CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 36345 29 dicembre 2023
Lavoro – Retribuzione durante le ferie – Elementi intrinsecamente connessi all’espletamento delle mansioni che incombono sul lavoratore in forza del suo contratto di lavoro e collegati allo status personale e professionale – Incentivo per attività di condotta e l’indennità di riserva – Rigetto
Rilevato che
1.- F.I. e gli altri indicati in epigrafe, dipendenti di T. srl con mansioni di macchinista, esponevano di percepire la retribuzione durante le ferie inferiore a quella loro spettante, poiché nella relativa base di calcolo la società datrice di lavoro non computava le voci:
– “incentivo per attività di condotta” (art. 54 del contratto collettivo aziendale),
– “indennità di riserva” (art. 54 del contratto collettivo aziendale),
– “indennità di assenza dalla residenza” (art. 77, punto 2, ccnl mobilità e attività ferroviarie).
Pertanto adìvano il Tribunale di Milano per ottenere la declaratoria di nullità dell’art. 31, co. 6, ccnl e dell’art. 20, co. 3, contratto collettivo aziendale, nella parte in cui non includevano nella retribuzione spettante durante le ferie, le predette voci, nonché la declaratoria di nullità del punto 2.1 dell’accordo sindacale del 23/07/2019 nella parte in cui non includeva integralmente nella retribuzione spettante durante le ferie, le predette voci, la conseguente condanna della società al pagamento delle differenze retributive.
2.- Il Tribunale, rigettata l’eccezione di prescrizione in considerazione del nuovo regime di tutela avverso il licenziamento illegittimo introdotto dalla legge n. 92/2012, accoglieva le domande.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello rigettava il gravame interposto dalla società.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) il quadro normativo e la sua interpretazione sono già chiari alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 13425/2019;
b) è altresì importante la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 15/09/2011, n. 155/10 (c.d. sentenza W.), che ha chiaramente espresso il principio di diritto nell’interpretare l’art. 7 della direttiva n. 2003/88 sulle ferie, nel senso per cui nella retribuzione spettante durante il periodo di ferie vanno inclusi tutti gli elementi intrinsecamente connessi all’espletamento delle mansioni che incombono sul lavoratore in forza del suo contratto di lavoro e che sono compensati tramite somme di danaro, nonché tutti quegli elementi collegati allo status personale e professionale;
c) solo nel rispetto di questi principi può essere evitato l’effetto disincentivante dalla fruizione delle ferie;
d) anche le voci oggetto di causa devono essere ricomprese nella base di calcolo della retribuzione spettante durante le ferie, poiché, contrariamente all’assunto della società appellante, non compensano un disagio connesso alla prestazione lavorativa svolta in concreto, ma sono legate al particolare status del lavoratore macchinista; ne consegue l’irrilevanza delle prove richieste sul punto “al fine di verificare se tali voci possano considerarsi intrinsecamente legate alla prestazione lavorativa del macchinista”.
4.- Avverso tale sentenza T. srl ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- F.I. e gli altri indicati in epigrafe hanno resistito con controricorso.
6.- Tutte le parti hanno depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
Considerato che
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione art. 7 Dir. 2003/88 CE, dell’art. 10 d. lgs. 66/2003, dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2109 c.c., in relazione alla disciplina da applicarsi in tema di “ferie retribuite”.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. a ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2109 c.c. in relazione alla definizione ed al concetto di ferie retribuite come sancito dalla giurisprudenza della S.C (che ne rimette la determinazione alla contrattazione collettiva); conseguente violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20.3 del CCA T..
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 Dir. 2003/88/CE in relazione all’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del concetto di “ferie retribuite”.
In conclusione, ad avviso della ricorrente la sentenza d’appello sarebbe errata per aver ritenuto contraddittoriamente che la retribuzione durante il periodo di ferie deve coincidere con quella di fatto percepita nel periodo di riferimento senza tener conto del fatto che l’effettiva incidenza delle voci rivendicate era del tutto irrisoria e che tutti i ricorrenti avevano pacificamente beneficiato delle ferie. In subordine, poi, chiede a questa Corte di sottoporre con rinvio pregiudiziale la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea perché questa possa chiarire, attraverso l’interpretazione autentica, la ratio e il contenuto nella nozione europea di retribuzione dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie fissata dall’articolo 7 della direttiva 88/2003.
2.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione dell’art. 2948 c.c. in relazione all’art. 18 l. 300/1970, per aver considerato sospesa la prescrizione quinquennale dei crediti retributivi per tutta la durata del rapporto di lavoro.
3.- Il ricorso è infondato in relazione a tutti i motivi.
4.- I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, attesa la loro connessione.
Come questa Corte ha già affermato (Cass. ord. n. 19663/2023), la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, sin dalla sentenza R.S. del 2006, ha precisato che con l’espressione «ferie annuali retribuite» contenuta nell’art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88/2003 si fa riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, «deve essere mantenuta» la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria (nello stesso senso CGUE 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C- 520/06, S. e altri). Ciò che si è inteso assicurare è una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione (cfr. C.G.U.E. W. e altri, C-155/10 del 13 dicembre 2018 ed anche la causa T.H. del 13/12/2018, C-385/17).
Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. del 13/01/2022 nella causa C-514/20).
In applicazione di tali principi, questa Corte in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch’essa con il d.lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass.17/05/2019 n. 13425).
Anche con riguardo al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l’indennità sostitutiva assolve, si è ritenuto che la retribuzione da utilizzare come parametro debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (Cass. 30/11/2021 n. 37589). Le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale (Cass. n. 20216/2022), sicché non può prescindersi dall’interpretazione data dalla Corte Europea che, quale interprete qualificata del diritto dell’unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Le sue sentenze, pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, hanno perciò “valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” (Cass. n. 13425/2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012).
Dunque, nell’applicare il diritto interno il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell’Unione nell’intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina eurounitaria conformandosi all’art. 288, comma 3, Trattato FUE.
L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici, nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (cfr. CGUE 13/11/1990 causa C-106/89 M. p.8, CGUE 14/07/1994 causa C-91/92 F.D. p.26, CGUE 10/04/1984 causa C-14/83 von C. p. 26, CGUE 28/06/2012 causa C-7/11 C. p. 51 tutte citate da Cass. n. 22577 del 2012 alla cui più estesa motivazione si rinvia), obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella eurounitaria.
A questi principi si è attenuta la Corte di merito che ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita.
Ha allora verificato che durante il periodo di godimento delle ferie al lavoratore non erano erogati dalla società compensi, quali l’incentivo per attività di condotta e l’indennità di riserva che pure erano connessi ad attività ordinariamente previste dal contratto collettivo (ex art. 28 punto 2.1. e punto 2 lett. c del c.c.n.l. mobilità/settore attività ferroviarie). Ha accertato la continuatività della loro erogazione e l’incidenza tutt’altro che residuale sul trattamento economico mensile (circa il 25/30% dello stesso).
Inoltre, ha evidenziato che la tipicità dell’attività di condotta e dell’attività di riserva, propria della mansione di macchinista, deponevano nel senso che la relativa voce retributiva era intesa a compensare anche lo status professionale rivestito.
Questa interpretazione delle clausole collettive aziendali che regolano gli istituti di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale oltre ad essere del tutto plausibile è in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di Lussemburgo ed in sintonia con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, che è innanzi tutto quella di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.
Con riguardo, infine, alla idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, ritiene il Collegio che la sua valutazione in concreto è riservata al giudice di merito che ha plausibilmente dato conto delle ragioni per le quali l’ha ravvisata.
5.- Non sussistono i presupposti per procedere alla sospensione della causa e rinviare alla Corte di Giustizia UE affinché con interpretazione autentica si pronunci sull’interpretazione da dare alla nozione europea di retribuzione durante il periodo di ferie fissata dall’art. 7 della direttiva 88/2003.
Sulla questione la Corte di Giustizia si è più volte pronunciata, anche recentemente con la sentenza del 13 gennaio 2022 nella causa DS c. Koch che si è più sopra richiamata (cfr. CGUE 6 ottobre 1982 srl C. e L.G. spa contro Ministero della Sanità e 6 ottobre 2021 C-561/19 C.I.M.). Inoltre, il problema esegetico posto non rientra nell’ambito della interpretazione dell’art. 7 della Direttiva 2003/88 (o 3 della Direttiva 2000/79).
La valutazione del caso concreto, ossia la verifica se alcune indennità aggiuntive legate al concreto svolgimento di una determinata mansione possano o meno essere escluse dal computo della retribuzione da erogare nei giorni per le ferie annuali, è poi attività riservata comunque al giudice nazionale e non a quello europeo.
6.- Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Questa Corte, proprio affrontando la questione della decorrenza della prescrizione dei crediti maturati nel corso del rapporto di lavoro, ha affermato che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012 e poi dal d.lgs. n. 23/2015, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato è venuto meno uno dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, sicché questo non può dirsi più assistito da un regime di stabilità. Ne consegue che per tutti quei diritti che, come nella specie, non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. 06/09/2022 n. 26246).
7.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto del numero dei controricorrenti e dell’aumento per ogni controricorrente oltre il primo (art. 4, co. 2, D.M. n. 55/2014), con attribuzione al difensore dei controricorrenti, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione all’avv. L.F..
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.