CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 19445 depositata il 10 luglio 2023

Tributi – Avviso di accertamento – IRES – Trattamento di fine mandato (TFM) – Cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa – Deducibilità degli accantonamenti – Atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto – Rigetto

Rilevato che

1. All’esito di verifica fiscale conclusasi il 15 maggio 2012 l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale I di Milano emetteva, nei confronti della società (…) s.r.l., apposito processo verbale di constatazione, relativamente ai periodi d’imposta 2007, 2008 e 2009.

Sulla base di tale p.v.c. l’Agenzia notificava alla società contribuente n. 3 avvisi di accertamento ex d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 39 e 41-bis: a) avviso di accertamento n. (…), notificato in data 26 luglio 2012 e relativo all’anno d’imposta 2007, con il quale, riprendendo a tassazione oneri riguardanti agevolazione ambientale (ex l. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 6) ritenuti utilizzati impropriamente, per un importo di Euro 1.151.515,00, veniva accertato un reddito complessivo di Euro 1.052.156,00, liquidando una maggiore imposta IRES di Euro 374.211,00 ed irrogando le sanzioni dovute in pari importo; b) avviso di accertamento n. (…), notificato sempre in data 26 luglio 2012 e relativo all’anno d’imposta 2008, con il quale, riprendendo a tassazione l’importo di Euro 2.070.699,07, quale accantonamento per il trattamento di fine mandato (TFM) non deducibile, accertava un reddito complessivo di Euro 2.995.997,00, liquidando una maggiore imposta in Euro 569.442,00 per IRES ed Euro 80.757,00 per IRAP, irrogando sanzioni per complessivi Euro 650.199,00; c) avviso di accertamento n. (…), notificato in data 27 luglio 2012, con il quale venivano ripresi a tassazione: i) l’importo di 2.904.148,15 quale costo non deducibile ai sensi del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 105 e 109 (testo unico delle imposte sui redditi); ii) l’importo di Euro 61.450,00 per operazioni imponibili non fatturate e non dichiarate; iii) l’importo di Euro 25.000,00 quali costi non deducibili in quanto non documentati; iv) l’importo di Euro 10.158,90 quali costi non deducibili in quanto non inerenti ex d.p.r. n. 917 del 1986, art. 109. Veniva quindi accertato un reddito imponibile di Euro 3.419.194,00, con una maggiore imposta IRES di Euro 825.208,00, una maggiore IRAP di Euro 5.879,00 ed una maggiore IVA di Euro 18.840,00, con irrogazione di una sanzione pecuniaria unica di Euro 868.767,00.

2. Avverso tali avvisi di accertamento la (…) s.r.l. proponeva distinti ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano la quale, previa riunione degli stessi, con sentenza n. 2544/09/2014, depositata il 13 marzo 2014, li rigettava, compensando le spese di lite.

3. Interposto gravame dalla (…) s.r.l. (nel frattempo divenuta (…) s.r.l. in liquidazione), la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 410/06/2015, pronunciata il 18 dicembre 2014 e depositata in segreteria il 10 febbraio 2015, accoglieva parzialmente l’appello, annullando l’avviso di accertamento n. (…), relativo all’anno d’imposta 2007, e confermando invece la legittimità degli altri avvisi di accertamento.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la (…) s.r.l., sulla base di sette motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

5. La discussione del ricorso è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 10 febbraio 2023, ai sensi degli artt. 375 comma 2, e 380-bis.1 c.p.c..

La (…) s.r.l. in liquidazione ha depositato memoria.

Considerato che

6. Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a sette motivi.

6.1. Con il primo motivo di ricorso la (…) s.r.l. in liquidazione eccepisce violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 42 primo e comma 3, e del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56 comma 1, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Deduce, in particolare, la ricorrente che gli avvisi di accertamento impugnati sarebbero illegittimi, in quanto sottoscritti da soggetti non legittimati, ed in particolare da soggetti dichiarati decaduti dalla carica dirigenziale, in forza della sentenza della Corte Costituzionale 17 marzo 2015, n. 37, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8 comma 24, conv. dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, che consentiva all’Agenzia delle Entrate di coprire le posizioni dirigenziali tramite li ricorso a contratti individuali di lavoro a termine con funzionari interni.

6.2. Con il secondo motivo di ricorso la società contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 917 del 1986, art. 105 comma 4, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Rileva, in particolare, la ricorrente che la norma in esame prevede espressamente la deducibilità, dal reddito delle società, delle indennità di fine rapporto di cui all’art. 17, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R. n. 917 del 1986, tra le quali deve farsi rientrare anche il trattamento di fine mandato, trattandosi di accantonamento di fondi per le indennità di fine rapporto.

6.3. Con il terzo motivo di ricorso si eccepisce nullità della sentenza per motivazione contraddittoria ed illogica, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4, c.p.c..

Sostiene, in particolare, la ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata era incomprensibile ed illogica, in quanto, da un lato, affermava – con riferimento agli accantonamenti di fondi per il trattamento di fine mandato – che trattavasi di costi non deducibili, e, dall’altro, concludeva per la parziale deducibilità degli stessi.

6.4. Con il quarto motivo di ricorso la (…) s.r.l. eccepisce, nuovamente, violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 917 del 1986, art. 105 comma 1, e dell’art. 2120 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Deduce, in particolare, la ricorrente che i giudici d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, avevano implicitamente legittimato l’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 2120 c.c., come richiamato dal d.p.r. n. 917 del 1986, art. 105 comma 1, affermando la deducibilità dal reddito della società dell’accantonamento ai fini del trattamento di fine rapporto per una quota pari all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso diviso per 13,5, anche se la diversa fattispecie dell’accantonamento al fondo TFM non risulta disciplinata da alcuna norma del codice civile.

6.5. Con il quinto motivo di ricorso la società contribuente eccepisce violazione dell’art. 132, comma 2, num. 4, c.p.c. e dell’art. 118 comma 1, disp. att. c.p.c., e quindi nullità della sentenza per assenza di motivazione ed incoerenza della stessa, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4, c.p.c., in quanto la sentenza impugnata non conteneva motivazione alcuna circa la presunta incongruità dell’accantonamento effettuato ai fini T.F.M., e circa la misura ritenuta congrua.

6.6. Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 917 del 1986, art. 109 comma 5, del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 37bis, del d.p.r. n. 600 del 1973, artt. 39 comma 1, lett. d) e 41-bis e del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62sexies, conv. dalla l. 20 ottobre 1993, n. 427 (ndr l. 29 ottobre 1993, n. 427), in relazione all’ art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Ritiene la società contribuente che i giudici d’appello avrebbero erroneamente ritenuto ammissibile un sindacato dell’Amministrazione finanziaria in merito alla congruità ed inerenza dell’accantonamento del TFM, mentre tale potere non era sussistente, in assenza di parametri, riferimenti o tabelle o altre indicazioni vincolanti nelle vigenti disposizioni.

6.7. Con il settimo motivo di ricorso, infine, la ricorrente eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5, c.p.c..

Rileva, in particolare, la (…) s.r.l. che non sussisteva alcuna analisi circa la discussa congruità ed inerenza dell’accantonamento TFM dedotto dalla contribuente.

7. Così descritti i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.

7.1. Il primo motivo deve ritenersi inammissibile.

Invero, la questione della eventuale illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato, in quanto sottoscritto da soggetto non legittimato poiché dirigente “decaduto” in forza della sentenza della Corte Cost. n. 37/2015 (che ha dichiarato l’incostituzionalità del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8 comma 24, conv., con modificazioni, dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, nella parte in cui fa salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle Agenzie delle Dogane, delle Entrate e del Territorio a propri funzionari e consente, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato), non è mai stata sollevata nei gradi di merito, ed è quindi stata dedotta per la prima volta in sede di legittimità. Come tale, non è censura sollevabile in questa sede avverso la sentenza di appello, che non ha minimamente esaminato tale questione, in quanto mai sollevata. Non a caso, è stato affermato che, in tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata d’ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 23 settembre 2020, n. 19929).

Il motivo è comunque infondato anche nel merito. In tema di accertamento tributario, ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 42 primo e comma 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti, a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del d.l. n. 16 del 2012, art. 8 comma 24, convertito dalla l. n. 44 del 2012 (cfr. Cass. 26 febbraio 2020, n. 5177; Cass. 09 novembre 2015, n. 22810).

7.2. Il secondo motivo è infondato.

Ed invero, la deducibilità degli accantonamenti del trattamento di fine mandato (TFM) di competenza di ciascun esercizio è soggetta alla disciplina del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 105 il quale, al comma 1, prevede che gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali e, al comma 4, estende le disposizioni dei comma 1 e 2 anche agli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui al d.p.r. n. 917 del 1986, lett. c), art. 17 ossia alle indennità derivanti dalla cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, tra le quali rientra il trattamento di fine mandato. Per ormai consolidata giurisprudenza, l’art. 105, comma 4, opera un rinvio “pieno” all’art. 17, comma 1, lett. c) cit., cioè un rinvio non limitato all’identificazione della categoria del rapporto sottostante cui si riferisce l’indennità, ma esteso alle condizioni richieste dalla stessa disposizione, nel senso che ai fini della deducibilità dei relativi accantonamenti il diritto all’indennità deve risultare da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto (Cass. 19 agosto 2020, n. 17367; Cass. 20 luglio 2018, n. 19368). Pertanto, la circostanza che il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto ricorre tanto ai fini della deducibilità dei relativi accantonamenti quanto ai fini della tassazione separata.

Peraltro, sotto il profilo civilistico, il compenso pagato senza una delibera preventiva non può essere ricollegato alla volontà dell’assemblea, che, ai sensi dell’art. 2389 c.c., è l’unica a poterlo determinare, e, sotto il profilo tributario, il costo, ai fini della deducibilità, deve avere i requisiti di certezza e di determinabilità richiesti dal d.p.r. n. 917 del 1986, art. 109. Ne consegue che, in assenza di un espresso atto assembleare di determinazione non soltanto del generico diritto dell’amministratore alla percezione del TFM, ma anche del suo ammontare annuo, di data certa anteriore all’inizio del rapporto, conforme allo schema legale del procedimento di formazione della volontà assembleare dei soci, l’onere sostenuto dalla società risulta deducibile nell’esercizio di erogazione dell’indennità di fine mandato (ossia per cassa). In tal senso, si registra l’orientamento consolidato sia dell’Amministrazione finanziaria (Risoluzioni n. 211/E/2008 e n. 124/E/2017), sia della giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. 3 marzo 2021, n. 5763; Cass. 20 febbraio 2020, n. 4400; Cass. n. 17367/2020).

In conclusione, “in base al combinato disposto del d.p.r. n. 917 del 1986, artt. 17 comma 1, lett. c) e 105, possono essere dedotte in ciascun esercizio, secondo il principio di competenza, le quote accantonate per il trattamento di fine mandato, previsto in favore degli amministratori delle società, purché la previsione di detto trattamento risulti da un atto scritto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, che ne specifichi anche l’importo” (Cass. n. 17367/2020, cit.; Cass. 19 ottobre 2018, n. 26431).

Nel caso di specie, non è contestato che l’attribuzione del TFM all’amministratore sia avvenuta coevamente alla sua nomina, essendo entrambe avvenute nell’assemblea del 2 luglio 2001, ragion per cui non vi è un atto avente data certa anteriore alla nomina medesima. Peraltro, l’amministratore unico della società, sig. V.P., in quella occasione si era dimesso ed è stato immediatamente nominato. Conseguentemente, l’interruzione del rapporto con la società risultava meramente formale, in quanto, sostanzialmente, non vi è stata soluzione di continuità tra la nomina avvenuta con l’assemblea del 2 luglio 2001 e l’altra nomina avvenuta precedentemente, ragion per cui l’attribuzione del TFM, nella specie, è stata addirittura successiva all’inizio del rapporto.

7.3. Il terzo motivo è inammissibile.

Ed invero, la ricorrente ritiene che la motivazione della sentenza impugnata sia contraddittoria e/o illogica, ma tale vizio non è più censurabile con ricorso per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 360, comma 1, num. 5), introdotte dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134. Ciò posto, sulla base del nuovo testo del num. 5 dell’art. 360 c.p.c., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 non ogni omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata è deducibile in sede di legittimità, salvo che si concretizzi nei casi di omissione di motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile (Cass. 15 giugno 2018, n. 15860).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata è, sia pur succintamente, motivata, in quanto esclude la deducibilità degli accantonamenti per TFM in oggetto, non rientrando, ad avviso della C.T.R., tra quelli indicati dagli artt. 105, 106 e 107; il che, come già visto, appare corretto, in quanto tali accantonamenti non risultano da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto.

7.4. Il quarto motivo deve ritenersi infondato.

Sostiene la ricorrente che la C.T.R., nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado (con riferimento agli avvisi di accertamento per gli anni 2008 e 2009), avrebbe implicitamente legittimato l’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 2120 c.c., come richiamato dal d.p.r. n. 917 del 1986, art. 105 comma 1, anche se il TFM per gli amministratori di società ha senza dubbio natura differente dal trattamento di fine rapporto.

Deve osservarsi, tuttavia, che in nessun passaggio della sentenza impugnata viene richiamato l’art. 2120 c.c., in quanto la deducibilità degli accantonamenti per TFM è stata esclusiva, in quanto non rientrante tra le ipotesi previste, tra gli altri, dal d.p.r. n. 917 del 1986, art. 105 che a sua volta richiama l’art. 17, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R. n. (ndr art. 17, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R. n. 917), che prevede la necessità che l’accantonamento sia previsto in un atto avente data certa anteriore alla costituzione del rapporto.

7.5. Il quinto e sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente, e sono anch’essi infondati.

La sentenza impugnata appare, sia pur succintamente, motivata, ed in ogni caso la deducibilità degli accantonamenti è stata esclusa, indipendentemente dal profilo della eventuale incongruità, ma soltanto in considerazione della non sussumibilità di tali accantonamenti nelle fattispecie di cui al d.p.r. n. 917 del 1986, art. 105.

7.6. Il settimo motivo, infine, è inammissibile.

Poiché, con riferimento agli avvisi di accertamento relativi agli anni 2008 e 2009, la C.T.R. ha confermato la decisione della C.T.P., realizzandosi, così, un’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, non è ammesso ricorso per cassazione per l’ipotesi di cui al n. 5) del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., in base a quanto previsto dall’art. 348-ter, quarto e comma 5, dello stesso codice.

8. Il ricorso, quindi, deve essere nel suo complesso rigettato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la ricorrente tenuto al pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 8.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.