Corte di Cassazione, ordinanza n. 25148 depositata il 23 agosto 2023
travisamento della prova – l’art. 42, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 è riferibile a una delega per la sottoscrizione, e non può dunque applicarsi ad una figura, quale la delega di firma
Rilevato che:
- F.E. impugnava l’avviso di accertamento notificatogli per l’anno 2009 con il quale erano disconosciuti costi, con recupero della relativa iva, in quanto riferiti a operazioni oggettivamente inesistenti;
- la CTP accoglieva il ricorso ritenendo fondato il motivo relativo al vizio di delega e sottoscrizione dell’atto impugnato; appellava l’Ufficio;
- con la pronuncia gravata la CTR del Lazio accoglieva l’appello, ad eccezione del profilo relativo alla negata deducibilità di alcune perdite su crediti;
- ricorre a questa Corte il contribuente con atto affidato a tre motivi;
- l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
Considerato che:
- il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione nonché errata interpretazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., nullità dell’avviso di accertamento per mancanza di validità dell’ordine di servizio “in bianco”, privo del nome specifico del funzionario delegato, del termine di validità e di specifica motivazione, per avere la CTR erroneamente ritenuto l’atto di accertamento impugnato munito di delega dotata di “criteri oggettivi per l’individuazione degli atti delegati ai funzionari preposti nelle varie articolazioni della Direzione provinciale”; nel caso concreto, era assente nella delega sia l’indicazione del nominativo del funzionario delegato alla sottoscrizione dell’atto impositivo, sia la motivazione;
- il motivo è infondato;
- con riguardo al profilo di doglianza relativo alla mancata indicazione del nominativo del funzionario delegato, questa Corte da tempo ritiene (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8814 del 29/03/2019) che tale delega conferita dal dirigente ex all’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto;
- e nel presente caso, come si evince dal primo periodo del provvedimento di delega, (contenuto nella disposizione di servizio n. 27 del 24 settembre 2013, diligentemente trascritto in parte qua a pag. 9 del ricorso per cassazione), è indicata la qualifica del e dei sottoscrittori delegati, in modo tale da potere identificarne così il nominativo ai fini della verifica del potere;
- pertanto, poiché l’avviso di accertamento relativo ad imposte sui redditi e sul valore aggiunto, sottoscritto da parte di un funzionario delegato dal capo dell’ufficio, è nullo, ai sensi dell’art. 42 del P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, solo ove il contenuto della delega di firma emessa dal capo dell’ufficio in via generale non sia stato rispettato dal sottoscrittore nel caso concreto, nel presente caso l’atto è scevro dal vizio denunciato;
- è stato poi specificato, quanto alla motivazione della delega di firma, che l’art. 42, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 è riferibile a una delega per la sottoscrizione, e non può dunque applicarsi ad una figura, quale la delega di firma, la disciplina dettata per la delega di funzioni, dovendo, sotto tale profilo, osservarsi che l’art. 17, c. 1 bis, del d. Lgs. n. 165 del 2001 si riferisce espressamente ed inequivocabilmente alla «delega di funzioni», laddove prescrive che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze ad essi riservate, a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidate (cfr. Cass. n. 8814/2019);
- nel caso per cui è processo, come si evince dalla motivazione del provvedimento di delega debitamente trascritta a pagina 10 del ricorso per Cassazione, l’Amministrazione ha ritenuto di adottare tale atto “al fine di ottimizzare l’azione amministrativa in termini di efficienza efficacia e trasparenza…”; e ancora essa ha specificato che il potere di delega è stato esercitato ” per garantire la funzionalità della direzione provinciale in considerazione delle dimensioni della struttura e del considerevole numero di provvedimenti di competenza”; risulta quindi sussistente – in ogni caso – idonea motivazione delle ragioni che hanno indotto il Direttore dell’Ufficio a delegare l’incombenza in oggetto;
- il secondo motivo di ricorso censura la pronuncia impugnata per violazione degli 115 e 116 c. 1 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 1 n. 5 c.p.c., errata valutazione della prova documentale (PVC redatto dalla GdF di Latina), per avere la CTR commesso evidente errore di valutazione della prova non accorgendosi che le dichiarazioni del De Totis relative alle inesistenza della società O. s.r.l. (“la società O. s.r.l. è inattiva dall’anno 2000 e la stessa doveva essere posta già da tempo in liquidazione e successivamente chiusa)” non avevano trovato alcun riscontro nell’attività di indagine dalla quale invece era emersa una realtà diversa da quella raccontata da costui in quanto dopo l’anno 2006 era stata accertata in capo alla stessa l’effettivo esercizio di un’attività imprenditoriale;
- il motivo è evidentemente inammissibile;
- nel contestare la valutazione delle prove, come si sostiene per vero apertamente nel motivo medesimo, esso pone una questione di merito (specialmente nella parte di motivo formulata da pag. da 17 in poi), che è preclusa alla cognizione di questa Corte della Legittimità;
- come è noto, secondo costante e coerente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3, Sentenza n. 13918 del 03/05/2022) nel giudizio di cassazione, la parte non può dolersi del modo in cui il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali, in ordine ai diversi significati in astratto ricavabili dai mezzi di prova acquisiti al giudizio, mentre l’illegittima utilizzazione di prove inesistenti, perché riferite a fonti mai dedotte in giudizio oppure a informazioni probatorie prive di alcuna possibile o immaginabile connessione con le fonti appartenenti al processo, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto integrante violazione dell’art. 115 c.p.c., ma non rileva quale errore revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., trattandosi di un fatto su cui il giudice si è espressamente pronunciato;
- nel presente caso, va precisato, il riferimento alle risultanze del PVC riguarda evidentemente fonti dedotte in giudizio e chiaramente connesse al processo in quanto volte a dimostrare la sussistenza di fatti idonei a fondare la pretesa di maggiori tributi;
- inoltre, neppure può valutarsi il motivo fondato all’esito della sua qualificazione come censura relativa al travisamento della prova; sul punto, come pure chiarito da questa Corte (in argomento si veda Sez. 1, Ordinanza n. 3796 del 14/02/2020) ove il ricorrente in cassazione abbia lamentato un travisamento della prova, solo l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito e fa escludere l’ipotesi contenuta nella censura; infatti, il travisamento della prova implica non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale;
- nel caso che ci occupa, quanto trascritto in ricorso a 16 – vale a dire altro passo del PVC della GdF di Latina – non costituisce affatto contraddizione delle già riportate risultanze in atti;
- vi si legge infatti che “emerso che la società O. negli anni dal 2006 in poi ha svolto l’attività considerato le numerose fatture acquisite riepilogate in apposito prospetto…” e ancora che “… la O. s.r.l. era presente, come fornitore, in elenchi presentati da diverse imprese, come segue:…”; tali elementi, in realtà, non contraddicono l’inesistenza delle operazioni contestate – e quindi della effettività delle medesime – né il difetto di esercizio di reale attività d’impresa in capo a O. s.r.l., in quanto si limitano a rilevare la presenza documentale di tale attività, che si è desunta dalle fatture e quindi da meri aspetti, per l’appunto, cartolari, suscettibili di controllo e di prova, anche del contrario, quanto a rispondenza di tali documenti con i fatti economici sottostanti;
- il terzo motivo di ricorso si incentra sulla violazione dell’art. 101 5 TUIR in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente accolto la tesi dell’ufficio secondo cui non potevano riconoscersi le perdite su crediti per l’importo di euro 5.672,62 per mancanza di documentazione giustificativa, trattandosi di perdite di ammontare inferiore a euro 2.500 per ogni singolo cliente per i quali era decorso il periodo di mesi sei dalla scadenza di pagamento;
- l’art. 101 c. 5 TUIR vigente ratione temporis prevedeva: “le perdite di beni di cui al comma 1, commisurate al costo non ammortizzato di essi, e le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Ai fini del presente comma, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi;
- solo in seguito, nella versione in vigore dal 26/06/2012 a seguito delle modifiche di cui all’art. 33 del d.L. n. 83 del 22/06/2012, la disposizione in parola ha previsto che “….gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il credito sia di modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso. Il credito si considera di modesta entità quando ammonta ad un importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione di cui all’articolo 27, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese. Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito e’ prescritto. Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in dipendenza di eventi estintivi”.
- pertanto, come correttamente eccepito in controricorso, la disposizione invocata dal contribuente non può trovare applicazione nel caso di specie, in cui si verte di un accertamento riferito al periodo di imposta 2009, antecedente alle modifiche normative che hanno consentito la più agevole deduzione delle perdite in parola;
- conclusivamente, il ricorso è rigettato;
- le spese sono liquidate secondo soccombenza;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 5.800 oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.