CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 31733 depositata il 15 novembre 2023
Lavoro – Plurimi contratti a tempo determinato – Accertamento nullità del termine – Conversione rapporto a tempo indeterminato – Reintegrazione nel posto di lavoro – Pagamento retribuzioni medio tempore maturate – Accoglimento
Rilevato che
1. con sentenza 17 luglio 2019, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato le domande della lavoratrice indicata in epigrafe (dipendente di I.T. s.p.a. presso lo stabilimento di Benevento dal 31 agosto 2006 in forza di plurimi contratti a tempo determinato giustificati da “esigenze tecniche, organizzative e produttive”) di accertamento della nullità del termine ad essi apposto, di conversione del rapporto a tempo indeterminato fin dal momento dell’assunzione, con reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società datrice al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 18 ottobre 2008 e condannato la società al pagamento, in favore della lavoratrice a titolo risarcitorio, di somma pari a tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori;
2. essa ha infatti ritenuto la specificità delle “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” previste dall’art. 1, primo comma d.lgs. 368/2001, applicabile ratione temporis e comprovata la loro effettività, per l’apertura al pubblico dell’ipermercato di Benevento il 19 ottobre 2006, preceduta da un “accordo di avvio”, sottoscritto il 13 luglio 2006 dalla società con le oo.ss. regionali e territoriali e valido fino al 31 dicembre 2008, di previsione espressa che, nella sua fase di avviamento, “la struttura dell’organico sarebbe stata raggiunta attraverso l’utilizzo delle metodologie assuntive previste dalla vigente legislazione, ivi compresi gli apprendisti, i contratti a tempo determinato”. Ed ha pertanto reputato legittimo il termine apposto anche al contratto dell’1 luglio 2008 prorogato fino al 18 ottobre 2008;
3. con atto notificato il 30 dicembre 2019, la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., cui la società datrice (I.T. s.p.a. incorporata per fusione in U.T. soc. coop.) ha resistito con controricorso.
4. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. la ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per violazione degli artt. 100, 324, 329 c.p.c., nonché degli artt. 112, 345, 434, 437 c.p.c., per non avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile l’appello, per difetto d’interesse.
Ella si è, infatti, doluta del mancato rilievo rilievo della formazione di giudicato, per acquiescenza della società appellante, sul capo della sentenza di primo grado di illegittimità della proroga al 18 ottobre 2008 del contratto a tempo determinato dell’1 luglio 2008 (fino al 31 agosto 2008), non già in riferimento alla causale giustificativa, bensì alla carenza di prova (nell’onere della società appellante, che neppure ha affrontato la questione) di superamento del limite di contingentamento del 15% annuo: posto il suo ripristino alla scadenza dei 24 mesi previsti dall’art. 7.16 del contratto aziendale 2 maggio 2006 (come espressamente consentito dall’art. 96, secondo comma del CCNL per i dipendenti da imprese della distribuzione cooperativa del 17 ottobre 2005) e pertanto il 31 agosto 2008 (per l’apertura dell’unità produttiva nel settembre 2006 e della stipulazione del primo contratto a tempo determinato il 31 agosto 2006), nulla avendo in proposito stabilito l’accordo del 13 luglio 2006.
La ricorrente ha quindi concluso avere la Corte partenopea pure travalicato i propri poteri decisori, delimitati dalla devoluzione con l’atto di appello (primo motivo);
2. esso è fondato;
3. in via di premessa, deve essere rilevata l’ammissibilità del motivo, in quanto specifico, per essere conforme alla prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., da rispettare anche in caso di denuncia di error in procedendo, che pure investe il giudice di legittimità del potere di esaminare direttamente gli atti (Cass. S.U. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 8 gennaio 2020, n. 134; Cass. 24 dicembre 2021, n. 41465), avendo la ricorrente debitamente trascritto, per le parti d’interesse, gli atti processuali rilevanti, in particolare la sentenza di primo grado (dall’ultimo capoverso di pg. 6 al primo periodo di pg. 8 del ricorso) e l’atto di appello (dal terzo capoverso di pg. 16 all’ultimo di pg. 17 del ricorso;
3.1. è noto che costituisca capo autonomo di sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolva una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente;
tale non essendo, qualora esso manchi della suddetta autonomia, nell’ipotesi in cui si verta in tema, non solo di mere argomentazioni, ma anche di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorra a formare un capo unico della decisione (Cass. 23 marzo 2012, n. 4732; 18 settembre 2017, n. 21566; Cass. 15 dicembre 2021, n. 40276; Cass. 30 giugno 2022, n. 20951);
3.2. nel caso di specie, la mancata prova del rispetto della clausola di contingenza, a norma dell’art. 10 d.lgs. 368/2001, costituisce capo autonomo di sentenza, suscettibile di formare oggetto di giudicato interno. Essa integra, infatti, ragione autonoma di illegittimità del contratto a termine, nell’onere della parte datrice (Cass. 4 aprile 2011, n. 7645; Cass. 26 gennaio 2015, n. 1351; Cass. 10 marzo 2015, n. 4764): ciò che ha puntualmente ritenuto il Tribunale (secondo la trascrizione della sentenza all’ultimo capoverso di pg. 7 del ricorso);
3.3. la mancata impugnazione del capo suddetto, comportante acquiescenza (Cass. 23 settembre 2016, n. 18713; Cass. 25 giugno 2020, n. 12649), ancorché tacita (Cass. 30 novembre 2012, n. 21385; Cass. 16 novembre 2021, n. 34539), priva l’appello della società di ogni interesse non potendo la medesima trarre dal suo eventuale accoglimento utilità giuridica alcuna (Cass. 23 maggio 2008, n. 13373; Cass. 11 dicembre 2020, n. 28307);
3.4. detta inammissibilità, per difetto d’interesse all’impugnazione, non dichiarata dal giudice d’appello, ma rilevata in sede di legittimità, comporta la cassazione della sentenza di secondo grado senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, ultimo comma c.p.c., trattandosi di ipotesi in cui il processo non poteva essere proseguito (Cass. 24 gennaio 2007, n. 1505; Cass. 18 gennaio 2018, n. 1175; Cass. 6 agosto 2021, n. 22434);
4. la ricorrente ha quindi dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, quale il superamento del limite di contingentamento stabilito per i rapporti a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato allo scadere del termine di 24 mesi previsto dal contratto aziendale del 2 maggio 2006, oggetto di discussione tra le parti, come documentato dalla trascrizione dei loro scritti difensivi in primo grado (secondo motivo); la falsa applicazione dell’accordo sindacale di avvio dell’ipermercato di Benevento 13 luglio 2006 e la violazione dell’art. 7.16 del contratto integrativo aziendale del 2 maggio 2006, per la limitazione del primo alla giustificazione della causale “apertura di nuove unità produttive”, senza alcuna previsione sul superamento del limite di contingentamento, diversamente dal secondo, nei limiti illustrati (terzo motivo);
5. essi sono entrambi assorbiti;
6. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere accolto, con la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, a norma dell’art. 382, ultimo comma, ultima parte c.p.c., non potendo il processo essere proseguito in grado d’appello (Cass. 14 ottobre 2015, n. 20672; Cass. 12 aprile 2019, n 10322) e pertanto definito dalla sentenza del Tribunale.
Sicché, le spese del giudizio d’appello e dell’odierno di legittimità devono essere liquidate, come in dispositivo, da questa Corte secondo il regime di soccombenza, in favore della lavoratrice, con distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata senza rinvio, non potendo il processo essere proseguito in grado d’appello.
Condanna la società alla rifusione, in favore della lavoratrice, delle spese del giudizio, che liquida:
per il grado d’appello, in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.500,00 per compensi professionali; per il giudizio di legittimità, in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.500,00 per compensi professionali, con distrazione in favore del difensore antistatario; tutto oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.
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