciale (lamiere) non corrispondente ai documenti di trasporto e di maggior valore rispetto a quanto ivi indicato, in contrasto con le procedure interne e di rilevanza esterna;
– ha osservato che l’istruttoria aveva confermato l’esistenza dei fatti contestati, la volontarietà della condotta tenuta, l’insussistenza di prassi diverse dall’annullamento e sostituzione dell’ordine in caso di sua modifica;
– ha ritenuto provata la responsabilità disciplinare di entrambi i lavoratori per avere operato, per la parte di rispettiva competenza, in maniera gravemente difforme rispetto alla prassi e alle regole aziendali, esponendo l’azienda al pericolo di un danno economico grave e al rischio di far circolare merci con documenti di trasporto irregolare, con possibili conseguenti sanzioni amministrative;
– ha ritenuto la sanzione disciplinare espulsiva comminata a entrambi i lavoratori adeguata e proporzionata alla gravità dei fatti contestati;
3. per la cassazione della predetta sentenza ricorre D.M. con dieci motivi; ricorre P.T. con due motivi; resiste la società con distinti controricorsi; le parti hanno comunicato memorie;
4. le impugnazioni avverso la medesima sentenza sono state riunite ai sensi dell’art. 335 c.p.c.; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso D.M. deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., sostenendo che la Corte di Appello non avrebbe posto a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti;
2. con il secondo motivo (art. 360, n. 5, c.p.c.) deduce travisamento della prova per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (errore nell’aver ritenuto provata l’informazione decisiva della difformità tra l’ordine commerciale redatto dal ricorrente e la documentazione elaborata da altri uffici aziendali e con il materiale probatorio rinvenuto nell’ispezione aziendale del camion e nell’aver ritenuto provato l’ordine impartito dal lavoratore di effettuare due pesate unicamente per verificare la capienza del camion, omettendo l’esame di fatti decisivi per la delibazione);
3. con il terzo motivo deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame di fatto decisivo con omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con conseguente travisamento della prova; la Corte di Appello avrebbe errato nell’aver ritenuto irrilevanti e superflue alcune sommarie informazioni in atti, travisando tali elementi probatori;
4. con il quarto motivo deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. con conseguente travisamento della prova, riproponendo espressamente il motivo precedente quale mancato prudente apprezzamento delle suddette prove;
5. con il quinto motivo deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 7 legge n. 300/1970, 8 legge n. 604/1966, 2119 c.c., 115 e 116 c.p.c. 1, comma 59, legge n. 92/2012, censurando l’omessa riapertura dell’istruttoria orale in fase di reclamo;
6. con il sesto motivo deduce (art. 360, n.3, c.p.c.) violazione degli artt. 2104, 2105, 2106, 2119 c.c. in relazione all’art. 18 St. Lav. come riformato dalla legge n. 92/2012 e art. 225 CCNL in vigore nel 2016 per il settore Terziario; sostiene errore della Corte di merito nell’aver ritenuto che la sanzione disciplinare irrogata fosse dovuta a contegno doloso del lavoratore tanto da ledere il rapporto fiduciario con l’azienda e tanto da ravvisare la proporzionalità con la misura non conservativa del licenziamento per giusta causa;
7. con il settimo motivo deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) errore della Corte d’Appello nell’aver ritenuto che la sanzione disciplinare irrogata al dipendente fosse dovuta a contegno doloso dello stesso tanto da ledere il rapporto fiduciario con l’azienda e tanto da ravvisare la proporzionalità con la misura non conservativa del licenziamento per giusta causa, come per il motivo precedente, con riferimento alla mancata valutazione dei procedimenti penali originati da reciproche denunce tra le parti;
8. con l’ottavo motivo deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. e 5 legge n. 604/1966, sostenendo l’errore della Corte d’Appello nell’aver ritenuto che l’azienda abbia adempiuto congruamente all’onere della prova su di essa incombente;
9. con il nono motivo deduce (art. 360. n. 3, c.p.c.) violazione dell’art. 2729 c.c., assumendo che erroneamente è stata ritenuta provata la condotta illecita sulla base di presunzioni non gravi, precise e concordanti;
10. con il decimo motivo deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione degli artt. 2730 c.c. e 115 c.p.c., assumendo che erroneamente è stata ritenuta intervenuta la confessione stragiudiziale ante causam quale fatto non contestato in corso di giudizio;
11. con il primo motivo del proprio separato ricorso P.T. deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c. e 18 legge n 300/1970; sostiene l’erroneità nel valutare la sanzione irrogata, essendo quest’ultima effettivamente sproporzionata, non trattandosi di un’irregolarità, ma di un caso anomalo ed imprevedibile che, tra l’altro, il lavoratore non ha potuto materialmente evitare;
12. con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 132 e 116 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per violazione dell’obbligo di motivazione totalmente mancante o meramente apparente, che dunque non soddisfa il minimo costituzionale;
13. i ricorsi sono entrambi inammissibili;
14. essi infatti mirano, in tutti i motivi, alla rivalutazione delle prove assunte nei precedenti gradi di giudizio, senza tenere conto che il giudizio di cassazione non rappresenta il terzo grado di merito e senza tenere conto dei limiti di ammissibilità della censura di vizio di motivazione in caso di pronuncia cd. doppia conforme di merito, come nel caso in esame;
15. devono essere dichiarati inammissibili il secondo, terzo e settimo motivo del ricorso nell’interesse di D.M. e il secondo motivo del ricorso nell’interesse di P.T. (formulati con riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c.), perché la Corte di Venezia ha confermato integralmente in appello le statuizioni di primo grado, situazione processuale che integra l’ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; qualora la pronuncia di appello confermi la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 26774/2016, n. 29715/2018, n. 20994/2019, n. 8320/2021, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 5947/2023, n. 26934/2023);
16. sono inammissibili il primo, quarto, quinto, ottavo e decimo motivo del ricorso M., in quanto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non è ammissibile, per il tramite dei motivi di ricorso per cassazione, la rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. S.U. n. 34476/2019), in contrasto con il principio secondo cui la denuncia di violazione di legge non può surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata) o valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. n. 20814/2018);
17. spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni, ed involgendo la valutazione delle emergenze probatorie, così come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale deve indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 11933/2003, n. 12362/2006, n. 17097/2010, n. 13485/2014, n. 16056/2016, n. 19011/2017, n. 29404/2017, S.U. n. 34476/2019, n. 15568/2020 n. 20553/2021, n. 23623/2023);
18. segnatamente, non è integrata la violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto deducibile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece, come in questo caso, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107/2013, n. 13395/2018, n. 18092/2020);
19.né è integrata la violazione degli artt. 115, primo comma, e 116, primo comma, c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; è, invece, inammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; la censura in esame esprime una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, che, invece, è riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);
20.il sesto motivo del ricorso M. è inammissibile per difetto di autosufficienza quanto alla lamentata violazione di disposizione contrattuale collettiva, non trascritta o localizzata in modo da consentire di cogliere il nesso tra la relativa doglianza e il capo o i capi della sentenza ritenuti in contrasto con il CCNL;
21. il motivo è, inoltre inammissibile, così come il primo motivo del ricorso T., quanto alla dedotta violazione del principio di proporzionalità;
22.in generale, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.; questa Corte non può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza; tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione; l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n.13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 88/2023; v. anche, Cass. n. 14063/2019, n. 398/2020, n. 707/2020, n. 7567/2020, n. 13625/2020, n. 16784/2020, n. 17321/2020, n. 25977/2020, n. 26043/2023, n. 30866/2023);
23.la giusta causa di licenziamento e la proporzionalità della sanzione disciplinare sono nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici;
24.occorre, pertanto, distinguere tra l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale, che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge, mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito; e sono di competenza inevitabile del giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa;
25.ugualmente non ammissibile risulta il nono motivo del ricorso M., perché spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità;
ove non emerga (e nel caso in esame non emerge) l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio; non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. 22366/2021; Cass. 5279/2020; Cass. 15276/2021, n. 17711/2022);
26.in ragione della soccombenza i ricorrenti devono essere condannati alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo;
27.alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, li dichiara inammissibili.
Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida per ciascun ricorrente in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di ciascun ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.