Corte di Cassazione ordinanza n. 18299 depositata il 7 giugno 2022
motivazione apparente
RILEVATO CHE
– con atto prot. n. 60989 del 12 ottobre 2010 l’Agenzia delle entrate respingeva l’istanza di rimborso presentata tardivamente in data 1.10.2010, oltre i 48 mesi di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 602/73, da Gianfranco Bicaroni – quale ex dipendente della Fiat Auto s.p.a., in servizio fino al 31 ottobre 2002- di asserite maggiori ritenute Irpef subite sulle somme ricevute per il 2002 a titolo di incentivo all’esodo;
-avverso il provvedimento di diniego di rimborso il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Torino deducendo la disparità di trattamento tra uomini e donne per beneficiare dell’aliquota ridotta sulle somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro in base all’art 19, comma 4bis, del TUIR nel testo vigente ratione temporis, disparità risultata ingiustificata alla luce della sentenza della Corte di Giustizia CE del 21.7.2005, procedimento C-207/04; da qui la tempestività dell’istanza di rimborso presentata in data 1.10.2010 essendo, ad avviso del ricorrente, il termine di decadenza previsto dall’art. 38, comma 2, del d.P.R. n. 602/73, decorso non già dalla data della trattenuta Irpef subita nel 2002 ma dall’entrata in vigore del d.I. n. 223/2006 che aveva abrogato l’art. 19, comma 4-bis del TUIR a seguito della richiamata sentenza della Corte di giustizia; peraltro, il decorso di tale termine sarebbe stato impedito (fino al 16 gennaio 2008) dalla condotta dell’Amministrazione che, con la risoluzione n. 112 del 2006, aveva ritenuto non accoglibili le istanze di rimborso parziale dell’imposta pagata da parte dei soggetti di sesso maschile, tra i 50 e i 55 anni al momento della interruzione del rapporto di lavoro, destinatari di incentivi all’esodo in epoca precedente all’entrata in vigore del d.l. n. 223/06;
– la CTP di Torino con sentenza n. 36/05/12 pronunciata il 12.12.2011 accoglieva il ricorso;
-la Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 825/31/2014, dichiarava inammissibile per tardività l’appello proposto avverso la suddetta sentenza dall’Ufficio;
-avverso la suddetta sentenza l’Ufficio proponeva ricorso per cassazione che con ordinanza n. 3542 del 2016 accoglieva il primo motivo del ricorso principale (applicabilità della sospensione feriale al termine per proporre appello) ritenendo assorbiti il secondo motivo dello stesso e l’unico motivo di quello incidentale, con cassazione della sentenza e rinvio dinanzi alla CTR del Piemonte in diversa composizione;
– riassunto il giudizio a cura del contribuente, la CTR del Piemonte, con sentenza n. 995/06/18, depositata in data 7 giugno 2018, riformava la decisione di prime cure, ritenendo tardiva l’istanza di rimborso presentata in data 1.10.2010 una volta scaduto il termine di 48 mesi dalla data di effettuazione della ritenuta (2002) di cui all’art. 38, comma 2, del d.P.R. n. 602/73, essendo stato il rapporto giuridico ormai definito senza che potesse avere alcuna incidenza su di esso la sentenza della Corte di giustizia CE del 21.7.2005, procedimento c-207/04;
-avverso la suddetta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi;
-l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
CONSIDERATO CHE
-con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art 112 c.p.c.;
-il primo motivo è inammissibile;
-premesso che il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, comma 1 c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (Sez. U, Ordinanza n. 32415 del 08/11/2021) nella specie, il motivo difetta in punto di tassatività e specificità, essendo argomentato in modo alquanto generico, tale da non far comprendere la portata della denunciata censura e la omissione di pronuncia nella quale sarebbe incorso il giudice di appello;
– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art 38, 2° comma, del DPR 602/1973 e del DL. 223/2006, “secondo l’interpretazione che lo Stato italiano è stato obbligato ad adottare a seguito dell’emanazione dell’ultima ordinanza della Corte di Giustizia Europea del 16 gennaio 2008” con la circolare n. 62/E del 29 dicembre 2008 per avere la CTR ritenuto erroneamente tardiva l’istanza di rimborso presentata in data 1/10/2010, ancorché, ad avviso del ricorrente, il dies a quo del termine decadenziale previsto dall’art.38, comma 2, del d.P.R. n. 602/73 non potesse essere quello del versamento ma la data di entrata in vigore del d.l. n. 223/2006 (di recepimento della sentenza della Corte di giustizia del 21.7.2005, procedimento C-207/04 ricognitiva dell’illegittimità della norma impositiva interna, di cui all’art. 19 comma 4 bis TUIR), e la condotta dell’Agenzia con la risoluzione n. 112 del 2006 avesse impedito fino al 16 gennaio 2008 il decorso del termine medesimo;
– il motivo è infondato;
-la questione che qui si pone riguarda se il termine di decadenza, previsto dalla normativa tributaria (nella specie, trattandosi d’imposta sui redditi, dall’art. 38 del d.p.r. n. 602 del 1973) per il diritto al rimborso di un’imposta che sia stata dichiarata, in epoca successiva all’indebito versamento, incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia, decorra comunque – come affermato dal giudice di appello – dalla data del versamento o di effettuazione della ritenuta;
-per orientamento consolidato, codesta Corte a Sezioni Unite (n. 13676 del 16/06/2014), ha affermato: «il termine di decadenza per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e decorrente dalla “data del versamento” o da quella in cui “la ritenuta è stata operata”, opera anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia – come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche». Giova ribadire che tale interpretazione ha trovato conforto nei principi, condivisi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell’UE, di certezza del diritto e delle situazioni giuridiche soggettive, cui gli istituti della prescrizione e della decadenza sono finalizzati ed a cui il Legislatore, nel principio della ragionevolezza, deve adeguarsi, salvo l’intangibilità dei c.d. rapporti esauriti. In materia tributaria, sulla base di tali principi, si suole escludere l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito dì diritto comune, proprio in quanto, per il rimborso di imposte non dovute vige un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nei termine previsto dalle singole leggi di imposta, o, in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario. Secondo l’interpretazione unanime, le norme di riferimento in tale materia, sono l’art. 38 d.p.r. n. 602 del 1973, che, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, stabilisce il dies a quo nella “data del versamento” o in quella “in cui la ritenuta è stata operata” nonché l’art. 21, comma 2, del d.lgs n. 546 del 1992, norma residuale e di chiusura del sistema, in virtù del quale «la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione»;
-da tali norme, non può dunque prescindersi ogni qual volta si tratti di stabilire il computo di un termine decadenziale, ricavandosene un’interpretazione rigorosa che identifica nel giorno del versamento il dies a quo (come tale non computabile) del termine di decadenza per l’esercizio del diritto al rimborso dell’importo pagato. Orbene, anche rispetto al caso in esame, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che la decorrenza del termine vada computata comunque dal giorno successivo al versamento poi rivelatosi indebito: il fatto che una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, con effetto retroattivo, abbia dichiarato in contrasto con una direttiva comunitaria self executing una norma nazionale di agevolazione fiscale, ampliandone la portata soggettiva, non è sufficiente a mutare le regole vigenti in materia di decadenza, considerata «la posizione del soggetto che, in vigenza della norma che lo escludeva dal beneficio, è rimasto inerte fino all’intervento della sentenza (o anche successivamente), così trovandosi in tutto o in parte decaduto dal diritto al rimborso”, si trova in una “situazione … recessiva rispetto al principio della certezza delle situazioni giuridiche (tanto più cogente in materia di entrate tributarie), che riceverebbe un grave vulnus, in ragione della sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei rapporti tributari che ne deriverebbe. Spetta, in definitiva, al solo legislatore, in casi come quello in esame (così come in quello del sopravvenire di una legge retroattiva), la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi costituzionali coinvolti, in ordine all’eventuale introduzione di norme che prevedano termini e modalità di “riapertura” di rapporti esauriti.» (cfr. Cass. S.U n. 13676 del 16/04/2014 cit.; Cass. 18145/2019, n. 5320/2018, n. 3793/2016; cfr. Cass n. 14548 del 2019; Cass., sez. 6- 5, n. 32179 del 2019);
– nella specie, il giudice di appello si è attenuto ai suddetti principi nel ritenere legittimo il provvedimento diniego dell’istanza di rimborso presentata in data 1° ottobre 2010 una volta scaduto il termine decadenziale di cui all’art. 38, comma 2, del d.P.R. n. 602/73 decorrente dalla data di effettuazione della ritenuta (2002);-con il terzo motivo, si denuncia, in relazione all’art 360, comma 1, 3 c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione dell’art 92 cpc per avere la CTR condannato il contribuente al pagamento delle spese dei gradi di giudizio incluso quello di legittimità, in modo iniquo e illegittimo, ancorché l’art. 92, comma 2, cit. consenta la compensazione delle spese di lite, come nella specie, per mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti;
-il motivo è inammissibile;
– in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019; U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005);
-in conclusione, il ricorso va rigettato;
-le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 1400,00, oltre spese prenotate a debito;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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