CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 23383 depositata il 1° agosto 2023
Lavoro – Licenziamento disciplinare per giusta causa – Reclamo – Raddoppio del contributo unificato – Appropriazione indebita – Domanda di pagamento dell’indennità di mancato preavviso – Vizio di violazione o falsa applicazione di legge – Mancanza assoluta di motivazione – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – Inammissibilità
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Venezia rigettava il reclamo che G. Santa aveva proposto contro la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 415/2018, che pure aveva respinto la sua opposizione all’ordinanza del medesimo Tribunale, che, nella fase sommaria ex lege n. 92/2012, aveva reietto tutte le sue richieste, gradatamente avanzate, relative al licenziamento disciplinare per giusta causa irrogatogli dalla convenuta B. s.p.a. con comunicazione dell’8.5.2017. La stessa Corte, perciò, condannava la reclamante a rifondere alla reclamata le spese del secondo grado di giudizio, come liquidate, e dichiarava sussistenti nei suoi confronti i presupposti per il c.d. raddoppio del contributo unificato.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, premesso quanto ritenuto dal primo giudice nella sentenza reclamata e riferiti i quattro motivi di gravame formulati dalla G., evidenziava anzitutto che la contestazione disciplinare del 12.4.2017 era composta di 8 pagine, nelle quali in sintesi alla lavoratrice era stata addebitata l’appropriazione di somme che effettivamente erano state rimesse dagli agenti alla società preponente, i quali agenti a loro volta le avevano ricevute dai clienti; il che corrispondeva a cospicui ammanchi iniziati nel 2014 e durati fino al 2017, ed era stato reso possibile attraverso l’uso improprio, pure contestato alla G., sia del cod. 063 che di quello 001 relativo a clienti direzionali non associati, cioè, agli agenti. La Corte, anzitutto, reputava temeraria l’eccezione di genericità della riassunta contestazione e rigettava anche la doglianza della reclamante circa la tempestività della stessa. Nel merito di tali addebiti, poi, la Corte d’appello, in aggiunta a quanto scritto nell’ordinanza del 18.11.2017 e nella sentenza resa in sede d’opposizione a quest’ultima (circa la non contestazione di mansioni e compiti dell’incolpata, la confessione stragiudiziale della stessa e l’offerta di restituzione rateale di quanto sottratto), valorizzava anche la sopravvenuta condanna in sede penale della G. in data 10.10.2018 per appropriazione indebita, proprio per il periodo 2014/2017, per importi addirittura superiori a quelli della contestazione. Riteneva, ancora, che l’assoluta gravità del fatto, anche penalmente rilevante, faceva ritenere assorbite la questione della pubblicità del codice disciplinare e quella della proporzione della sanzione espulsiva. Stante la confermata giusta causa del licenziamento, riteneva insussistenti anche le condizioni fondanti la domanda di pagamento dell’indennità di mancato preavviso.
3. Avverso tale decisione G. Santa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4. Ha resistito l’intimata con controricorso.
5. Il P.G., con nota scritta, ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso.
6. Entrambe le parti private hanno depositato memoria in vista dell’udienza pubblica del 2.2.2022, non tenutasi per questo procedimento a seguito di rimessione della causa sul ruolo e fissazione di nuova udienza.
7. L’Avvocata Generale dott.ssa R. S. ha depositato nuova memoria, nella quale ha ribadito la richiesta di rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia: “Erronea e/o contraddittoria motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia: l’asserita confessione stragiudiziale resa dalla sig.ra G. tanto al rappresentante dell’altra parte, quanto al terzo”. Secondo l’impugnante, la Corte d’appello “non valuta correttamente il valore di tale presunta confessione in punto di diritto, infatti, dà valore alla supposta confessione resa a controparte e con la presenza di altri soggetti, oltre alla normativa applicabile al caso concreto”.
2. Con il secondo motivo parimenti denuncia: “Erronea e/o contraddittoria motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia”, ma in relazione al “principio dell’immediatezza”, alla “genericità della contestazione disciplinare” e al “principio di proporzionalità della sanzione”.
3. I due motivi di ricorso, come peraltro estesamente e sotto diversi profili eccepito sia dall’Ufficio del P.G. che dalla controricorrente, devono essere giudicati inammissibili.
4. Come hanno insegnato le Sezioni Unite di questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, comma 1, c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (così Cass. civ., sez. un., 8.11.2021, n. 32415).
5. Ebbene, le due censure in esame risultano anzitutto formulate in contrasto con tali principi.
Più in particolare, sia nelle rubriche che nello svolgimento di tali motivi, non solo manca la specificazione di quale sia il mezzo di quelli previsti dall’art. 360, comma primo, c.p.c. cui la ricorrente abbia inteso far capo, ma difetta comunque l’indicazione delle norme che, secondo la stessa, sarebbero state violate e/o falsamente applicate.
Del resto, almeno in entrambe le rubriche sopra riportate, si denunciano anomalie motivazionali “su un punto decisivo della controversia”.
Sia l’Ufficio del P.G. presso questa Corte che la controricorrente, quindi, hanno fatto notare che, essendo oggetto di ricorso per cassazione una sentenza pubblicata ampiamente dopo il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 22.6.2012, n. 83, conv. con mod. nella l. n. 134/2012, il n. 5) del comma primo dell’art. 360 cit., come novellato dall’art. 54, comma 1, lett. b), del cit. d.l., recita: “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Hanno, perciò, condivisibilmente dedotto che le due censure in questione, per come concepite, non paiono riconducibili a tale specifica ipotesi.
La ricorrente, infatti, neppure deduce l’omesso esame di fatti storici, principali o secondari, la loro decisività in giudizio e come e quando essi avrebbero formato oggetto di discussione tra le parti.
6. D’altronde, nota il Collegio che, nella prospettiva di una sussunzione dei due mezzi nell’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., opererebbe, sempre con esito d’inammissibilità, la preclusione di cui al combinato disposto dei commi quarto e quinto dell’art. 348 ter c.p.c., in presenza di c.d. “doppia conforme”.
Solo per completezza, in questa subordinata linea d’esame, si osserva che certamente la ricorrente non deduce se almeno nei punti contestati la motivazione della decisione di secondo grado fosse difforme da quella resa in prime cure.
7. Stanti le denunciate anomalie motivazionali, nel vagliare la possibile riconduzione delle due censure al differente vizio di cui all’art. 132, comma primo, n. 4), c.p.c., da far valere in questa sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c., si deve constatare che la ricorrente, però, non deduce che la motivazione dell’impugnata sentenza sia apparente o perplessa, ma, in disparte l’erroneità della motivazione, ne sostiene piuttosto la contraddittorietà. Nello sviluppo di ambo le censure, però, mai vengono isolati passi motivazionali che la ricorrente giudichi espressivi di contrasti irriducibili. Anche perché, più in generale, la motivazione resa dalla Corte territoriale è pressoché ignorata.
D’altra parte, secondo la controricorrente, i motivi del ricorso per cassazione sarebbero sostanzialmente riproduttivi dei motivi di reclamo proposti alla Corte d’appello.
8. A quest’ultimo proposito, nota allora il Collegio che la stessa indicazione dei temi toccati nei due motivi, e, cioè, quello dell’“asserita confessione stragiudiziale resa dalla sig.ra G. tanto al rappresentante dell’altra parte, quanto al terzo”, e quelli del “principio dell’immediatezza”, della “genericità della contestazione disciplinare” e del “principio di proporzionalità della sanzione”, potrebbe indurre a pensare che i due motivi siano in realtà volti a far valere la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c.
In quest’ulteriore ottica, però, occorre considerare che, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminare il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (così Cass. civ., sez. un., 28.10.2020, n. 23745).
E nei motivi in esame neppure è dato riscontrare tali caratteri di specificità, richiesti ai fini dell’ammissibilità di un ricorso per cassazione fondato sulla violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.
9. Infine, anche per le Sezioni Unite di questa Corte è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (in tal senso Cass. civ., sez. un., 27.12.2019, n. 34476). Tanto, infatti, realizzerebbe una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (cfr., ad es., Cass. civ., sez. VI, 4.4.2017, n. 8758).
Orbene, lo sviluppo dei motivi in esame mostra chiaramente che la ricorrente propone una propria rilettura dei fatti di causa e, segnatamente, delle risultanze istruttorie (cfr. in particolare pagg. 19-28; 30-34 del ricorso), rilettura che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
10. La ricorrente, pertanto, soccombente in questa sede, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.