Corte di Cassazione, ordinanza n. 27940 depositata il 4 ottobre 2023
sanzioni disciplinare – diritto al risarcimento del danno a favore del datore di lavoro
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Ancona aveva rigettato l’appello proposto da T.M. nei confronti di B. Banca spa, avverso la decisione con cui il tribunale di Macerata lo aveva condannato al pagamento della somma di E.117.228,50, a titolo di risarcimento del danno causato dalla sua negligenza quale direttore della filiale di Civitanova Marche, per aver omesso di custodire, in un dossier relativo ad una società cliente (K. srl) copia dei documenti consacranti il contratto di prestito accordato e la fideiussione prestata , in tal modo impedendo alla banca di insinuarsi al passivo fallimentare della società, rimasta inadempiente rispetto alla restituzione del prestito accordato.
La corte di merito, confermando il tribunale, sulla base degli elementi istruttori e testimoniali acquisiti, aveva ritenuto sussistente la responsabilità del ricorrente, attesa la sua posizione, la responsabilità in vigilando che doveva esercitare, pur in assenza di una azione disciplinare promossa dalla banca. Avverso detta decisione il T.M. proponeva ricorso affidato a tre motivi cui resisteva la banca con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)- Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 cod. civ., dell’art 7 legge 300/70; nonché l’omesso accertamento della intervenuta decadenza delle pretese spiegate in ricorso avversario ( at 360 co.1 n. 3 c.p.c.)
Il ricorrente si duole di quanto statuito dalla corte territoriale circa l’indipendenza dell’azione disciplinare rispetto a quella risarcitoria. In particolare rileva che pur non mettendosi in dubbio detta indipendenza, nel caso in esame alla iniziale contestazione non era seguito nessun provvedimento disciplinare.
Tale circostanza avrebbe dovuto far escludere la pretesa risarcitoria in quanto fondata sui medesimi fatti oggetto della contestazione mai giunta ad uno specifico addebito.
Il motivo si appalesa irrilevante, poiché, come anche dedotto dallo stesso ricorrente, le due differenti azioni, disciplinare e di risarcimento del danno, si pongono su piani distinti, indipendenti l’uno dall’altro.
Questa Corte ha chiarito che la violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza da parte di un dipendente comporta, oltre all’applicabilità di sanzioni disciplinari, anche l’insorgere del diritto al risarcimento dei danni e ciò tanto più nel caso in cui il medesimo, quale dirigente di un istituto di credito in rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, del quale è un “alter ego”, occupi una posizione di particolare responsabilità, collocandosi al vertice dell’organizzazione aziendale e svolgendo mansioni tali da improntare la vita dell’azienda (Cass.n.394/2009; Cass.n. 8702/2000; Cass. n. 2097/18).
L’esistenza di fatti accertati, anche se non censurati sotto il profilo disciplinare, può comunque determinare il diritto al risarcimento del danno provocato, poiché l’interesse perseguito dal datore di lavoro è costituito dal ripristino della situazione patrimoniale evidentemente lesa. In tale prospettiva la scelta di non far conseguire provvedimenti disciplinari è legittimamente assunta dal datore di lavoro che non valuti sanzionabile la condotta. Il motivo è inammissibile.
2)- Con la seconda censura è dedotta la violazione e falsa applicazione degli art 2104, 2094, 1176, 1218, 2697, 2225 cod. civ; degli artt. 115 ,116, 244 e 421 cod proc civ ( art. 360 co.1 n.3 c.pc.).
Con tale motivo il ricorrente si duole della statuizione relativa alla ritenuta responsabilità per culpa in vigilando; in particolare evidenzia che non sia stato tenuto in considerazione il livello di autonomia della filiale rispetto alla sede centrale, ed infine la scelta della banca di mancata insinuazione al passivo del fallimento. Le censure sono inammissibili poiché dirette a sollecitare una nuova valutazione di merito da parte del Giudice di legittimità. Le circostanze di fatto indicate sono state già valutate dal giudice territoriale e il giudizio è dunque proprio della sua determinazione finale.
3) L’ultima censura ha riguardo all’omesso esame di fatto decisivo, quale la avvenuta deliberazione di approvazione del finanziamento K. comportante rischio di impresa per la banca, con esclusione della responsabilità del dipendente e del nesso causale con il danno lamentato.
Il motivo risulta inconferente rispetto alle valutazioni svolte dal giudice d’appello centrate sulla responsabilità del dipendente per la perdita del documento attestante il credito accordato alla società K. con la conseguente impossibilità di insinuazione al passivo fallimentare.
Nessun rilievo rispetto al risarcimento del danno in discussione ha pertanto avuto la originaria approvazione del finanziamento ed il rischio in tal modo assunto dalla banca, in quanto la condotta addebitata al dipendente ha riguardato la sola perdita del documento impeditivo del recupero del credito. La censura risulta pertanto non centrata rispetto ai fatti in discussione.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il versamento del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
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