CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 28845 depositata il 17 ottobre 2023

Lavoro – Associazione sportiva dilettantistica – Compensi agli istruttori – Compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche – Regime contributivo agevolato – Accertamento della natura professionale o meno del rapporto nell’ambito del quale i redditi sono stati percepiti – Redditi diversi – Accoglimento

Fatti di causa

1.– Con sentenza n. 883 del 2016, depositata l’11 ottobre 2016, la Corte d’appello di Bologna ha respinto il gravame principale dell’INPS e ha perciò confermato la pronuncia del Tribunale della medesima città, nella parte in cui ha rigettato la pretesa contributiva dell’INPS concernente i compensi corrisposti a sedici istruttori di nuoto di un’associazione sportiva dilettantistica, per il periodo dal primo settembre 2007 al 31 agosto 2009.

In accoglimento dell’appello incidentale dell’A.S.D.N.N., la Corte territoriale ha riformato la pronuncia del Tribunale, nella parte in cui ha compensato integralmente le spese del primo grado, e ha conseguentemente condannato l’INPS a rifonderle alla controparte.

1.1.– A fondamento della decisione, la Corte d’appello di Bologna ha argomentato che sono redditi diversi, e dunque non sono soggetti a contribuzione, i compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche da qualunque organismo che persegua finalità sportive dilettantistiche e sia riconosciuto dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali e dagli enti di promozione sportiva (art. 67, comma 1, lettera m, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917).

In base alla norma d’interpretazione autentica dettata dall’art. 35, comma 5, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2009, n. 14, l’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche include anche la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica.

Il regime contributivo agevolato si applica ai compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche, «a prescindere dal requisito del carattere non professionale» della prestazione e «dalla continuità e abitualità della prestazione» (pagina 4 della sentenza impugnata).

Ad avviso dei giudici d’appello, «Il fatto che le prestazioni in oggetto siano rese nell’ambito di un organismo sportivo dilettantistico senza scopo di lucro come tale riconosciuto dal Coni o da enti di promozione sportiva e siano dirette allo svolgimento di attività sportiva dilettantistica, rende le stesse necessariamente e logicamente prive del carattere di professionalità» (pagina 5).

Ne consegue il rigetto dell’appello principale dell’INPS.

1.2.– È fondato, invece, l’appello incidentale della A.S.D.N.N. in ordine alla compensazione delle spese di lite, disposta dal Tribunale senza alcuna motivazione.

2.– L’INPS impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Bologna, con ricorso notificato l’11 aprile 2017 e affidato a un unico, complesso, motivo.

3.– L’A.S.D.N.N. resiste con controricorso, notificato il 19 maggio 2017.

4.– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio in base all’art. 380-bis.1., primo comma, cod. proc. civ.

5.– Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.

6.– La parte controricorrente, in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio, ha depositato memoria illustrativa.

7.– Il Collegio, al termine della camera di consiglio, si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).

Ragioni della decisione

1.– Con l’unico motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 15 marzo 2005 (Integrazione e ridefinizione delle categorie dei soggetti assicurati al fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo, istituito presso l’ENPALS), del  decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 15 marzo 2005 (Adeguamento delle categorie dei lavoratori assicurati obbligatoriamente presso l’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei lavoratori dello spettacolo), dell’art. 67, comma 1, lettera m), del d.P.R. n. 917 del 1986, dell’art. 24, comma 5, del d.l. n. 207 del 2008 (rectius, art. 35, comma 5, del d.l. n. 207 del 2008).

Senza contestare i fatti di causa, accertati dalla Corte territoriale, il ricorrente sostiene che l’ambito della tutela previdenziale obbligatoria garantita dall’ENPALS comprenda anche coloro che lavorano presso impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, «a prescindere dalla natura subordinata o autonoma del lavoro svolto e dallo svolgimento di un numero minimo di ore di lavoro» (pagina 9 del ricorso).

L’esenzione dall’obbligo contributivo potrebbe essere sancita solo da un’espressa previsione di legge e, a tale riguardo, non sarebbe pertinente il richiamo all’art. 67, comma 1, lettera m), del d.P.R. n. 917 del 1986, che riguarderebbe la sola «individuazione dei redditi sui quali il contribuente è tenuto a pagare l’imposta sul reddito delle persone fisiche» (pagina 10), senza regolare il profilo previdenziale.

2.– Il ricorso non presenta i profili d’inammissibilità, eccepiti dall’A.S.D.N.N. nel controricorso e ribaditi nella memoria illustrativa, con riferimento alla mancata indicazione delle conclusioni.

Il ricorso per cassazione dev’essere corredato, a pena d’inammissibilità, dall’indicazione dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza (art. 366, primo comma, cod. proc. civ.). L’esplicita enunciazione delle conclusioni non è un requisito essenziale di forma-contenuto dell’atto, ove si desuma con certezza, dal contenuto del ricorso, la volontà dell’impugnante di ottenere l’annullamento della decisione (Cass., sez. V, 31 gennaio 2019, n. 2912).

Nella specie, tale volontà è inequivocabile e perspicue sono le argomentazioni addotte a sostegno del ricorso. È ininfluente, pertanto, la mancata indicazione delle conclusioni, a fronte dell’esposizione circostanziata dei motivi per cui si chiede la cassazione della sentenza.

3.– Il ricorso è fondato, nei limiti di séguito precisati.

4.– Le censure devolvono in sede di legittimità la disamina della fondatezza della pretesa contributiva dell’INPS.

Nel suo potere di qualificazione giuridica dei fatti, a questa Corte è demandata la verifica sulla corretta interpretazione della disposizione che i giudici d’appello hanno applicato e che il ricorrente assume sia stata violata.

La qualificazione giuridica, anche sulla scorta di profili diversi da quelli posti in risalto dalla parte ricorrente, è pur sempre vincolata ai fatti esposti nel ricorso e nella stessa sentenza impugnata e non può alterare il tema del decidere, delineato sulla base delle domande e delle eccezioni delle parti (Cass., sez. lav., 7 febbraio 2022, n. 3759).

5.– Questa Corte ha chiarito che, in tema di assicurazione presso la gestione ENPALS, ora INPS, sono soggetti in via generale all’obbligo assicurativo, secondo quanto precisato dal decreto ministeriale n. 17445 del 2005, emanato in esecuzione dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. C.P.S. n. 708 del 1947, gl’impiegati, gli operai, gl’istruttori e gli addetti ad impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere.

Ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera m), del d.P.R. n. 917 del 1986, sono esonerati dall’obbligo assicurativo coloro che abbiano reso prestazioni, compensate nei limiti monetari di cui all’art. 69 del medesimo testo unico, relative alla formazione, alla didattica, alla preparazione e all’assistenza dell’attività sportiva dilettantistica.

Chi invoca l’esonero deve provare che le prestazioni rese: a) non siano state compensate in relazione all’attività di offerta del servizio sportivo svolta da lavoratori autonomi o da imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente assunta dal prestatore; b) siano state espletate in favore di associazioni o società dilettantistiche e senza fine di lucro; c) trovino fonte nel vincolo associativo e non in un distinto obbligo personale; d) non trovino corrispondenza nell’arte o nella professione abitualmente esercitata, anche in modo non esclusivo, da colui che ha effettuato la prestazione (Cass., sez. lav., 23 dicembre 2021, n. 41397).

6.– La disposizione di cui all’art. 67, comma 1, lettera m), del d.P.R. n. 917 del 1986 viene dunque in rilievo anche in materia previdenziale, ma è necessario riscontrarne, in concreto, i presupposti applicativi.

Il tema della professionalità riveste rilievo cruciale sul versante dell’obbligazione contributiva dedotta in causa ed è stato dibattuto anche nel giudizio d’appello, come traspare dalle argomentazioni della stessa sentenza impugnata (pagina 3, punto 5, nella parte in cui ragguaglia sulle doglianze dell’INPS, e pagina 4, punto 7, nella parte in cui disattende i motivi d’appello articolati dall’INPS a tale riguardo). La disposizione richiamata del Testo unico sulle imposte sui redditi non annovera tra i redditi diversi le somme percepite da coloro che svolgano professionalmente le attività da cui le somme derivano.

Invero, il citato art. 67 esordisce, escludendo a priori i redditi di capitale, quelli conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, o in relazione alla qualità di lavoratore dipendente.

Tale esclusione opera anche nell’ipotesi in cui il soggetto percettore intervenga nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche.

La previsione dell’art. 67 non accorda, pertanto, un’automatica e indiscriminata esenzione dall’obbligo contributivo alle associazioni o alle società formalmente riconosciute quali dilettantistiche, «a prescindere cioè dalla effettiva e concreta riprova della presenza dei requisiti specifici richiesti dalla citata disposizione, rilevando piuttosto, a monte, la verifica giudiziale della effettiva natura “dilettantistica” del soggetto (associazione e/o società sportiva) in favore del quale la collaborazione è stata esercitata (così Cass. n. 2152 del 2020, Cass. n. 10393 del 2018, Cass. n. 16449 del 2016 e Cass. n. 23789 del 2016) e, a valle, il fatto che i compensi non devono essere conseguiti nell’esercizio di professioni né derivare da un rapporto di lavoro dipendente, essendosi a tal fine precisato che, per esercizio di arti e professioni, ai sensi dell’art. 53 TUIR, deve intendersi “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo” diversa dall’attività di impresa (cfr. Cass. n. 11375 del 2020 cit.)» (Cass., sez. lav., 7 marzo 2022, n. 7388).

Non si possono dunque configurare come “redditi diversi” quelli che derivano dall’esercizio abituale di un’attività autonoma nel senso specificato o quelli tratti dall’esercizio professionale di attività coordinate e continuative, assimilati piuttosto a quelli di lavoro dipendente (art. 50 TUIR, lettera c).

7.– Erra, dunque, la pronuncia d’appello (pagina 4), nel qualificare come “redditi diversi” i compensi percepiti dagli istruttori, sol perché sono stati percepiti nell’esercizio di attività sportive dilettantistiche, e nel reputare superfluo l’accertamento della natura professionale o meno del rapporto nell’ambito del quale i redditi sono stati percepiti (ordinanza n. 3759 del 2022, cit.).

Non si possono condividere, pertanto, i rilievi formulati dalla parte controricorrente nella memoria illustrativa, sul presupposto che la Corte di merito abbia comunque svolto un accertamento in concreto della professionalità, come tale insindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. La sentenza impugnata, per contro, si è discostata dai principi di diritto enunciati da questa Corte, nell’affermare che l’esclusione del carattere professionale è in re ipsa (pagina 5) e nel considerare dirimente il fatto che le prestazioni sono rese nell’ambito di un organismo sportivo dilettantistico senza scopo di lucro, in un contesto qualificato dal riconoscimento di un organo pubblico che attesta i requisiti stabiliti dalla norma (in controversie analoghe, Cass., sez. lav., 28 gennaio 2022, n. 2710, punto 59 dei Motivi della decisione, e 27 gennaio 2022, n. 2389).

In ultima analisi, l’errore di diritto risiede nell’affermazione dell’irrilevanza dell’effettiva verifica del carattere di professionalità o meno dell’attività del soggetto che ha reso la prestazione e ha ricevuto il compenso dall’associazione sportiva.

In virtù di tale fallace premessa sistematica, la Corte d’appello di Bologna «ha proceduto con metodo inesatto al giudizio di sussunzione della fattispecie giuridica sottoposta al suo esame ed è, perciò, incorsa in errore di diritto» (Cass., sez. lav., 24 gennaio 2022, n. 2000, punto 59 dei Motivi della decisione, che cassa con rinvio una sentenza pronunciata dalla medesima Corte d’appello di Bologna; nello stesso senso, Cass., sez. lav., 5 gennaio 2022, n. 177, punti 59 e 60 dei Motivi della decisione, e Cass., sez. lav., 5 gennaio 2022, n. 175, punto 58 dei Motivi della decisione).

Entro questi limiti, le censure colgono nel segno.

8.– Per le ragioni esposte, il ricorso dev’essere accolto per quanto di ragione.

La sentenza d’appello è cassata e la causa dev’essere rinviata alla Corte d’appello di Bologna, che, in diversa composizione, riesaminerà la fattispecie controversa e compirà i necessari accertamenti di fatto alla luce dei principi ribaditi nella presente ordinanza.

Al giudice di rinvio è rimesso anche il compito di pronunciare sulle spese del giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).

P.Q.M.

Accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione.