CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 25622 depositata il 1° settembre 2023
Lavoro – Diritto ad usufruire del servizio mensa o buoni pasto – Comparto sanità – Articolo 29 c.c.n.l. 20 settembre 2001 – Articolazione dell’orario di lavoro – Limitazione del beneficio – Lavoro a turni o a turno intero – Divieto contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai ccnl – Accoglimento
Rilevato che
1. S.D.G., infermiera – qualifica CPS categoria D – alle dipendenze dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Teramo, premesso di aver osservato, dal luglio 2010 al dicembre 2014, un orario di lavoro articolato su cinque giorni alla settimana e suddiviso in turni mattutini, pomeridiani e notturni, aveva agito innanzi al Tribunale di Teramo per fare accertare il suo diritto ad usufruire del servizio mensa o alla modalità sostitutiva ex art. 29 del c.c.n.l. 2001 Comparto sanità, integrativo del c.c.n.l. 7 aprile 1999 dalla data del 1° gennaio 2011 nei giorni di effettiva presenza e per l’articolazione dell’orario di lavoro;
aveva, in particolare, dedotto la sussistenza dell’obbligo da parte della ASL di Teramo di procedere all’istituzione del servizio di mensa e di garantire al personale, in via sostitutiva, come da Regolamento aziendale, l’esercizio di tale diritto con modalità diverse (nella specie, con la concessione di buono pasto a fine turno, stante l’inconciliabilità dell’osservanza di un orario di lavoro giornaliero continuativo con la fruizione del diritto di mensa);
2. il giudice di primo grado aveva ritenuto che né la legge né la contrattazione collettiva prevedessero un diritto quale quello preteso quando si è in servizio nelle fasce orarie 12.30-14.30 ovvero 19.00-24.00;
3. pronunciando sull’impugnazione della D.G., la Corte d’appello di Teramo confermava l’infondatezza della pretesa;
osservava che la norma contrattuale invocata dall’appellante, ossia l’art. 29 c.c.n.l. 20 settembre 2001 per il personale del Comparto sanità, integrativo del c.c.n.l. 7 aprile 1999 (riproduttivo del contenuto dell’art. 33 del d.P.R. n. 270/1987), prevedesse solo il potere delle aziende sanitarie locali, “in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili”, di “istituire mense di servizio, o, in alternativa, di garantire l’esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive” e quindi, sostanzialmente, rimettesse alle aziende ogni relativa determinazione;
riteneva che i regolamenti dell’ASL di Teramo avessero riservato il diritto ai buoni pasto ai soli dipendenti delle strutture dell’Area tecnico amministrativa con un orario di lavoro articolato su 5 giorni alla settimana con due rientri pomeridiani ed intervallo non inferiore a trenta minuti e non superiore a sessanta minuti per pausa mensa, pausa collocata, di norma, nella fascia oraria ricompresa tra le ore 12.30 e le ore 15.30 di ciascuna giornata, e, quanto ai dipendenti delle restanti articolazioni aziendali, solo a quelli con medesima tipologia di orario in relazione all’organizzazione interna, considerata come ottimale ai fini del servizio erogato, tale risultante da dettagliata relazione a firma dei relativi responsabili oltre che al personale svolgente, nella singola giornata lavorativa, un orario di lavoro della durata di almeno otto ore effettive, ricomprendente sia l’arco antimeridiano, sia quello pomeridiano della giornata stessa, con l’intervallo della pausa mensa non inferiore a trenta e non superiore a sessanta minuti, da collocarsi, di norma, nella fascia oraria compresa tra le ore 13.00 e le ore 15.30;
escludeva che tali regolamenti si ponessero in contrasto con l’art. 29 del c.c.n.l. ovvero con l’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003 o ancora con gli artt. 3, 97 e 98 Cost. rilevando che, nello specifico, stante la particolare articolazione dell’orario, la lavoratrice ben potesse provvedere alle proprie esigenze di alimentazione con le modalità ed i tempi di gradimento;
3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.D.G. con sei motivi;
4. la AUSL 4 – Azienda Sanitaria Locale di Teramo ha resistito con controricorso;
5. la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione a falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1368 cod. civ. in relazione agli artt. 26, 29 c.c.n.l. Comparto sanità 1999 ed integrativo 2001, ancora integrato con le modifiche di cui all’art. 4 c.c.n.l. 31 luglio 2009 ed all’art. 8 d.lgs. n. 66/2003 e di ogni altra norma e principio in materia di interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune e dei contratti in genere (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.);
censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il c.c.n.l. Comparto sanità non fornisse alcuna chiave interpretativa del dettato contrattuale in punto alla disciplina delle modalità di fruizione del diritto alla mensa ritenendo con ciò legittimata l’Azienda ad emanare un regolamento unilaterale che individua i tempi e le modalità di esercizio del diritto, in elusione alla riserva di competenza contenuta nel c.c.n.l., art. 29;
2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge ed in particolare dell’art. 29, comma 1, c.c.n.l. Comparto sanità 2001 come modificato nel 2009, in punto alla riserva di competenza ivi contenuta (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.);
assume che la Corte territoriale abbia errato nel ritenere afferente alla organizzazione e gestione del servizio l’individuazione dei criteri che stabiliscono chi sono gli aventi diritto;
3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge ed in particolare dell’art. 132 cod. proc. civ. e art. 111 Cost. per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili e, comunque, motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.) ed ancora violazione di legge, ed in particolare dell’art. 29 c.c.n.l. Sanità;
censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che non possa essere data all’art. 29 l’interpretazione proposta dalla ricorrente, ritenendo, invece, il regolamento Aziendale correttamente costruito sulla falsariga di quanto disposto dai c.c.n.l. pubblico impiego e c.c.n.l. Comparto enti pubblici non economici in materia di buoni pasto e per aver ritenuto il regolamento Aziendale conforme ad essa norma; laddove, invece, il regolamento contiene previsioni inconciliabili con quanto disposto e previsto dalle clausole contenute nel c.c.n.l. sanità;
4. con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1368 cod. civ. e dell’art. 12 preleggi, in relazione agli artt. 26 e 29 del c.c.n.l. Comparto sanità;
critica la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha fatto riferimento analogico al c.c.n.l. Comparto pubblico impiego e c.c.n.l. Comparto enti pubblici non economici, così giungendo erroneamente a ritenere conforme al dettato del c.c.n.l. Comparto sanità la esclusione del diritto alla mensa per il personale che svolge la sua attività lavorativa a turno “intero” (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.);
5. con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge ed in particolare dell’art. 132 cod. proc. civ. e art. 111 Cost. in relazione alla mancanza di motivazione o motivazione apparente circa un punto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.);
sostiene che la motivazione della sentenza impugnata è apodittica e tale da impedire di comprendere il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte d’appello nella parte in cui questa ha ritenuto che il regolamento unilaterale della ASL di Teramo non fosse in contrasto con l’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003, limitandosi a riproporre pedissequamente il contenuto della citata norma, senza svolgere una comparazione tra i testi; 5. con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1368 cod. civ., dell’art. 12 delle preleggi in relazione agli artt. 26, 29 c.c.n.l. Comparto sanità 1999 ed integrativo 2001, in modo da concretare violazione degli artt. 3, 97 e 98 Cost. nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che, subordinando il regolamento aziendale il godimento del buono pasto sempre ad una articolazione dell’orario che venga resa a cavallo tra la mattina ed il pomeriggio, con esclusione del personale che presta attività lavorativa a turno intero, non ha violato i principi di uguaglianza, imparzialità e buon andamento (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.);
6. il primo motivo è fondato per le ragioni di seguito illustrate;
6.1. l’art. 29 del c.c.n.l. sanità 20 settembre 2001, integrativo nazionale del c.c.n.l. del 7 aprile 1999, “Mensa”, ha così previsto: «1. Le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l’esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive. 2. Hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti, ivi compresi quelli che prestano la propria attività in posizione di comando, nei giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare articolazione dell’orario. 3. Il pasto va consumato al di fuori dell’orario di lavoro. Il tempo impiegato per il consumo del pasto è rilevato con i normali mezzi di controllo dell’orario e non deve essere superiore a trenta minuti. 4. Il costo del pasto determinato in sostituzione del servizio mensa non può superare L. 10.000. Il dipendente è tenuto a contribuire in ogni caso nella misura fissa di L. 2000 per ogni pasto. Il pasto non è monetizzabile. 5. Sono disapplicati il d.P.R. n. 270 del 1987, art. 33 e d.P.R. n. 384 del 1990, art. 68, comma 2»;
il d.P.R. n. 270 del 1987, art. 33 era del seguente tenore: «1. Hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti nei giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare articolazione dell’orario. 2. Gli Enti provvederanno, ove possibile, ad istituire il servizio di mensa o, in mancanza, a garantire l’esercizio del diritto con modalità sostitutive. 3. Il pasto va consumato al di fuori dell’orario di lavoro e non è comunque monetizzabile. 4. Il dipendente è tenuto a corrispondere il costo del pasto nella misura di L. 1.500 per la durata del presente decreto. 5. Il tempo impiegato per il consumo del pasto deve essere rilevato con i normali mezzi di controllo dell’orario e non deve essere superiore a 30 minuti»;
il d.P.R. n. 384 del 1990, art. 68, comma 2 dispone poi che: «2. Il d.P.R. 20 maggio 1987, n. 270, art. 33, comma 4 è sostituito dal seguente: 4. Il costo del pasto determinato in sostituzione del servizio mensa non può superare L. 10.000. Il dipendente è tenuto a contribuire in ogni caso nella misura fissa di L. 2.000 per pasto»;
la disposizione di cui all’art. 29 del c.c.n.l. del 1999 è stata, quindi, modificata, nei commi 1 e 4, dall’articolo 4 del c.c.n.l. del 31 luglio 2009 (biennio economico 2008-2009), nei seguenti sensi: «1. Le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l’esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive. In ogni caso l’organizzazione e la gestione dei suddetti servizi, rientrano nell’autonomia gestionale delle aziende, mentre resta ferma la competenza del c.c.n.l. nella definizione delle regole in merito alla fruibilità e all’esercizio del diritto di mensa da parte dei lavoratori. 4. Le Regioni, sulla base di rilevazioni relative al costo della vita nei diversi ambiti regionali e al contesto socio-sanitario di riferimento, possono fornire alle aziende indicazioni in merito alla valorizzazione – nel quadro delle risorse disponibili – dei servizi di mensa nel rispetto della partecipazione economica del dipendente finora prevista. Nel caso di erogazione dell’esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive, queste ultime non possono comunque avere un valore economico inferiore a quello in atto ed il dipendente è tenuto a contribuire nella misura di un quinto del costo unitario del pasto. Il pasto non è monetizzabile»;
6.2. va innanzitutto precisato che il citato contratto nazionale integrativo, in quanto stipulato dall’Aran, viene direttamente conosciuto da questa Corte ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 64;
6.3. quanto al suddetto art. 29, è stato, invero, affermato che con la formula adottata («Le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l’esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive…») la disposizione contrattuale citata indica immediatamente che non viene direttamente costituito alcun diritto a favore dei dipendenti, né quanto all’istituzione del servizio, né alle modalità sostitutive, essendo rimessa la relativa determinazione alle aziende, compatibilmente con le risorse disponibili (v. Cass. n. 16736/2012);
lo conferma, del resto, la disposta disapplicazione (cfr. comma 5) del d.P.R. n. 270 del 1987, art. 33 che attribuiva direttamente ed immediatamente il diritto al servizio mensa, senza alcun rinvio a determinazioni ulteriori;
si rammenta, altresì, il disposto del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3, per cui: «Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”. Si rammenta altresì che con la L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002), è stato reso ancora più stringente il controllo sulle spese previste dalla contrattazione decentrata»;
6.4. nello specifico, tuttavia, la lettura della disposizione pattizia in chiave meramente programmatica, priva di portata immediatamente precettiva, non è risolutiva essendo intervenuta in sede regolamentare quella necessaria specificazione alla luce della quale va verificata la sussistenza del preteso diritto;
6.5. come si evince dagli atti puntualmente richiamati e riprodotti nel contenuto dalla ricorrente e come è pacifico tra le parti, l’ASL, con delibera n. 879 del 16 aprile 1998 ha istituito il servizio di mensa, garantendo l’esercizio del relativo diritto mediante l’erogazione dei buoni pasto;
l’indicata delibera, è stata poi richiamata ed integrata dalla delibera n. 730/2004, che ha ripristinato la distribuzione dei “buoni pasto”, dalla delibera 810/2004 dalla 442/2005 ed, in ultimo, dalla delibera 1088/2013 che hanno confermato l’istituzione del servizio mensa con le modalità sostitutive di cui al c.c.n.l. mediante erogazione di buoni pasto;
l’Azienda, dunque, su precetto della citata disposizione del c.c.n.l., ha ritenuto che il proprio assetto organizzativo e le risorse economiche a disposizione, le consentissero di garantire l’esercizio del diritto di mensa ai propri dipendenti, con modalità sostitutive;
6.6. tuttavia la suddetta fruizione è stata limitata ai soli “dipendenti delle strutture dell’Area Tecnico amministrativa che osservino un orario di lavoro articolato su 5 gg alla settimana con due rientri pomeridiani con intervallo non inferiore a 30 minuti e non superiore a 60 minuti per pausa mensa che dovrà collocarsi – di norma – nell’orario dalle ore 12.30 alle ore 15.30” nonché ai “dipendenti delle restanti articolazioni aziendali che osservino la medesima tipologia di lavoro in relazione all’organizzazione interna considerata ottimale ai fini del servizio erogato, tale risultante da dettagliata relazione a firma dei relativi responsabili” ed ancora ai “dipendenti che sulla base delle disposizioni in vigore in materia di orario disposto dal dirigente responsabile osservino nella singola giornata lavorativa, un orario di lavoro della durata di almeno 8 ore effettive, ricomprendente sia l’arco antimeridiano, sia quello pomeridiano della giornata stessa, con l’intervallo della pausa mensa non inferiore a trenta e non superiore a sessanta minuti che dovrà collocarsi – di norma – nell’orario dalle 13.00 alle ore 15.30”, precisandosi che “il buono pasto è altresì attribuito per la giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua, immediatamente dopo l’orario ordinario di lavoro almeno tre ore di lavoro straordinario, nel rispetto della pausa mensa minima di 30 minuti e massima di 60 minuti (v. art. 1 della citata delibera 445/2005);
si sono, così, esclusi dal beneficio i dipendenti, svolgenti la propria prestazione lavorativa su “turni interi”, delle “restanti articolazioni aziendali”, che per motivi di servizio vengono impiegati in altre fasce orarie (rispetto a quella a cavallo tra la fascia antimeridiana/pomeridiana) della giornata (per esempio in quella pomeridiana/serale o notturna) e che osservano un orario di lavoro anche superiore alle 8 ore, senza poter usufruire dell’intervallo della pausa mensa collocata “di norma” nell’orario dalle 12.30 alle 15.30;
è su questa limitazione che si incentrano le censure della ricorrente che, in particolare, rileva l’erroneità dell’assunto di cui alla sentenza impugnata, quanto alla sostenuta inconciliabilità del diritto alla mensa con il lavoro a turni o a “turno intero”;
6.7. orbene, questa Corte, nella recente decisione n. 9206/2023, in vicenda analoga, ha accolto il motivo di ricorso del lavoratore con il quale era stata la decisione impugnata nella parte in cui la medesima aveva escluso che il protrarsi dell’attività lavorativa per sei ore continuative non valesse ad integrare quella “particolare articolazione dell’orario” cui il c.c.n.l. viene a subordinare il servizio mensa o la fruizione dei buoni pasto sostitutivi, ribadendo in contrario che la determinazione dell’articolazione oraria doveva ritenersi rimessa alla contrattazione aziendale e che in ogni caso erronea sarebbe la conclusione – cui indirettamente perverrebbe la decisione impugnata – di riconoscere il diritto ai buoni pasto solo nel caso in cui si assista ad un prolungamento dell’orario di lavoro oltre quello normale;
si è ribadito il principio per cui, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto – in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio – è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato, pervenendo in tal modo alla conclusione per cui la “particolare articolazione dell’orario di lavoro” di cui all’art. 29 del c.c.n.l. del Comparto sanità del 20 settembre 2001, comportano il diritto alla fruizione della pausa di lavoro, a prescindere che la stessa avvenga in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto o che il pasto potesse essere consumato prima dell’inizio del turno (così Cass. n. 5547/2021 e in precedenza anche Cass. n. 31137/2019);
si è anche richiamato il d.lgs. 8 aprile 2003 nr. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), art. 8, a tenore del quale il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto; le modalità e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro ed, in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo e si è rilevato che anche nel testo legislativo la consumazione del pasto è collegata alla pausa di lavoro ed avviene nel corso della stessa;
si è escluso che l’art. 29 del c.c.n.l. richieda che l’attività lavorativa sia prestata nelle fasce orarie “normalmente” destinate alla consumazione del pasto rilevando che una eventuale volontà delle parti sociali in tal senso sarebbe stata chiaramente espressa, con l’indicazione di fasce orarie di lavoro che danno diritto alla mensa, fasce che non sono, invece, previste (v. Cass. n. 5547/2021 cit.);
da tali principi – ancor più recentemente ribaditi da Cass. n. 32113/2022 – si è desunto che il riferimento alla “particolare articolazione dell’orario”, di cui all’art. 29 del c.c.n.l. del Comparto sanità del 20 settembre 2001, non potesse vincolare la contrattazione decentrata nel senso di precludere la possibilità di riconoscere il diritto all’erogazione sostitutiva dei buoni pasto al di fuori dei casi in cui vi sia necessità per il lavoratore di trattenersi al lavoro in orario non solo antimeridiano ma anche pomeridiano e l’orario di lavoro venga a prolungarsi in modo incompatibile con l’ordinaria fruizione del pasto;
6.8. ed allora, ferma come detto la disponibilità delle risorse, non poteva l’Azienda restringere il campo degli aventi diritto a buono mensa rispetto alle stesse previsioni di cui alla clausola contrattuale in esame (art. 29 c.c.n.l.) ed alla “particolare articolazione dell’orario” come interpretata da questa Corte nei termini sopra indicati;
7. conclusivamente, il primo motivo di ricorso va accolto, con conseguente assorbimento delle restanti censure; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra enunciati;
8. al giudice del rinvio è demandata anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
9. non sussistono le condizioni processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002).
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione.
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