Corte di Cassazione ordinanza n. 26760 depositata il 12 settembre 2022
regime dell’inversione contabile di cui all’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972
Rilevato che:
1. Risulta dalla sentenza impugnata, che l’Agenzia delle Entrate emise nei confronti della O.M. & C. s.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili M.E., E.M., M.A. e B.M., tre distinti avvisi di accertamento, relativi agli anni 2011, 2012 e 2013, contestando l’illegittima applicazione del reverse charge di cui all’art. 17, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto aveva emesso fatture alla P.P. s.p.a., alla quale aveva ceduto materiale d’oro, senza indicazione dell’Iva, nonostante la stessa non svolgesse esclusivamente attività di lavorazione industriale dei metalli preziosi, ma si limitasse ad acquistare materiale d’oro usato e a rivenderlo a terze imprese per la trasformazione, sicché esercitava attività di intermediazione e non di trasformazione dell’oro, sostenendo che costituisse condizione essenziale per l’applicazione di tale regime il fatto che il cessionario dell’oro venduto svolgesse effettivamente attività di fusione e trasformazione industriale del materiale e che solo tale circostanza consentisse di assimilare, ai fini del trattamento Iva, l’acquisto dei suddetti beni di oro usato ad un acquisto di oro industriale, soggetto a reverse charge.
Impugnato il predetto atto dai contribuenti, la C.T.P. di Pordenone rigettò il ricorso con sentenza n. 164/2017, che, impugnata dai medesimi contribuenti, fu confermata dalla C.T.R. per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 103/19, depositata il 9/7/2019.
2. Contro la predetta sentenza i contribuenti propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che:
1. Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 5, P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per avere la C.T.R. affermato che, ai fini dell’applicazione del reverse charge, è necessario, ai sensi della predetta disposizione, che il cessionario eserciti in modo diretto ed esclusivo l’attività di trasformazione del metallo e per aver sostenuto, oltretutto prescindendo dall’oggetto sociale della cessionaria in contrasto con la norma e la prassi, che quest’ultima si era limitata a rivendere il metallo a terze imprese per la trasformazione, senza svolgere essa stessa attività di fusione o di trasformazione o avere incaricato terzi per l’effettuazione di tali attività. Ad avviso dei contribuenti, invece, il discrimine per l’applicazione del reverse charge era pacificamente, ratione temporis, la destinazione al recupero e alla trasformazione del bene compravenduto anche quando questo avvenga tramite altro soggetto, potendo tale concetto indifferentemente riguardare tanto la cessione alla società che provveda alla fusione direttamente, quanto la cessione a società che non fonda direttamente, ma si limiti ad effettuare analisi chimiche, per poi rivendere il materiale solo a fonderie, e che soltanto con la risoluzione del dicembre 2013 la destinazione alla fusione è stata declinata in termini di “esercizio diretto ed esclusivo dell’attività di trasformazione”. Inoltre, era stato trascurato il fatto che la cessionaria svolgesse attività di acquisto di rottami di oreficeria e gioielleria in oro, anche usato, platino, argento e altri metalli preziosi, da rivendere ad operatori che li trasformassero in materia prima, commercio di oro da investimento, fusione, analisi chimiche, produzione di lingotti, ricerca di metalli preziosi, con esclusione della commercializzazione di gioielli.
2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 6, lgs. 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3), cod., proc. civ., per avere la CTR sostenuto che la cessionaria non versava l’Iva in regime di reverse charge con riferimento agli acquisti effettuati dalla ricorrente, ma a propria volta cedeva, senza versare l’imposta, in regime di reverse charge a terzi, sicché non poteva trovare accoglimento la domanda subordinata che si riferiva alla violazione delle suddette disposizioni, benché i contribuenti avessero eccepito la loro non punibilità poiché la risoluzione n. 92/2013, che era intervenuta per risolvere un dubbio interpretativo, era successiva all’ultima condotta.
3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. art. 6, comma 9-bis 2, lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod., proc. civ., per avere la CTR escluso l’applicazione della sanzione fissa prevista appositamente per l’applicazione del reverse charge in assenza dei requisiti soggettivi, senza considerare che l’art. 6, comma 9-bis.2, impone di verificare se il cessionario abbia assolto l’Iva attraverso il sistema della doppia annotazione (imposta a debito e a credito), regolarità formale che, nella specie, non era stata mai messa in dubbio, benché per escludere l’applicazione di tale disposizione avrebbe dovuto essere contestata la mancanza della doppia annotazione.
4. Con il quarto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3), cod. proc. civ., per avere il giudice di merito affermato che l’Amministrazione finanziaria aveva chiarito la portata dell’art. 17, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1973, già prima del 2013, nonostante la risoluzione n. 92/103 del 2013 avesse invece portata innovativa, avendo previsto che il cessionario dovesse svolgere effettivamente l’attività di fusione e di trasformazione industriale del metallo, mentre la risoluzione n. 375/2002 prevedeva che i rottami venduti non fossero suscettibili di utilizzazione da parte del consumatore finale, ma fossero destinati a soggetto che li impiega n un processo intermedio di lavorazione e di trasformazione e le risoluzioni del 2001, 2002 e 2005 che il cessionario doveva operare esclusivamente nel settore del recupero di materiali preziosi e non svolgere attività di commercializzazione di gioielli.
5. Con il quinto motivo, correlato al quarto, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 lgs. d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3), cod. proc. civ., in quanto, avendo la risoluzione 92/2013 contenuto innovativo rispetto alla risoluzione n. 375/E del 28 novembre 2002, avrebbe dovuto essere applicato il citato art. 6, in ragione della incertezza interpretativa della norma esistente alla data di emissione delle fatture.
5.1 Il primo motivo è fondato.
L’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile temporalmente, dispone «In deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l’indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’articolo 25».
L’art. 1, legge 17 gennaio 2000, n. 7, nel testo applicabile temporalmente, prevede «1. Ai fini della presente legge con il termine “oro” si intende: a) l’oro da investimento, intendendo per tale l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera del/’80 per cento il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla Commissione delle Comunità europee delle informazioni in merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri; b) il materiale d’oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza».
Tali disposizioni legislative interne sono conformi e attuano le correlative previsioni del diritto dell’UE ed in particolare dell’art. 198, paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE, secondo cui «Quando una cessione di materiale d’oro o di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi o una cessione di oro da investimento ( .. .) è effettuata da un soggetto passivo ( .. .), gli Stati membri possono designare l’acquirente come debitore dell’imposta»; e dell’art. 199, paragrafo 1, secondo cui «Gli Stati membri possono stabilire che il debitore dell’imposta sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni: ( .. .) d) cessioni di materiali di recupero, di materiali di recupero non riutilizzabili in quanto tali, di materiali di scarto industriali e non industriali, di materiali di scarto riciclabili, di materiali di scarto parzialmente lavorati, di avanzi e determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi figuranti nell’allegato VI; … », il quale ultimo individua le «Cessioni di rottami ferrosi e non ferrosi, avanzi e materiali di recupero, comprese le cessioni di semiprodotti ottenuti dalla trasformazione, dalla lavorazione o dalla fusione di metalli ferrosi non ferrosi e di loro leghe».
5.2 Come chiarito anche dalla Corte di giustizia, l’art. 198, paragrafo 2, della Direttiva Iva, nel consentire agli Stati di prevedere, nelle situazioni cui si riferisce, un meccanismo di inversione contabile in base al quale il debitore Iva è il soggetto passivo destinatario dell’operazione assoggettata a detta imposta, introduce un’eccezione al principio espresso dall’art. 193, secondo cui l’Iva è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni e una prestazione di servizi imponibile, sicché esso va interpretato in senso stretto, senza tuttavia essere privato di effetto (in tal senso Corte Giust., sentenze 13/6/2013, in causa C-125/12, Promociones y Costruciones BJ200, punti 23 e 31, 26/4/2017, in causa C-564/15, Farkas; Cass., 15/07/2020, n. 14999).
Orbene, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui è parte (in tal senso Corte Giust., sentenze del 26/1/2011, in causa C-218/10, ADV Allround, punto 26, e del 19/7/2012, A, C-33/11, punto 27), mentre la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione deve essere ricavata conformemente al loro senso abituale nel linguaggio comune, tenendo conto, al contempo, del contesto in cui essi sono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi (vedi, in tal senso, Corte di Giust., sentenza del 13 dicembre 2012, in causa C-395/llBLV Wohn- und Gewerbebau, punto 25) e, in caso di divergenze linguistiche, in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui è parte (v., in tal senso, Corte di Giust. sentenze del 3/3/2005, in C-428/02, Fonden Marselisborg Lystbadehavn, punto 42, e del 13/6/2013, in causa C-125/12, Promociones y Construcciones BJ 200, punto 22).
Pertanto, il riferimento contenuto nell’art. 198, paragrafo 2, della Direttiva Iva, alle «cessioni di materiali …», ribadito nell’allegato VI, va inteso nei termini espressi dall’art. 14, paragrafo 1, della medesima Direttiva, il quale stabilisce che «Costituisce “cessione di beni” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario» (vedi tra le tante, Corte di Giust. sentenza del 26/5/2016, in causa C-550/14, 0stre Landsret), mentre, con riguardo all’oggetto della cessione, l’allegato VI della direttiva elenca, al punto 1, le «cessioni di rottami ferrosi e non ferrosi, avanzi e materiali di recupero», al punto 2, le «cessioni di prodotti semilavorati ferrosi e non ferrosi», al punto 3, le «cessioni di residui ed altri materiali riciclabili costituiti da metalli ferrosi e non ferrosi [o] loro leghe» e, al punto 4, le «cessioni di rottami ferrosi e metalli di recupero nonché di ritagli, avanzi [e] cascami».
Tenendo conto del complesso delle norme citate, questa Corte ha avuto modo di affermare che, ai fini dell’applicazione del regime d’inversione contabile, la questione fondamentale non sta tanto nel fatto che il bene ceduto sia un prodotto semilavorato, quanto piuttosto che si tratti di un prodotto d’oro ed il suo “tenore”, con la conseguenza che «è il livello di purezza dell’oro contenuto nel bene ad essere decisivo per determinare se una cessione di materiale d’oro o di prodotti semilavorati, come sopra intesi, rientri o no nell’ambito di applicazione dell’art. 198, paragrafo 2, della direttiva IVA», come affermato dalla Corte giust. in causa C-550/14, cit., punto 42, citata nella pronuncia, e che ai fini dell’applicazione dell’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, è necessario e sufficiente «che si tratti di prodotti non immediatamente destinati al consumo e che rispondano ai requisiti di purezza stabiliti dalla norma medesima» (vedi Cass., Sez. 5, 6/4/2022, n. 11109).
Ai fini del reverse charge, non rileva, dunque, che l’attività di trasformazione del materiale d’oro o del semilavorato sia eseguita direttamente dal cessionario dell’operazione, costituendo requisiti fondamentali per la sua applicazione sia la purezza del prodotto d’oro – quale condizione prioritaria emergente, con tutta evidenza, dalla nozione di “materiale d’oro” e di “prodotto semilavorato”, la quale si presta di per sé soltanto ad escludere dal proprio ambito i prodotti finiti e i prodotti che non siano mai stati oggetto di lavorazione o di trasformazione -, sia la non immediata destinazione al consumo del bene ceduto, in quanto deputato ad essere trasformato in un altro oggetto e a conoscere un nuovo ciclo economico (vedi Cass., Sez. 5, 6/4/2022, n. 11109), a differenza di quanto previsto per il diverso regime del margine ex art. 311 della Direttiva Iva, riferito, viceversa, a prodotti di occasione e, dunque, a beni suscettibili di reimpiego (Cass., Sez. 5, 06/05/2021, n. 11927).
Tale interpretazione non solo è in linea con la lettera delle norme sopra riportate (art. 198, paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE, e 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972), ma è altresì coerente con l’obiettivo di prevenire frodi fiscali, perseguito dal legislatore unionale con il regime in esame (Cass., Sez. 5, 6/5/2021, n. 11927, che richiama Corte giust. 26 maggio 2016, causa C-550/14, Envirotec Denmark ApS, punto 30), il quale, come si è visto, costituisce, a sua volta, criterio utilizzabile a fini ermeneutici. Infatti, ciò che aumenta il rischio di frodi fiscali e giustifica, pertanto, l’applicazione del meccanismo di inversione contabile per la cessione di determinati beni, fra cui l’oro, è l’elevato valore di mercato degli stessi rispetto alle dimensioni, che li rendono facilmente trasportabili e che nel commercio dell’oro, quando non si tratta di un prodotto finito, come un gioiello, è il tenore d’oro del bene in questione a determinarne il valore, con la conseguenza che il rischio di frodi fiscali è tanto maggiore quanto più elevato è il tenore d’oro di tale bene (in tal senso, Corte Giust. sentenza, 26/5/2016, in causa C-550/14, punto 41), sicché limitare l’applicazione di questo regime derogatorio ai soli casi in cui il bene viene trasformato dal cessionario, benché rispondente alle caratteristiche richieste, vanificherebbe la finalità con esso perseguita.
Alla stregua di quanto detto, deve dunque ritenersi che il regime dell’inversione contabile di cui all’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, allorché prevede che le cessioni abbiano ad oggetto imponibili d’oro da investimento oppure materiale d’oro oppure prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, postula che il metallo ceduto si caratterizzi per il suo “tenore” e sia destinato non all’immediato consumo, ma alla sua trasformazione in un altro oggetto che avvii un nuovo ciclo economico, senza che assuma invece rilevanza il fatto che il cessionario debba egli stesso occuparsi direttamente del processo intermedio di lavorazione, stante la funzione da esso assolta di snellire il processo di riscossione al fine di prevenire le condotte di evasione per quei beni e quelle prestazioni che, per le loro caratteristiche, sono a rischio frodi.
5.4 Nella specie, i giudici di merito non si sono affatto attenuti a tale principio, avendo evidenziato come la cessionaria avesse svolto soltanto attività di acquisizione di materiale d’oro usato e di prodotti d’oro a magazzino e invenduti dalla cedente, senza sottoporli ad alcuna lavorazione, in quanto provvedeva a cederli a terzi che si occupavano poi della loro trasformazione, e avendo perciò concluso che l’operazione esaminata fosse soggetta al regime ordinario e non a quello di inversione contabile, non avendo essi accertato le caratteristiche dei prodotti oggetto della cessione, secondo le indicazioni sopra riportate.
Ne consegue la fondatezza del motivo.
6. In ragione dell’accoglimento della prima censura, deve dichiararsi l’assorbimento delle altre, derivando l’applicazione della sanzione dalla realizzazione della condotta ad essa sottesa.
7. In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo motivo e l’assorbimento degli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla C.T.R. per il Friuli Venezia Giulia, che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. per il Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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