CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 17438 depositata il 19 giugno 2023
Tributi – Diniego di rimborso IVA – Impugnazione – Attività di accertamento – Eccedenza detraibile – Clausola risolutiva espressa – Avvenuta fatturazione – Emissione della nota di variazione – Accoglimento
Rilevato che
– S.W. impugnava il diniego di rimborso iva ex art. 30, comma 4 del d.p.r. n. 633 del 1972 per l’anno 2014, chiedendo la restituzione di quanto versato a seguito della risoluzione del contratto preliminare di compravendita registrato in data 11 gennaio 2005 e risolto il 3 novembre 2008 con il quale questi si era impegnato a vendere alla società (…) s.r.l un terreno, eccedenza d’imposta che, dunque, era sorta nel 2009 ed era stata via via riportata nelle dichiarazioni successive fino al 2014;
– la CTP di Venezia rigettava il ricorso in quanto riteneva necessario, in caso di risoluzione del contratto, l’esistenza di un accordo scritto e non di una mera comunicazione, da redigersi nella stessa forma prevista per la conclusione del contratto originario; appellava il contribuente;
– con la pronuncia gravata la CTR del Veneto rigettava l’impugnazione; – ricorre a questa Corte il contribuente con atto affidato a due motivi; l’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso S.W. denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., della doglianza per cui il diniego di rimborso si sostanziava nella contestazione della sussistenza a monte dell’eccedenza detraibile, traducendosi di fatto in un provvedimento accertativo dell’esistenza del credito iva risultante in eccesso dalla dichiarazione, con conseguente decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento per decorso dei termini di legge;
– il motivo è infondato;
– in primo luogo, parte ricorrente confonde il potere di accertamento di cui all’art. 57 del d.p.r. n. 633 del 1972, con il quale l’Ufficio richiede maggiori tributi, con il procedimento di rimborso, nel quale il contribuente chiede la restituzione di tributi indebitamente versati, per difetto del presupposto nell’an o nel quantum;
– la disciplina dell’attività di accertamento non trova applicazione alla procedura di rimborso, in quanto l’una e l’altra sono autonomamente regolamentati; inoltre, nell’attività di accertamento attore sostanziale onerato di provare i fatti costituitivi della pretesa è l’Ufficio, mentre nella procedura di rimborso attore sostanziale è il contribuente, in capo al quale grava l’onere di dar prova dei fatti costituitivi del diritto alla restituzione;
– in secondo luogo, questa Corte ha chiarito, nella sua massima espressione nomofilattica, (con la pronuncia recente Cass., sez. uu., sentenza n. 21766 del 29/07/2021) che in tema di rimborso dell’eccedenza detraibile dell’IVA l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento;
– il successivo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 26 c. 2 e 3, 19, comma 1 del d.p.r. n. 633 del 1972 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR erroneamente affermato, riferendosi anche alla pronuncia di primo grado, che il termine di due anni per la proposizione dell’istanza di rimborso era scaduto all’epoca della domanda di restituzione espressa nella dichiarazione iva 2014, applicando la disciplina prevista per gli accordi risolutori, mentre nel presente caso non vi è stato alcun accordo di tal genere ma unicamente la comunicazione, da parte della società (…) promissaria acquirente del terreno, in data (…), della volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa in origine pattuita per il 31 gennaio 2005; – il motivo è fondato;
– come si evince dalla ricostruzione del fatto riportata in ricorso, per vero sintetica, non risulta mai esser stato stipulato alcun accordo espressamente risolutorio tra il contribuente e la sua controparte contrattuale; ben diversamente invece, risulta unicamente essersi avverata una condizione risolutiva del contratto;
– le due situazioni sono del tutto differenti: nella prima le parti stipulano un contratto avente effetti opposti a quello precedentemente posto in essere, di segno quindi contrario con riguardo alla prestazioni ivi dedotte; nella seconda le parti non stipulano nulla ma semplicemente prendono atto dell’avverarsi di una condizione risolutiva già pattuita e divenuta efficace poiché si è avverato l’evento naturale ivi dedotto, il cui verificarsi è del tutto indipendente dalla volontà successiva delle parti;
– quindi deve ritenersi che ove venga in esistenza una causa di risoluzione di un contratto, la cui efficacia dipende da un evento dedotto all’epoca della stipula del contratto che conteneva la clausola, in relazione alla quale il cedente o il prestatore abbia già emesso fattura per il prezzo ed assolto il conseguente obbligo di riscossione e pagamento dell’Iva, il medesimo soggetto abbia tutto il diritto di emettere la nota di variazione e di detrarre l’imposta, a norma dell’art. 26, comma 2, del d.p.r. n. 633 del 1972, “senza che sia necessario attendere un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell’anzidetta causa di risoluzione” (in senso conforme, Cass. 17 giugno 1996, n. 5568; Cass. 8 novembre 2002, n. 15696);
– va da sé che sono qui fatti salvi gli effetti di una eventuale successiva pronuncia giudiziale che, nel determinare l’infondatezza giuridica della dichiarazione risolutiva diparte, confermi le pattuizioni e gli obblighi contrattuali originari;
– in presenza dell’attivazione di una clausola risolutiva espressa frutto di un accordo contrattuale, in dipendenza della quale venga meno per intero o parzialmente un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24 del decreto IVA, si considera pertanto legittima l’emissione – ai sensi dell’art. 26, commi 2 e 9, del d.p.r. n. 633 del 1972 – di una nota di variazione anche in presenza di una contestazione, in sede giudiziale, dei presupposti per l’attivazione della predetta clausola risolutiva espressa, senza che al riguardo si renda “(…) necessario attendere un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell’anzidetta causa di risoluzione”;
– ciò senza che vi sia necessità di formalizzare ulteriormente l’intervenuta risoluzione ove la stessa sia risultato di una clausola contrattuale e non di un autonomo contratto risolutivo tra le parti;
– ne consegue l’obbligo per il cessionario o per il committente di applicare le disposizioni di cui all’art. 26, comma 5, del d.p.r. n. 633 del 1972, secondo il quale “ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi dell’art. 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”;
– pertanto, in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata è cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame del merito nel rispetto dei principi sopra illustrati.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, che statu (…).
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