Corte di Cassazione sentenza n. 31302 depositata il 24 ottobre 2022 

sanzioni amministrative – non applicabili per “incertezza normativa oggettiva tributaria”

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Madruzzo emetteva due avvisi di accertamento ICI per le annualità 2006 e 2007 in relazione ad un complesso produttivo immobiliare in categoria D) privo di rendita sino al 29.01.:2011, data in cui veniva effettuato l’accatastamento.

La società Enel produzione, a seguito di intimazione, provvedeva a versare l’imposta comunale oltre gli interessi maturati per le annualità in contestazione, limitando l’impugnazione alle sanzioni irrogate per l’omessa dichiarazione relativa alla valorizzazione dei beni soggetti ad imposta, assumendo la carenza del requisito della colpevolezza e per la ricorrenza delle condizioni di obiettiva incertezza sulla portata applicativa delle varie disposizioni di legge in materia.

La CTP respingeva il ricorso rilevando che le somme versate concernevano solo gli immobili e non anche le infrastrutture e parti tecnologiche che contribuivano invece alla valorizzazione dei beni già assoggettati ad imposta. Proposto appello dalla società contribuente, la Commissione di secondo grado di Trento accoglieva il ricorso, sul presupposto che essa aveva accatastato l’immobile principale ( sito in altro Comune) e che difettava l’elemento della colpevolezza, giacchè pur dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa per la determinazione della rendita catastale degli immobili censiti nel gruppo D) ad uso produttivo, molte questioni inerenti l’accatastamento erano rimaste irrisolte sino all’intervento della Corte Cost. con sentenza n. 162/2008 che ha affermato che l’art. 1 quinqueies d.l. 44/2005 individua come criterio per la determinazione della rendita catastale la circostanza che il bene ( le turbine() anche se amovibili costituiscono una componente strutturale ed essenziale che contribuisce alla fruizione complessiva ed unitaria dell’opificio.

L’ente comunale propone ricorso avverso l’indicata sentenza svolgendo tre motivi di ricorso.

La società Enel replica con controricorso e memorie difensive.                                                                                                               

ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI DIRITTO

2. Con la prima censura si lamenta la violazione dell’art. 1 comma 336 e ss I. 311/2004, ex art. 360, n.3), c.p.c.; per avere la Commissione valutato che la società Enel aveva evaso completamente il tributo nei confronti del Comune di Madruzzo (ex Lasino) e che essa amministrazione alla stregua della normativa rubricata aveva notificato le rendite catastali iscritte in catasto in data 29.11.2011, recuperando le imposte dovute per le annualità 2006 e 2007 ex 1 comma 337 della I. 311/2004.

3. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 1 comma quinques d.l. 44/2005, atteso che nel caso di specie si trattava di provvedere all’autonomo accatastamento di beni immobili siti in un comune diverso da quello ove era ubicata la centrale elettrica.

Ad avviso dell’amministrazione comunale, la società non doveva valutare se trattavasi di impianti e manufatti che concorrevano alla determinazione della rendita del fabbricato adibito alla produzione di energia elettrica, ma solo di individuare detti beni come immobili e accatastarli.

4. La terza censura deduce violazione dell’art. 3 d.lgs 471/97, nonché gli artt. 2 e 5 del d.lgs 504/92 e 8 del d.lgs. 546/92; per avere il decidente escluso la colpevolezza sebbene la società contribuente avesse dovuto, in assenza di accatastamento, provvedere al versamento dell’imposta sulla base delle scritture contabili nonché accertato una obiettiva incertezza della normativa che aveva legittimato il mancato versamento, lamentando nella illustrazione del motivo una incongruenza della motivazione dacchè da una parte il giudicante esclude l’incertezza normativa e al contempo ritiene incolpevole il comportamento della società per avere tentato di superare i dubbi interpretativi con lo stesso servizio catasto.

5. Le prime due censure non superano il vaglio di ammissibilità, in quanto non impingono la ratio decidendi della decisione dei giudici territoriali.

Dalla sentenza di primo grado e dalle difese svolte da entrambi le parti risulta che le società ricorrenti limitavano il ricorso di primo grado alla illegittimità delle sanzioni applicate, avendo “dato acquiescenza” alla richiesta di pagamento dell’ICI e relativi interessi legali, censura che veniva riproposta in sede di appello.

La CTR per motivare la disapplicazione delle sanzioni ha ritenuto incolpevole l’omessa o infedele dichiarazione da parte delle contribuenti, tenuto conto della normazione in materia e della necessità dell’intervento della Corte costituzionale che ha offerto una interpretazione dei dubbi insorti a seguito dell’emanazione del d .l. 44/2005.

6. La terza censura deve essere disattesa. 

Questo Collegio osserva che la Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 13076 del 24/06/2015; Cass. n. 4394 del 24/2/2014; Cass. n. 3113 del 12/2/2014; Cass. n. 24670 del 28/11/2007) è ripetutamente intervenuta a definire l’ambito di non debenza delle sanzioni enunciando i seguenti principi di diritto: per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie; l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6 che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice e non può essere operato dalla amministrazione; l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria. L’essenza del fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. Tali fatti indice devono  essere accertati, esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili. Costituisce, quindi, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’og9etto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione“.

Ora va considerato che la situazione di obiettiva incertezza in ordine alla fattispecie che occupa – vale a dire computabilità o meno delle turbine e degli altri impianti nel calcolo per la determinazione della rendita catastale delle centrali elettriche ai fini lei -, emerge dal fatto che per superare detta incertezza normativa, oggetto di pronunce dissonanti della giurisprudenza anche di legittimità (v. Cass. n. 26064/2006, in motivazione, punto 6.3; Cass. n.22691/2009), è stata introdotta la norma cli interpretazione autentica dell’art.4 r.d.l.n.652/39, con d.l. 31 marzo 2005, n. 44, art. 1 quinquies, convertito in L. 31 maggio 2005, n. 88 (la quale ha disposto che “Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell’articolo 10 del citato regio decreto-legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo. I trasferimenti erariali agli enti locali interessati sono conseguentemente rideterminati per tutti gli anni di riferimento”.

La norma individua, dunque, nuovi criteri per la determinazione della rendita catastale prescrivendo che debbano essere considerati non solo i fabbricati censiti in catasto con la categoria D ma anche gli impianti mobili ad essi connessi e necessari per la produzione di energia elettrica.

L’art. 1 quinquies cit. è stato causa di una obiettiva incertezza circa la concreta individuazione dei manufatti che avrebbero dovuto essere considerati al fine di incrementare il valore dell’impianto e circa il valore da attribuire agli stessi, tenuto conto della vetustà e dell’obsolescenza. In proposito il Collegio condivide le motivazioni già espresse da questa Corte in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella oggetto del presente scrutinio tra le medesime parti e riferita ad altra annualità ICI (Cass. n. 10126 del 2019; n. 17035 del 2021; n.11462/22).

Con tali pronunce si è riconosciuta la sussistenza di una incertezza normativa oggettiva derivante dalla indeterminatezza relativa alla individuazione dei beni da assoggettare ad ICI anche dopo l’entrata in vigore della menzionata normativa, tenuto conto che, con la Circolare dell’agenzia del territorio n. 6/T del 30.11.2012, l’Amministrazione finanziaria aveva risolto i dubbi interpretativi solo successivamente all’entrata in vigore dell’art. 1 quinques cit..

Riscontrata un’ipotesi di incertezza oggettiva  quanto all’individuazione e ai criteri di determinazione della rendita ai fini ICI ai beni come quelli in esame, nella fattispecie oggetto del presente scrutinio assume, poi, rilievo la condotta tenuta dalla contribuente risultando incontestato che essa aveva dato avvio per l’impianto principale alla procedura DOCFA e successivamente promosso iniziative con il Servizio Catasto per individuare i criteri e le modalità di dichiarazione e di classamento degli altri impianti alla luce dell’art. 1 quinquies cit.; iniziative che si erano concluse con l’accordo stipulato il 18.5.2011 tra il predetto Servizio Catasto e la società avente causa della contribuente. Tali elementi, unitamente valutati, fanno emergere, da un lato, l’assenza di qualsivoglia condotta elusiva da parte della contribuente e,,dall’altro, l’esistenza nella fattispecie in esame di una incertezza oggettiva della norma impositiva circostanze che, unitamente valutate, rilevano ai fini di mandare esente da ogni responsabilità sanzionatoria la contribuente. Questa, infatti, non poteva assolvere all’obbligo del pagamento dell’ICI secondo il valore dell’attribuzione della nuova rendita catastale determinata dal Servizio Catasto della Provincia Autonoma di Trento il 2.12.2011; determinazione avvenuta alla luce dell’art. 1 – quinquies cit. la cui portata, per come sopra evidenziato, è stata oggetto di dubbi interpretativi risolti dall’Amministrazione finanziaria solo il 30.11.2012.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese del giudizio di merito e di legittimità possono essere compensate tra le parti in ragione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia.

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso; Spese compensate del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.