Corte di Cassazione ordinanza n. 23133 depositata il 25 luglio 2022
principio di autosufficienza e specificità – vizio di omessa pronuncia
– Rilevato che:
1. Con avviso di accertamento RCH010702737/2009 notificato il 31 dicembre 2009 l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma 6, sulla base delle risultanze dei conti correnti bancari recuperava a tassazione, nei confronti di V.M., redditi non dichiarati per l’anno d’imposta 2004 per complessivi € 368.199,78 (pari alla differenza tra i versamenti effettuati sui conti correnti del contribuente nell’anno in questione, pari ad € 404.899,78, e gli importi per i quali sono state presentate giustificazioni, pari ad € 36.700,00).
2. Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, la quale, con sentenza n. 401/53/2012 del 26 ottobre 2012, rigettava il ricorso, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
3. Interposto gravame dal V.M., la Commissione tributaria regionale del Lazio – sede di Roma, con sentenza n. 1755/28/2014, pronunciata l’11 dicembre 2013 e depositata il 20 marzo 2014, rigettava l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione V.M., sulla base di dodici motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
5. La discussione del ricorso è stata fissata per la camera di consiglio del 17 maggio 2022, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380- bis.1 cod. proc. civ., come introdotti dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
– Considerato che:
6. Con il primo motivo di ricorso il contribuente eccepisce la nullità della sentenza per violazione delle norme processuali in tema di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali [in particolare, 24 e 111, sesto comma, Cost; 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ.; 118 disp. att. cod. proc. civ.; 36, comma 2, n. 4), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546], in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., in quanto nella motivazione non sarebbero rinvenibili elementi idonei e sufficienti in ordine alla ratio decidendi seguita dai giudici.
Con il secondo motivo di ricorso il V.M. eccepisce la nullità della sentenza impugnata per “violazione delle norme processuali in tema di dovere decisorio e valutazione delle risultanze del giudizio artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonché art. 2697 c.c.”, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. avrebbe omesso di esaminare tutti gli elementi, tutte le difese e tutte le prove, anche e soprattutto documentali, addotte dalle parti in giudizio.
Con il terzo motivo di ricorso il contribuente deduce l’omesso esame della documentazione prodotta in giudizio e prima ancora in sede di contraddittorio, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ., non avendo, la C.T.R., motivato in ordine alla ritenuta carenza, sul piano probatorio, dei documenti depositati dal sig. V.M. sin dalla fase pre-processuale.
Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., per avere, la C.T.R., preteso in capo al V.M. un onere probatorio che invece era a capo dell’Ufficio, e per avere erroneamente ritenuto sussistente una presunzione di redditività, pur in assenza di un fatto noto dal quale inferire la sussistenza di un fatto ignoto (e cioè il maggior reddito accertato).
Con il quinto motivo di ricorso il sig. V.M. eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 32, primo comma, num. 2), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto applicabile la presunzione di redditività degli accrediti bancari anche nei confronti di un contribuente non imprenditore e non lavoratore autonomo.
Con il sesto motivo di ricorso il contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 38, quinto comma, del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., in quanto la C.T.R. ha confermato l’accertamento operato dall’Ufficio, imputando tutti i versamenti bancari ad incrementi patrimoniali per l’anno 2004, senza invece operare la “divisione in quinti” come previsto, invece, con presunzione legale, dal citato art. 38.
Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nonché degli
artt. 3, 24 e 113 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., in quanto l’Ufficio procedente non aveva mai chiesto al contribuente di giustificare la provenienza di tutti gli accrediti registratisi sul proprio conto corrente bancario, posto che, nell’invito al contraddittorio n. I007411/2019, aveva richiesto al contribuente soltanto di fornire giustificazione circa la fonte di reddito utilizzata per sostenere le spese effettuate nell’anno 2005, consistenti nell’acquisto di un immobile dal valore dichiarato di € 195.025,61.
Con l’ottavo motivo di ricorso il sig. V.M. eccepisce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e l’omessa pronuncia sulla dedotta violazione delle norme sul contraddittorio e sulla compressione ingiustificata della garanzia del contribuente sottoposto a verifica, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ.
Con il nono motivo di ricorso il contribuente deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., per avere omesso la C.T.R. di pronunciarsi in merito al dedotto difetto di motivazione della sentenza di primo grado.
Con il decimo motivo di ricorso il sig. V.M. deduce, ancora, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione sempre all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., eccependo l’omessa pronuncia sulla dedotta illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni.
Con l’undicesimo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 7 della l. n. 212/2000 e dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., per avere ritenuto che la firma non leggibile apposta sull’atto impugnato non desse luogo ad alcuna nullità.
Con il dodicesimo motivo il contribuente eccepisce, infine, la nullità della sentenza per violazione delle norme processuali in tema di motivazione dei provvedimenti [art. 24 e 111, sesto comma, Cost.; 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ.; 118 disp. att. cod. proc. civ.; 36, comma 2, num. 4), d.lgs. n. 546/1992; 6 CEDU], in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., per essere carente, o solo apparente, la motivazione in ordine alla questione della eccepita nullità dell’avviso per illeggibilità della firma.
7. Procedendo quindi allo scrutinio dei singoli motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
7.1 Il primo motivo è inammissibile, per mancanza del requisito dell’autosufficienza.
Ed invero, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Suprema Corte dev’essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 11 febbraio 2022, n. 4439).
Nel caso di specie, il ricorrente lamenta la mancata presa in considerazione, da parte della C.T.R., della “copiosa documentazione” versata in atti sin dal primo grado, senza tuttavia specificare quali sarebbero tal documenti, quando sarebbero stati allegati e prodotti, in che modo questi documenti sarebbero stati idonei a dimostrare la legittima disponibilità di oltre € 400.000,00 rilevati sui conti bancari del V.M..
In questa situazione, questa Corte non può effettuare alcuna valutazione circa la rilevanza e la decisività di tali prove asseritamente non valutate, o valutate in modo errato, mancando qualsiasi indicazione della “specifica indicazione” degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda [art. 366, primo comma, num. 6), cod. proc. civ.]
7.2 Anche il secondo motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza.
Sostiene il ricorrente che nella sentenza di appello non sarebbe stata data alcuna valutazione “libera e prudente” delle proprie difese, e non sarebbero state considerati una serie di elementi probatori, quali gli assegni ricevuti all’epoca dei fatti di causa dai suoi familiari, la documentazione afferente l’acquisto del fabbricato, la visura catastale che ne evidenziava il valore, le dichiarazioni sostitutive di atto notorio rilasciate dai genitori del V.M. in ordine agli assegni dati al figlio, i versamenti effettuati dai genitori sul conto degli figlio.
Anche in tal caso, tuttavia, non sono stati specificati quali fossero gli assegni in questione, di quale importo e di quale provenienza. Peraltro, nella sentenza impugnata si conferma l’avviso di accertamento, nel quale si dà atto che il contribuente avrebbe fornito giustificazioni unicamente per l’importo di € 36.700,00, ragion per cui dal motivo in questione non si evince assolutamente in che termini la documentazione genericamente richiamata avrebbe consentito di giustificare la provenienza di somme ulteriori, fino all’importo di € 404.899,78 costituito dai versamenti complessivamente effettuati sul conto corrente del V.M..
Anche tale motivo, dunque, è assolutamente generico, e vìola il principio di autosufficienza e specificità.
7.3 Inammissibile deve ritenersi anche il terzo motivo di ricorso.
Il contribuente censura la sentenza impugnata sotto il profilo dell’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio [art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ.], facendo sempre riferimento alla documentazione prodotta nella fase pre-contenziosa e contenziosa di merito, senza tuttavia specificare quali sarebbero tali documenti, ed in che modo questi documenti, se presi in considerazione, sarebbe stati decisivi per il giudizio.
7.4 Il quarto motivo è invece infondato.
Il ricorrente contesta, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., perché, a suo dire, la C.T.R. avrebbe invertito la regola sull’onere della prova, ponendo a carico del contribuente l’onere aggiuntivo di dimostrare la legittima provenienze delle somme versate sui conti correnti, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 cod. civ., perché mancherebbe, nella specie, un fatto noto dal quale poi ritenere provato un fatto ignoto, e cioè il maggior reddito accertato dall’Ufficio.
Va rilevato, tuttavia, che la C.T.R., da un lato, ha fatto corretta applicazione delle regole in tema di presunzione, evidenziando come la ricorrenza di una disponibilità economica incongruente con il reddito dichiarato facesse legittimamente presumere una maggiore capacità contributiva, e come il V.M. non avesse fornito adeguata giustificazione alle movimentazioni bancarie in suo favore per l’importo di € 404.899,88, in presenza di un reddito dichiarato di € 4.067,00.
Trattasi, quindi, di presunzioni gravi, precise e concordanti che giustificano l’accertamento confermato dalla C.T.R.
Con riferimento, invece, alle regole in tema di ripartizione dell’onere della prova, la C.T.R. ha fondato il proprio convincimento sulle prove fornite dall’Ufficio, senza inversione alcuna delle regole di cui all’art. 2697 cod. civ., fermo restando che, a fronte delle presunzioni applicate dall’Ufficio e dalla stessa C.T.R., sarebbe stato onere del contribuente fornire la prova contraria.
7.5 Per quel che riguarda il quinto motivo, esso pure deve ritenersi infondato.
Le attività istruttorie previste dall’art. 32, primo comma, nn. 2) e 7), del d.P.R. n. 600/1973, riguardano sia gli esercenti attività di impresa, arti e professioni, sia chi non esercita tali attività, ragion per cui le informazioni riguardanti movimentazioni bancarie sono state legittimamente acquisite dall’Agenzia delle Entrate.
Irrilevante deve, peraltro, ritenersi, nella specie, la sentenza della Corte cost. del 6 ottobre 2014, n. 228, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, n. 2), secondo periodo, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lett. a), n. 1), l. 30 dicembre 2004 n. 311, limitatamente alle parole “o compensi”. Il Giudice delle leggi, infatti, si è limitato a dichiarare incostituzionale la disposizione in questione, in quanto estendeva ai lavoratori autonomi l’àmbito operativo della presunzione in base alla quale le somme prelevate dal conto corrente (così come quelle su questo versate) costituiscono compensi assoggettabili a tassazione, se non sono annotate nelle scritture contabili e non sono indicati i soggetti beneficiari dei pagamenti. E’ venuta meno, pertanto, soltanto la presunzione relativa ai prelevamenti (e non anche ai versamenti) e soltanto per i lavoratori autonomi, mentre nel presente caso l’accertamento è basato sui soli versamenti ricevuti dal conto corrente.
7.6 Anche il sesto motivo è infondato.
L’accertamento in oggetto non è stato infatti operato in base a quanto previsto dall’art. 38, quinto comma, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente pro-tempore, secondo il quale «qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti». Nel caso di specie, infatti, non si è trattato di accertamento sintetico basato sulla capacità di spesa, bensì di accertamento operato sulla base dei versamenti bancari, e quindi di accertamento analitico-sintetico ex artt. 38, quarto comma, d.P.R. cit.
7.7 Infondato è anche il settimo motivo.
Nel caso di specie, il contraddittorio preventivo ha comunque avuto luogo. In ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima l’utilizzazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, anche in assenza di preventivo interpello dell’interessato sulle operazioni bancarie oggetto di verifica e di verbalizzazione delle correlative dichiarazioni, posto che nessuna norma sancisce l’obbligo dell’ufficio della preventiva convocazione del contribuente (Cass. 1° febbraio 2013, n. 2484; Cass. 24 gennaio 2013, n. 1682; Cass. 7 settembre 2007, n. 18868).
7.8 Infondato è anche l’ottavo motivo di ricorso.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sulla denunciata violazione delle norme sul contraddittorio preventivo.
Sul punto, va rilevato tuttavia che la mancanza di motivazione su una questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame, poiché, in tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere o integrare la motivazione anche a fronte di un vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., quale l’omessa pronuncia o la motivazione apparente, e ciò mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si versi nell’ipotesi di un implicito rigetto della domanda, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass. 25 giugno 2020, n. 12622).
Nel caso di specie, si è già visto che, trattandosi di accertamento effettuato sulla base delle movimentazioni bancarie, non era necessario instaurare obbligatoriamente un contraddittorio preventivo, ragion per cui l’omessa pronuncia sul punto da parte della C.T.R. deve ritenersi irrilevante, avendo questa comunque giustificato l’accertamento sulla base delle risultanze delle verifiche bancarie. Trattasi, quindi, di un’ipotesi di rigetto implicito del motivo di appello, posto che il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui – come quello di specie – seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti comunque il rigetto (Cass. 25 giugno 2020, n. 12652).
7.9 Anche il nono motivo è infondato.
Il giudizio di appello è volto al riesame del merito del giudizio in base al principio devolutivo, sia pure nei limiti dei motivi di gravame, ragion per cui la motivazione adottata dal giudice di secondo grado assorbe integralmente la censura riferita all’insufficienza della motivazione, sostituendosi alla decisione di primo grado.
7.10 Infondato è anche il decimo motivo di ricorso.
Il ricorrente, infatti, in sede di appello non ha svolto specifiche censure in ordine all’applicazione delle sanzioni, ma ne ha richiesto l’annullamento per effetto dell’annullamento dell’intero avviso di accertamento. Il rigetto delle censure in merito a tale avviso, pertanto, ha determinato anche l’implicito rigetto delle doglianze relative alle sanzioni, ragion per cui non si configura il lamentato vizio di omessa pronuncia.
7.11 L’undicesimo ed il dodicesimo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi riguardanti la questione della eccepita violazione dell’art. 42 P.R. n. 600/1973, per illeggibilità della firma del dirigente che l’ha sottoscritto.
I motivi sono entrambi infondati.
Ed invero, l’atto di imposizione tributaria è giuridicamente esistente anche quando, mancando nel documento che incorpora la relativa dichiarazione, il sigillo o il timbro dell’ufficio, e pur essendo illeggibile la firma del titolare dell’ufficio, la dichiarazione in esso contenuta risulti, per l’insieme delle circostanze di fatto che ne accompagnano la formulazione, riferibile inequivocabilmente all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio essa è stata adottata. Spetta al giudice di merito accertare se la dichiarazione specifica contenuta nell’avviso di rettifica emanato dall’ufficio tributario a firma illeggibile e mancante del sigillo dell’ufficio medesimo, possa essere imputato al titolare dell’ufficio, richiedendosi, al riguardo, di compiere un accertamento di fatto che è precluso al giudice di legittimità (Cass. 18 giugno 2003, n. 9779).
Nel caso di specie, la C.T.R., pur dando atto dell’illeggibilità della firma, ha comunque accertato che l’atto impugnato proveniva dall’Ufficio impositore, motivando, peraltro, specificamente sul punto.
8. Consegue il rigetto integrale del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono le condizioni per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per tale impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna V.M. alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in € 6.000,00 per onorari, oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per tale impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.