CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 36321 depositata il 13 dicembre 2022
Lavoro – Omissione contributiva – Rendita vitalizia – Perdita parziale della prestazione previdenziale pensionistica – Danno futuro da irregolarità contributiva del datore di lavoro – Azione risarcitoria ex art. 2116, secondo comma, c.c. – Domanda di mero accertamento dell’omissione contributiva – Risarcimento del danno – Prescrizione – Rigetto
Fatti di causa
1. Con ricorso depositato l’11.4.2016, D.C. conveniva innanzi al Tribunale di Roma la N. per sentir accogliere le seguenti conclusioni: – “1. Accertare e dichiarare, in relazione a quanto dedotto in narrativa e documentato in atti, la responsabilità di parte convenuta per l’omissione contributiva relativa al periodo 18.1.2000-31.1.2006, rispetto alla quale è maturata la prescrizione nei confronti dell’INPS; 2. Accertare e dichiarare la potenzialità di tale specifica omissione contributiva – anche a fronte del rifiuto opposto ex adverso alla costituzione della rendita vitalizia nei termini indicati in narrativa – a provocare il pregiudizio alla posizione contributiva dei ricorrente, consistente nella perdita parziale della prestazione previdenziale pensionistica. Con riserva di agire ex art. 2116 II c.c. – all’atto del raggiungimento dell’età pensionabile – per il conseguimento dell’effettivo danno patito, accertabile e quantificabile solo a quella specifica data; … dichiarare – anche in termini di accertamento negativo dell’obbligo in capo a parte ricorrente – la infondatezza della pretesa avanzata ex adverso a mezzo note dell’11.4.2012 e dell’11.6.2012 quanto al riconoscimento, a titolo di pretesa rivalsa, della somma di euro 142.021,37 a titolo di quota parte dei contributi omessi nei confronti dell’INPS e tardivamente regolarizzati. … “.
2. Costituitasi la N., il Tribunale originariamente adito, con ordinanza pronunciata in data 13.10.2016, declinava la propria competenza per territorio ed assegnava il termine per la riassunzione della causa davanti al Tribunale di Milano, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di N..
3. Riassunto il giudizio dinanzi al Tribunale milanese e ivi ricostituitasi la società convenuta, detto giudice, con sentenza resa il 16.3.2017, rigettava la domanda di accertamento del danno futuro da irregolarità contributiva del datore di lavoro, sul rilievo della sottoscrizione di un accordo transattivo/novativo di cessazione del rapporto di lavoro in sede sindacale, contenente la rinuncia del prestatore di lavoro ad ogni pretesa risarcitoria anche ai sensi dell’art. 2116 co. 2 c.c.; il Tribunale di Milano rigettava, altresì, la domanda riconvenzionale formulata dalla società resistente di condanna del ricorrente al pagamento dell’importo di € 142.000,00, quale quota a carico del lavoratore per i contributi omessi ed addebitati da INPS alla stessa società per la parte degli stessi non estinti per la prescrizione, compensando parzialmente le spese di lite.
4. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano, in accoglimento dei settimo motivo d’appello del D., e in parziale riforma della decisione di primo grado, accertava l’inadempimento contributivo di N.I. P.L.C. I.B. e dichiarava il potenziale pregiudizio alla posizione contributiva del ricorrente; confermava nel resto le statuizioni di merito, e condannava N. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
5. In tal senso, quella Corte riteneva che: “Trattandosi del futuro diritto ad ottenere il trattamento pensionistico, l’appellante correttamente ha contestato la validità della transazione intercorsa con la società appellata di rinuncia ad ogni futura azione risarcitoria per l’omesso versamento contributivo, nel caso in cui si manifesterà l’effettiva sussistenza di un pregiudizio”. Dopo aver richiamato taluni precedenti di legittimità, detta Corte di merito reputava “evidente che la rinuncia invocata dalla parte appellata è contenuta nell’accordo di transazione del 3.8.2010, al fine dì escludere ogni futura azione risarcitoria a tutela del pregiudizio che potrà manifestarsi in capo all’appellante ai sensi dell’art. 2116 co. 2 c.c., non può trovare validità nell’ipotesi in cui l’appellante vedrà il suo assegno di pensione pregiudicato e non congruo a quanto sarebbe risultato dovuto ove non vi fosse stato l’omesso integrale versamento contributivo dell’appellata. Si tratta evidentemente di un diritto che vedrà la sua maturazione ed il suo concreto eventuale pregiudizio solo al raggiungimento del diritto alla quiescenza dell’appellante, sicché va accolta la domanda di accertamento della responsabilità per l’omissione dell’integrale versamento dei contributi dovuti sul rapporto di lavoro ed il potenziale futuro pregiudizio alla posizione contributiva e pensionistica dell’appellante”.
6. Avverso tale decisione la N. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico articolato motivo.
7. Ha resistito l’intimato con controricorso.
8. Entrambe le parti hanno prodotto memorie.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico articolato motivo, la ricorrente denuncia: “Violazione, falsa ed erronea applicazione e/o interpretazione dell’art. 2116 co. 2 c.c., nonché degli artt. 1966, 2113 e 2115 c.c. (in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.)”.
2. In particolare, individuati i tre capi della sentenza d’appello qui impugnati (cfr. pagg. 17-18 del ricorso), sostiene che un primo profilo di erroneità di tali capi consiste nell’ “errata individuazione dell’oggetto della rinuncia formulata dal Dott. D. ex art. 2116 co. 2 c.c. nel diritto al corretto versamento dei contributi (“obbligazione contributiva”) in luogo del diritto al risarcimento del danno da omessa contribuzione (“danno da inadempimento”);
conseguente violazione e/o falsa o errata applicazione degli artt. 1418, 1966, 2113 e 2115 c.c.” (cfr. pagg. 18-24 del ricorso). Un secondo profilo di erroneità degli stessi capi, secondo la ricorrente, consiste nell’ “errata qualificazione del diritto ex art. 2116 co. 2 come “futuro” a fronte dell’omessa considerazione dell’attualità nell’ “an” di detto diritto; conseguente violazione e/o falsa o errata applicazione degli artt. 1966, 2113 e 2115 c.c.”.
3. Ritiene la Corte che tale censura sia priva di fondamento.
4. Secondo un consolidato e ormai risalente orientamento di questa Corte, l’omissione della contribuzione produce un duplice pregiudizio patrimoniale a carico del prestatore di lavoro, consistente, da un lato, dalla perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale pensionistica, che si verifica al momento in cui il lavoratore raggiunge l’età pensionabile, e, dall’altro, dalla necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione, attraverso una previdenza sostitutiva, eventualmente pagando quanto occorre a costituire la rendita di cui all’art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338. Ne consegue che le situazioni giuridiche soggettive di cui può essere titolare il lavoratore, nei confronti del datore di lavoro, consistono, una volta raggiunta l’età pensionabile, nella perdita totale o parziale della pensione che dà luogo al danno risarcibile ex art. 2116 cod. civ., mentre, prima del raggiungimento dell’età pensionabile e del compimento della prescrizione del diritto ai contributi, nel danno da irregolarità contributiva, a fronte del quale il lavoratore può esperire un’azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art. 2116 cod. civ., ovvero di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso (così Cass. civ., sez. lav., 22.1.2015, n. 1179; e in termini esatti o analoghi id., sez. lav., 7.12.2005, n. 26990).
La giurisprudenza di legittimità aveva posto in luce che la responsabilità del datore di lavoro per danni subiti dal lavoratore a causa di mancata o irregolare contribuzione rappresenta un’ipotesi di responsabilità contrattuale, derivante dalla violazione di una specifica ed indisponibile obbligazione imposta dalla legge, ed aveva ritenuto conseguente da ciò che il termine di prescrizione della relativa azione risarcitoria è quello decennale di cui all’art. 2946 c.c., il cui dies a quo può variare a seconda dell’interesse che si intende tutelare con la proposizione della domanda di risarcimento, posto che l’interesse ad agire del lavoratore sorge ancor prima del verificarsi degli eventi condizionanti l’erogazione delle prestazioni previdenziali, eventualmente avvalendosi dell’azione di condanna generica al risarcimento. Tuttavia, allorquando l’azione sia diretta all’ottenimento del risarcimento del danno per l’avvenuta perdita della pensione (come nella specie, conseguibile presso la gestione INPS mediante il trasferimento dei contributi, ove versati tempestivamente dal Comune), il termine di prescrizione decorre dal momento in cui il lavoratore, raggiunta l’età pensionabile e concorrendo ogni altro requisito, perde il relativo diritto (o lo vede ridotto) a causa dell’omissione contributiva (così Cass. civ., sez. lav., 15.6.2007, n. 13997).
E’ costante, infatti, nei precedenti di questa Corte l’affermazione del principio, secondo cui, nel caso di omissione contributiva, sussiste l’interesse del lavoratore ad agire per il risarcimento del danno ancor prima del verificarsi degli eventi condizionanti l’erogazione delle prestazioni previdenziali, avvalendosi della domanda di condanna generica, ammissibile anche nel rito del lavoro, per accertare la potenzialità dell’omissione contributiva a provocare danno, salva poi la facoltà di esperire, al momento del prodursi dell’evento dannoso (coincidente, in caso di omesso versamento dei contributi previdenziali, con il raggiungimento dell’età pensionabile), l’azione risarcitoria ex art. 2116, secondo comma, cod. civ., oppure quella diversa, in forma specifica, ex art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 5.2.2014, n. 2630; e in termini esatti o analoghi id., sez. lav., 3.12.2004, n. 22751; id., sez. lav., 20.3.2001, n. 3963; id., sez. lav., 2.11.1998, n. 10945; id., sez. lav., 26.5.1995, n. 5825; id., sez. lav., 26.10.1982, n. 5612; id., sez. lav., 2.4.1982, n. 2048; id., sez. lav., 24.1.1981, n. 551; id., sez. lav., 9.7.1979, n. 3933; precisandosi che tale tutela è esperibile anche nel corso del rapporto: cfr. id., sez. lav., 19.10.1988, n. 5677; Id., sez. lav., 6.11.1986, n. 6517; id., sez. lav., 8.1.1983, n. 145; id., sez. lav., 3.4.1979, n. 1926; id., sez. lav., 9.1.1979, n. 144).
Circa l’azione prevista dalla cit. legge speciale, le Sezioni Unite di questa Corte avevano insegnato che il diritto del lavoratore alla costituzione, a spese del datore di lavoro, la rendita vitalizia di cui all’art. 13, della l. n. 1338 del 1962, per effetto del mancato versamento da parte di quest’ultimo dei contributi previdenziali, è soggetto al termine ordinario di prescrizione, decorrente dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’INPS, senza che rilevi la conoscenza o meno, da parte del lavoratore, della omissione contributiva (così Cass. civ., sez. un., 14.9.2017, n. 21302; ribadendo peraltro, in motivazione, che, nel caso di omessa contribuzione previdenziale da parte del datore di lavoro e di prescrizione del corrispondente diritto di credito spettante all’ente assicuratore, il prestatore di lavoro subisce un danno immediato, diverso dalla perdita futura e incerta della pensione di anzianità o di vecchiaia, consistente nella necessità di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione. La prescrizione del diritto al risarcimento di questo danno decorre dal momento di maturazione della prescrizione del diritto ai contributi, spettante all’ente assicuratore, come aveva deciso in precedenza Cass. civ., sez. lav., 3.7.2004, n. 12213; in termini circa il principio di cui alla massima id., sez. lav., 20.1.2016, n. 983).
5. Occorre adesso sottolineare che, secondo questa Corte, il disposto dell’art. 2115, comma terzo, c.c. – che stabilisce la nullità di qualsiasi patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza – non è applicabile qualora le parti abbiano inteso transigere non già su eventuali obblighi del datore di lavoro di corrispondere all’Inps i contributi assicurativi, bensì sul danno subito dal lavoratore per l’irregolare versamento dei contributi stessi (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 7.8.2004, n. 15308; e in termini esatti o analoghi id., sez. lav., 5.12.1985, n. 6111; id., sez. lav., 19.1.1985, n. 163 id., sez. lav., 21.11.1984, n. 5977; id., sez. lav., 13.2.1981, n. 885).
Inoltre, Cass. n. 3963/2001, già cit., aveva specificato che anche il diritto azionabile in chiave di domanda di condanna generica è acquisito dal lavoratore a seguito ed in conseguenza dell’inadempimento del datore di lavoro ed è suscettibile di formare oggetto di accordo transattivo alla stregua degli altri diritti maturati a favore del lavoratore in relazione all’avvenuto svolgimento del rapporto di lavoro.
Non si pone, peraltro, in contrasto con detto orientamento Cass. civ., sez. lav., 25.10.2004, n. 20686, che, come emerge dalla sua motivazione, atteneva a fattispecie in cui, al momento della transazione intervenuta tra le parti del rapporto lavorativo in seno ad un verbale di conciliazione, il danno in questione non si era ancora verificato in quanto alla data della stessa i contributi potevano ancora essere versati, non essendo coperti da prescrizione, né il lavoratore aveva maturato il diritto a pensione, “sicché non essendovi un danno da risarcire, non sussisteva un diritto al risarcimento del danno dello stesso cui poter rinunciare”.
Più di recente, questa Sezione ha statuito che, in tema di omissioni contributive, l’azione attribuita al lavoratore dall’art. 2116 c.c. per il conseguimento del risarcimento del danno patrimoniale – consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante – presuppone che siano maturati i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale e postula l’intervenuta prescrizione del credito contributivo; ne consegue che prima del perfezionamento dell’età pensionabile, in presenza di diritti non ancora entrati nel patrimonio del creditore, sussiste l’impossibilità di disporre validamente della posizione giuridica soggettiva inerente al diritto al risarcimento del danno pensionistico (così Cass., sez. lav., 8.6.2021, n. 15947, che ha cassato la decisione che aveva ritenuto che il diritto al risarcimento del danno pensionistico potesse essere oggetto di una transazione intervenuta prima del raggiungimento dell’età pensionabile da parte del dipendente).
E tale ultima decisione, come Cass. n. 20686/2004 sopra cit., infatti richiamata nella sua motivazione, pure afferiva a caso in cui, al momento dell’intervenuta transazione, non solo il lavoratore non aveva ancora maturato il diritto al godimento della pensione, ma i contributi potevano ancora essere versati, non essendo coperti da prescrizione rispetto all’istituto previdenziale.
6. Tornando, allora, alla fattispecie che qui ci occupa, appare opportuno precisare che, come risulta dalla narrativa esposta supra, l’azione intrapresa dal D. era impostata in termini, più che di domanda di condanna generica al risarcimento del danno conseguente all’omissione contributiva, di domanda di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso, secondo un’alternativa prospettiva di tutela, come si è visto, attestata anche dalla giurisprudenza di legittimità.
Del resto, la sentenza d’appello qui impugnata aveva appunto accolto in tale chiave le pretese attoree perché aveva accertato “l’inadempimento contributivo di N.I. Plc I.B.” ed aveva dichiarato “il potenziale pregiudizio alla posizione contributiva del signor D.C.”.
7. Inoltre tale domanda faceva valere “la responsabilità di parte convenuta per l’omissione contributiva relativa al periodo 18.1.2000 – 31.1.2006, rispetto alla quale è maturata la prescrizione nei confronti dell’INPS”.
D’altronde, è pacifico tra le parti, e non è stato posto in discussione dai giudici di merito (cfr. pag. 8 della sentenza della Corte d’appello), il dato che il diritto dell’ente previdenziale a riceversi i contributi afferenti il suo specificato periodo era ormai estinto per prescrizione.
8. Ciò premesso, dai passi di motivazione in precedenza riportati si trae chiaramente che il giudice di secondo grado ha ritenuto che detta rinuncia fosse invalida perché afferente (tra l’altro) ad un diritto non ancora attuale, non acquisito al patrimonio del soggetto rinunciante, e quindi futuro, perché “solo al raggiungimento del diritto alla quiescenza dell’appellante” all’epoca, sarebbe maturato il diritto al risarcimento del danno derivato dall’eventuale pregiudizio dipendente dall’omesso integrale versamento contributivo.
9. In ogni caso, per chiarezza, va ricordato che, nell’atto di transazione del 26.4.2010, poi ribadito senza modifiche nel verbale di conciliazione del 3.8.2010, il D., per quanto qui interessa, aveva rinunciato “espressamente nei confronti della Società e di ogni altra società del gruppo N., nonché nei confronti del precedente datore di lavoro L.B.I. (Europe) I.B. e delle società del gruppo L. (…) a qualsiasi pretesa dedotta e/o deducibile che possa trovare origine e/o fondamento nell’intercorrente rapporto di lavoro e nella sua cessazione, a qualsiasi titolo legale e/o contrattuale e/o risarcitorio, e così in via esemplificativa a (…) danni di qualsivoglia natura, anche ex artt. 2043, 2059, 2087, 2103 e 2116, 2° comma c.c.”.
Tale ampia rinuncia, quindi, copriva (anche) l’intera area dei rimedi azionabili dal lavoratore ai sensi dell’art. 2116, comma secondo, c.c.
E tanto aveva inteso porre in luce la Corte territoriale quando aveva scritto che essa rinuncia era volta “ad escludere ogni futura azione risarcitoria a tutela del pregiudizio che potrà manifestarsi in capo all’appellante ai sensi dell’art. 2116 co. 2 C.C.”.
10. Ebbene, anzitutto il primo profilo di erroneità della sentenza impugnata intravisto dalla ricorrente, ossia, quello relativo alla pretesa erroneità dell’individuazione dell’oggetto della rinuncia formulata dall’attuale controricorrente, esibisce degli evidenti risvolti d’inammissibilità, involgendo l’interpretazione di un atto di natura negoziale, senza che la ricorrente abbia fatto neppure dedotto la violazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c.
11. In ogni caso, già il passo motivazionale sopra riportato smentisce l’assunto dell’impugnante secondo il quale la Corte distrettuale avrebbe erroneamente individuato l’oggetto della rinuncia operata in sede transattiva dal D. nel “diritto al corretto versamento dei contributi”.
12. Come pure premesso in narrativa, la stessa Corte ha poi ritenuto che tale rinuncia non poteva “trovare validità nell’ipotesi in cui l’appellante vedrà il suo assegno di pensione pregiudicato e non congruo a quanto sarebbe risultato dovuto ove non vi fosse stato l’omesso integrale versamento contributivo dell’appellata”.
E tale conclusione deve ritenersi giuridicamente corretta.
13. In particolare, è vero che al momento, nell’anno 2010, della raggiunta conciliazione contenente la rinuncia di cui s’è detto, erano già coperti da prescrizione rispetto all’INPS i contributi relativi al periodo 18.1.2.2000/31.1.2006, sicché al più tardi da quest’ultima data, il prestatore di lavoro, come affermato da principi sanciti anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, aveva iniziato a subire un danno immediato, diverso dalla perdita futura e incerta della pensione di anzianità o di vecchiaia, e consistente nella necessità di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione. E sempre al più tardi dal 31.1.2006, poteva prendere a correre la prescrizione del diritto al risarcimento di questo specifico danno, perché, a sua volta, collegato al momento di maturazione della prescrizione del diritto ai contributi, spettante all’ente assicuratore.
14. E’ altresì vero che, in teoria, come quello specifico diritto, non futuro, ma attuale, era già soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione, così era disponibile e poteva formare oggetto di transazioni e/o rinunce nelle debite forme. Non si darebbe il caso, quindi, da questo precipuo punto di vista, di un diritto non ancora nato, e perciò non soggetto a prescrizione (perché actio nondum nata non prescribitur) e non rinunciabile, perché la rinuncia sarebbe (non contraria all’art. 2113 c.c., bensì) priva di un oggetto (esistente), vale a dire, il diritto cui rinunciare.
15. Tuttavia, la Corte territoriale ha condivisibilmente accertato e concluso che l’ampia rinuncia in questione, certamente non specificamente riferita solo al diritto risarcitorio già in ipotesi attuale, copriva invece “ogni futura azione risarcitoria” esercitabile ex art. 2116, comma 2, c.c., ossia, il comma esplicitamente menzionato nel testo recante la rinuncia stessa.
Sicché, nella specie tale onnicomprensiva dismissione di ogni diritto risarcitorio non poteva reputarsi valida nella sua totalità, attingendo anche l’ulteriore “diritto al risarcimento del danno pensionistico, che non si perfeziona se non con il maturare dei requisiti per l’accesso ai trattamenti previdenziali, vertendosi, precedentemente, nell’ambito di diritti non ancora entrati nel patrimonio del creditore” (così nella motivazione la già cit. Cass. n. 15947/2021).
La Corte milanese, infatti, aveva correttamente ritenuto che detto diritto “vedrà la sua maturazione ed il suo concreto eventuale pregiudizio solo al raggiungimento del diritto alla quiescenza dell’appellante”.
16. Esclusivamente per completezza di disamina, mette conto aggiungere che non vengono affatto in considerazione nella specie gli artt. 1966, 2113 e 2115 c.c., dei quali pure la ricorrente assume la violazione o la falsa applicazione in termini invero non meglio specificati.
Quanto, poi, all’art. 1418 c.c., tale ultima norma non è stata violata dalla Corte territoriale perché l’invalidità della rinuncia in questione, ritenuta dalla stessa, e per quanto sopra considerato, va appunto inquadrata in una nullità per l’impossibilità dell’oggetto di tale rinuncia, siccome relativa (anche) ad un diritto neppure entrato nel patrimonio del disponente.
17. Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, il ricorso dev’essere respinto.
18. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, e I.V.A. e C.A.P. per come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.