CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 32683 depositata il 24 novembre 2023
Differenze retributive – Ferie godute – Tredicesima – Permessi retribuiti – Maggiorazioni per lavoro notturno – Indennità di sede disagiata – Retribuzione globale di fatto – Rigetto
Rilevato che
1. T. s.p.a. propose opposizione avverso il decreto n. 886 del 2017 con il quale M. M. le aveva ingiunto il pagamento della somma di € 6.017,93 per differenze retributive maturate dal 2009 al 2014 in relazione alla retribuzione dovuta per ferie godute, tredicesima e permessi retribuiti.
2. Il Tribunale di Cagliari, in parziale accoglimento dell’opposizione revocò il decreto ingiuntivo e, respinta l’eccezione di prescrizione sollevata dalla società, ritenne che nella retribuzione globale di fatto da utilizzare ai fini del calcolo della tredicesima e della retribuzione durante le ferie dovessero essere incluse le maggiorazioni per lavoro notturno e l’indennità di sede disagiata trattandosi di compensi aventi natura retributiva. Con riguardo ai permessi retribuiti, invece, rilevò che la retribuzione globale di fatto poteva essere utilizzata nel limite di venti ore annue e nei confronti dei soli lavoratori turnisti e rilevò che il M. non aveva neppure allegato di esserlo. Pertanto, ridusse la somma dovuta ad € 4.366,21.
3. La Corte di appello di Cagliari, investita del gravame principale della società e di quello incidentale del lavoratore, in accoglimento del primo ha ritenuto che l’indennità di sede disagiata – regolata dalla contrattazione collettiva aziendale, accordo del 19.6.2001 reiterato nel 2008 e nel 2011 con solo aumento della sua misura – fosse un rimborso spese forfettario che non era collegato a particolari modalità della prestazione e prescindeva dal livello di inquadramento del lavoratore. Ne ha perciò escluso la natura retributiva e la computabilità nell’ambito della retribuzione globale di fatto di cui all’art. 10 del titolo III e 7 del titolo IV del c.c.n.l. da utilizzare come parametro per il pagamento dei giorni di ferie e della tredicesima.
3.1. Ha poi escluso che il giudicato formatosi in processi con altri lavoratori che ponevano questioni analoghe potesse essere utilizzato come “giudicato esterno”. Pertanto, ha ricalcolato in € 777,29 la somma dovuta al lavoratore, esclusi anche gli importi chiesti a titolo di permessi retribuiti. A tal riguardo ha condiviso l’affermazione del Tribunale che aveva escluso che il M. avesse offerto la prova di essere un lavoratore turnista e pertanto ha ritenuto che la retribuzione da utilizzare per il calcolo del compenso fosse quella base e non, come preteso, quella globale di fatto. Per tale ragione ha rigettato l’appello incidentale del lavoratore.
4. Per la cassazione della sentenza ricorre M. M. che articola quattro motivi. T. s.p.a. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Ritenuto che
1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 c.p.c..
1.1. Il ricorrente, nel rammentare di aver prodotto ben tredici sentenze passate in giudicato della stessa Corte territoriale che su questioni identiche avevano accolto le domande dei lavoratori, ha insistito per l’efficacia riflessa di quei giudicati. Ha rammentato che in quei giudizi si era data una interpretazione delle medesime norme collettive da applicare nel presente procedimento (gli artt. 10 del titolo III e 3 e 7 del titolo IV). In particolare, si era accertato che per la tredicesima, i compensi dovuti nei giorni di ferie e nei giorni festivi lavorati cadenti di domenica e per i permessi retribuiti doveva essere utilizzato quale parametro la retribuzione globale di fatto comprensiva dell’indennità di turno e di sede disagiata che si era accertato essere erogata stabilmente e dunque da computare in quei compensi e nel t.f.r..
1.2. Inoltre, è denunciata la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2729 c.c. poiché la corte di merito avrebbe omesso di tenere conto delle ricordate decisioni che costituiscono un fatto decisivo che ove considerato avrebbe portato ad una diversa soluzione della controversia in senso favorevole al lavoratore.
2. Il motivo non può essere accolto.
2.1. Da un canto va ricordato che il giudicato formatosi in un determinato giudizio può spiegare ” efficacia riflessa” nei confronti di soggetti rimasti estranei al rapporto processuale a condizione che: a) i terzi non siano titolari di un diritto autonomo, scaturente da un distinto rapporto giuridico o costituito su un rapporto diverso da quello dedotto nel primo giudizio; b) i terzi non possano risentire un “pregiudizio giuridico” dalla precedente decisione; c) l’ efficacia riflessa riguardi soltanto l’affermazione di una situazione giuridica che non ammette la possibilità di un diverso accertamento (cfr. Cass. 23/04/2020 n. 8101).
2.2. La regola base è infatti quella che l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato non estende i suoi effetti, né è vincolante, nei confronti dei terzi.
2.3. Per spiegare efficacia riflessa verso soggetti estranei al rapporto processuale, quale affermazione obiettiva di verità, è necessario che il terzo sia titolare di una situazione giuridica dipendente o comunque subordinata – e non è questo il caso – e che, come detto, il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene. In tale evenienza, infatti, non è ammissibile che egli, salvo diversa ed espressa indicazione normativa, possa avvalersene a fondamento della sua pretesa e neppure possa riceverne un pregiudizio (cfr. Cass. 11/06/2019 n. 15599). Deve trattarsi di sentenza che contenga un’affermazione obiettiva di verità che non ammette la possibilità di un diverso accertamento ed essa può avere efficacia riflessa nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al rapporto processuale a condizione che questi sia titolare di un diritto non autonomo, ma dipendente dalla situazione definita in quel processo o, comunque, di un diritto subordinato a questa (cfr. Cass. n. 5411 del 2019). Non è questo il caso dell’interpretazione di clausole di un contratto collettivo o di un accordo aziendale. Diversamente opinando, si finirebbe per ammettere la possibilità per il giudice di interpretare con efficacia erga omnes il contratto collettivo e gli accordi aziendali. È appena il caso di ricordare che a tal fine l’ordinamento ha apprestato uno specifico strumento che è quello dell’accertamento pregiudiziale ex art. 420 bis c.p.c., per quanto riguarda in generale l’interpretazione dei contratti collettivi, cui fa pendant l’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001 per contratti o accordi collettivi nazionali sottoscritti dall’ARAN. Anche in quel caso, peraltro, l’interpretazione del contratto offerta dalla Cassazione adita per saltum dalle parti per contrastare l’interpretazione data dal giudice di primo grado, è certamente vincolante nel giudizio a quo ma reca solo un vincolo procedurale per tutti gli altri casi. Ed infatti, non è preclusa al giudice di primo grado la possibilità di interpretare diversamente le stesse norme collettive in altro procedimento ma questi è però tenuta a provvedere, con sentenza emessa ai sensi dell’art. 420 bis cod. proc. civ., in modo da consentire alle parti il ricorso immediato in cassazione e la verifica, da parte del giudice di legittimità, della correttezza della diversa opzione interpretativa seguita (cfr. Cass. Sez. U, 23/09/2010 n. 20075 e Cass. Sez. Lav. 04/08/2016 n. 16348).
3. Con il secondo motivo di ricorso è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. e la violazione degli artt. 2697, 2721 e 2729 c.c. oltre che degli artt. 416 e 115 c.p.c..
3.1. Ad avviso del ricorrente vi era la prova che l’indennità di sede disagiata era stata erogata in maniera continuativa e periodica. Sostiene poi che del pari era provato che il lavoratore era turnista. Come risultava dalle settanta buste paga prodotte in giudizio nel periodo 1.1.2009-30.4.2014 egli aveva lavorato anche con turni di lavoro notturno e nel fine settimana.
3.2. Sostiene che erroneamente l’indennità era stata di fatto derubricata a mero rimborso spese sebbene fosse computata nella retribuzione lorda mensile e assoggettata a ritenute Irpef e previdenziali e che le circostanze di fatto allegate, quali emergevano dalle buste paga prodotte, non erano state specificatamente contestate in giudizio dalla datrice di lavoro. In applicazione del principio di non contestazione tali fatti dovevano essere ritenuti accertati ed erroneamente, perciò, la Corte di merito aveva invece ritenuto non provato il lavoro prestato per turni così incorrendo nella violazione denunciata.
4. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 9 e 10 del titolo III e 3 e 7 del titolo IV del c.c.n.l. del settore industria metalmeccanica per avere la Corte escluso la natura retributiva dell’indennità di sede disagiata sul rilievo che l’Accordo sindacale del 19.6.2001 questa era aumentata in relazione all’aumento del costo della benzina e quantificata sulla base della distanza chilometrica tra la sede della società e la residenza del lavoratore.
4.1. Sostiene il ricorrente che alla luce di quanto disposto nel c.c.n.l., invece, la retribuzione era comprensiva di “incentivi, indennità varie” (art. 3 titolo IV). Dalla retribuzione globale di fatto parametro per le ferie pertanto dovrebbero essere esclusi i compensi con carattere accidentale rispetto “a prestazioni lavorative svolte in particolari condizioni di luogo, ambiente e tempo” (art. 10 del titolo III) e non l’indennità continuativamente erogata. Per la tredicesima poi si dovrebbe avere riguardo alla retribuzione globale di fatto (art. 7 titolo III) e per le festività si dovrebbe considerare la “normale retribuzione” (art 9 titolo III).
4.2. In tale contesto l’indennità di sede disagiata, presente in tutte le buste paga da gennaio 2009 ad aprile 2014 eccezion fatta per il mese di agosto di ogni anno, e l’indennità di turno, il cui svolgimento era ugualmente attestato nelle stesse buste paga, avrebbero dovuto essere computate nella base di calcolo delle poste retributive.
5. Le censure articolate nei due motivi non possono essere accolte.
5.1. Rileva il Collegio che la sentenza non è incorsa nel vizio di omesso esame del fatto decisivo lamentato poiché ha tenuto conto delle modalità di pagamento dell’indennità ed ha perciò preso in considerazione proprio le buste paga dalle quali emerge l’avvenuto pagamento.
5.2. Neppure è ravvisabile la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. ove si consideri che in cassazione non può porsi una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione ad una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito ma solo ove si alleghi che a base della decisione siano state poste prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o ancora che il giudice del merito abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016 e molte altre successive). Nessuna di queste ipotesi è ravvisabile nel caso in esame e la censura propone piuttosto una diversa e più favorevole ricostruzione dei fatti rispetto a quella pur plausibile formulata dal giudice di merito, non consentita in questa sede.
5.3. Peraltro, la Corte nell’escludere la natura retributiva e assegnarne una risarcitoria all’indennità di sede disagiata ha tenuto conto del fatto che si tratta di compenso forfettizzato per fasce rispetto al quale non è richiesto al lavoratore alcun giustificativo ed ha evidenziato che il compenso assolveva alla funzione di tener indenne il lavoratore, senza aggravi documentali, delle spese connesse al raggiungimento della sede assegnata.
5.4. Né, d’altro canto, può applicarsi il principio di non contestazione posto che esso non opera sulla qualificazione giuridica della fattispecie che appartiene al giudice ma solo sulla sua componente fattuale. È irrilevante, perciò, la non contestazione attinente all’interpretazione della disciplina legale o contrattuale appartenendo al potere-dovere del giudice la cognizione di tale disciplina, mentre rileva quella che ha ad oggetto i fatti da accertare nel processo (v. Cass. 06/08/2019 n. 20998).
5.5. In definitiva la Corte di appello ha correttamente attribuito natura risarcitoria al compenso evidenziando come l’accordo aziendale ancorasse la sua erogazione alla presenza in servizio del lavoratore, alla distanza della sede e lo adeguasse periodicamente in relazione all’aumento del costo del carburante (cfr. Cass. n. 6793 del 2015).
5.6. Si tratta di interpretazione dell’accordo aziendale, riservata al giudice di merito che essendo del tutto plausibile può essere qui censurata solo sotto il profilo dell’errata applicazione dei canoni di interpretazione. Denuncia neppure avanzata.
6. Quanto alla reclamata qualificazione del lavoratore come turnista, la Corte di appello, al pari del giudice di primo grado, ha ritenuto insufficiente l’esistenza di una voce “maggiorazione lavoro notturno” e “lavoro straordinario sabato” (che peraltro in fatto accerta non essere presente nella maggioranza delle buste paga) per ritenere che si trattasse di lavoro effettivamente svolto per turni. A tal proposito la Corte di merito ha escluso che potesse operare il principio di non contestazione evidenziando che al riguardo mancava una specifica allegazione di fatti da contestare.
6.1. Orbene tale specifica affermazione è censurata dicendo che dalle buste paga emergeva la dimostrazione del lavoro per turno ma la Corte di merito ha proprio esaminato le buste paga ed ha escluso che queste fossero sufficienti a dimostrare l’assunto del ricorrente che neppure aveva specificatamente allegato quali fossero le modalità di articolazione del lavoro per turni (quelle che, in ipotesi, avrebbero dovuto essere contestate dalla società convenuta). Con la sua censura il lavoratore, perciò, avrebbe dovuto chiarire come dove e quando tali fatti erano stati specificatamente allegati, e non lo ha fatto. Peraltro, la Corte di merito non si è sottratta all’obbligo di chiarire, nella sua prospettiva che riteneva non provato il lavoro per turni, perché la voce lavoro notturno ricorrente nelle buste paga non dimostrasse la partecipazione del lavoratore a turni prestabiliti. Con apprezzamento del fatto allegato a lei riservato, ha evidenziato infatti che si trattava di uno sforamento dell’orario nella fascia notturna e non lavoro per turni non senza sottolineare che il lavoro prestato di sabato era risultato del tutto episodico. Si tratta di valutazione di fatto che non può qui essere rivista.
7. L’ultimo motivo di ricorso – con il quale si deduce la nullità dell’ordinanza dell’11 dicembre 2019 e della seguente sentenza n. 225 del 2020 per non avere la Corte tenuto conto delle sentenze depositate che avevano deciso questioni sovrapponibili ordinando invece di ricalcolare tredicesima e retribuzione per ferie escludendo dalla base retributiva l’indennità di sede disagiata senza citare i documenti depositati in sentenza e trascurando di rispondere alle controeccezioni formulate dal lavoratore su tale scelta – non può essere accolto.
7.1. Come si è già detto in risposta al primo motivo di ricorso la Corte territoriale si è confrontata con la documentazione prodotta dalla difesa del lavoratore ed ha inoltre, correttamente per quanto sopra detto, escluso di essere vincolata dal giudicato formatosi nei giudizi con altri lavoratori. Non si è sottratta all’esame delle decisioni intervenute in altri giudizi di contenuto analogo risolti in primo grado in senso favorevole ai lavoratori (come anche qui è accaduto) e non impugnati dalla società datrice di lavoro. Non è ravvisabile, perciò, alcuna nullità: né dell’ordinanza con la quale è stato chiesto alle parti di formulare conteggi alternativi né della successiva sentenza che li ha fatti propri. La Corte di merito ha motivato il suo convincimento, diverso da quello del giudice di primo grado, non senza aver ricostruito complessivamente quali sono le poste delle quali si deve tener conto nel calcolo dei compensi oggetto del giudizio interpretando le norme collettive nazionale e aziendali applicabili alla fattispecie e tenendo conto della documentazione depositata in atti.
8. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 2.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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