CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 22495 depositata il 26 luglio 2023

Licenziamento senza preavviso – Ragioni disciplinari – Dirigente – Attività di integrazione del precetto normativo – Individuazione della giusta causa di licenziamento – Attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati

Fatti di causa

1. La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza non definitiva qui impugnata, in parziale riforma di sentenza del Tribunale di Treviso, confermava l’illegittimità del licenziamento senza preavviso per ragioni disciplinari comunicato da P.I. a G.T., dipendente dal 1985, dirigente dal 2010, e per l’effetto accertava il diritto del medesimo al pagamento dell’indennità di mancato preavviso pari a 12 mensilità e dell’indennità supplementare nella misura di 24 mensilità, rimettendo con separata ordinanza la causa in istruttoria ai fini della determinazione del quantum (la porzione di giudizio relativa alla quantificazione del credito risulta dagli atti definita con sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 551/2021).

2. Per quanto rileva in questa sede, la sentenza impugnata ha proceduto a compiuta e articolata ricostruzione della vicenda processuale innanzi al Tribunale di Treviso, nonché della vicenda oggetto di contestazione disciplinare (in un contesto riguardante oltre 1000 dipendenti), collegata a controlli (e possibile alterazione degli stessi) sulla certificazione della qualità del servizio di recapito che sarebbe stata alterata; ha ritenuto la contestazione disciplinare non generica, ma, esaminata specificamente, in relazione ai rispettivi motivi di appello principale e incidentale, la posizione del dirigente coinvolto, è pervenuta ad escludere la prova della consapevolezza da parte del medesimo dell’esistenza di un sistema volto a identificare i soggetti deputati ai controlli anche mediante l’intercettazione delle lettere test, così come del suo personale contributo a creare tale sistema illecito; ha altresì ritenuto che l’utilizzo della presunzione da parte della datrice di lavoro per sostenere la colpevolezza del dirigente licenziato non aveva assunto i caratteri di precisione, gravità e concordanza necessari al fine di consentire provato l’addebito; ha escluso in concreto la qualità di pseudo-dirigente sostenuta dall’interessato nei precedenti gradi di giudizio (ma non più in questa sede); confermando l’illegittimità del licenziamento, ha applicato la tutela risarcitoria collegata alla posizione dirigenziale ed all’assenza tanto di giusta causa quanto di giustificatezza del recesso, corrispondente, appunto, al diritto al pagamento dell’indennità di mancato preavviso e dell’indennità supplementare.

3. La società chiede la cassazione della sentenza impugnata con 2 motivi; resiste controparte con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato con 2 motivi;

entrambe le parti hanno depositato memoria; in sede di discussione il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso per cassazione, la società deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 1175, 1375, 2104, 2105 c.c., 115 c.p.c., in relazione all’affermazione della Corte d’Appello secondo cui le condotte oggetto di contestazione disciplinare non sarebbero tali da configurare una giusta causa di licenziamento; sostiene la falsa applicazione delle norme indicate nella qualificazione della fattispecie sottoposta ad esame e, in particolare, nel giudizio espresso in merito all’incidenza di quelle condotte sulla persistenza del vincolo fiduciario, tenuto conto del ruolo dirigenziale ricoperto dal resistente.

2.Con il secondo motivo, la ricorrente principale deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’onere della prova del fatto giustificativo delle condotte ascritte, spettante, nella prospettazione della società, al dirigente licenziato.

3. Il controricorrente, nella sola ipotesi di accoglimento del ricorso, e a condizione di tale accoglimento, ha dedotto in via incidentale, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), in punto ritenuta tempestività della contestazione disciplinare; con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 7 legge n. 300/1970 e 11, 13 d. lgs. n. 196/2003 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), deducendo illegittimità e inutilizzabilità dei dati acquisiti attraverso la posta aziendale in uso ai dipendenti, in assenza di regolamento o documento informativo atto a disciplinare l’utilizzo della posta elettronica sul luogo di lavoro.

4.Il primo motivo del ricorso principale non è ammissibile.

5. Non è consentita in sede di legittimità la (sollecitazione di una) rivisitazione del merito della controversia. La valutazione delle emergenze probatorie e la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 20553/2021, n. 15276/2021, n. 17097/2010, n. 12362/2006, n. 11933/2003); infatti, il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. 20814/2018, S.U. n. 34476/2019).

6. Questa Corte ha precisato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini dell’individuazione della giusta causa di licenziamento – non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. n.13534/2019; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 14777/2021); occorre, pertanto, distinguere tra l’integrazione a livello generale e astratto della suindicata clausola elastica, che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge, e l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, che rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, in ordine alle connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità, in termini positivi o negativi, all’ipotesi normativa; ne deriva che il sindacato di legittimità sull’applicazione di un concetto giuridico indeterminato deve essere rispettoso dei limiti che il legislatore gli ha posto, attribuendo al giudice del merito uno spazio di libera valutazione e apprezzamento; ne consegue che questa Corte non può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione (Cass. n. 13534/2019 cit., in motivazione, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 88/2023).

7. Nel caso di specie i giudici di merito hanno ritenuto in concreto carente la prova della consapevolezza da parte del dirigente della stessa esistenza del sistema di alterazione dei controlli di qualità del servizio e del suo personale contributo.

Non è perciò centrato il riferimento al precedente esaminato da Cass. n. 34456/2019, in cui, secondo la società ricorrente, le stesse condotte attribuite all’odierno controricorrente sarebbero state ritenute idonee ad integrare il requisito della giusta causa con riferimento a un licenziamento intimato ad altro dipendente di P.I.; non vi, è infatti, identità di presupposti fattuali e di valutazione di responsabilità individuali, e quindi il motivo di ricorso in realtà non critica l’integrazione a livello generale e astratto della clausola elastica, ma la sua applicazione in concreto ed in fatto, riservata, come detto, al giudice di merito.

8. Parimenti inammissibile si rivela il secondo motivo.

9. Affermando che l’onere della prova del fatto giustificativo delle condotte ascritte spettasse al dirigente, la società ricorrente dà per presupposto che tali condotte siano state accertate e qualificate di illiceità. Ma tale presupposto non è presente nella sentenza impugnata che, al contrario, ha qualificato la deduzione di sussistenza dell’addebito e di sua illiceità tratta dalla società in termini di presunzione priva dei caratteri di precisione, gravità e concordanza necessari per fondarne la valenza probatoria. Nuovamente, perciò la censura riguarda il governo delle prove, spettante ai giudici di merito, non essendo il giudizio di Cassazione (come già sopra rilevato) strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021).

10. Il ricorso incidentale, espressamente proposto nella sola ipotesi di accoglimento del ricorso, e a condizione di tale accoglimento, rimane dunque assorbito.

11. Parte ricorrente principale deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio secondo la regola della soccombenza.

12. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso principale consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Condanna parte ricorrente principale alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 7.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.