CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 77 depositata il 2 gennaio 2024
Lavoro – Fallimento – Insinuazione allo stato passivo – Prestazione di lavoro straordinario – Principio di non contestazione – Apprezzamento delle dichiarazioni testimoniali – Inammissibilità
Rilevato che
1. con decreto 23 gennaio 2019, il Tribunale di Catania ha rigettato l’opposizione proposta da S.C. allo stato passivo del Fallimento (…) S.G.C. s.p.a., cui era stato solo parzialmente ammesso per il credito insinuato, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751bis n. 1 c.c., per emolumenti retributivi vari ed escluso per ore di lavoro straordinario prestato;
2. esso ha ritenuto prescritti i crediti maturati (da ottobre 2004 a settembre 2010) anteriormente al quinquennio precedente la data di presentazione della domanda di insinuazione allo stato passivo (22 settembre 2015), in assenza di atti interruttivi ed applicandosi il regime di stabilità reale del rapporto di lavoro alle dipendenze della società fallita, non essendo contestato il suo impiego di oltre 15 lavoratori; e non provata la prestazione di lavoro straordinario, sulla base delle dichiarazioni testimoniali assunte, in quanto generiche e non circostanziate;
3. con atto notificato il 22 febbraio 2019, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi; il fallimento, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva;
4. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 2697, 2729 c.c., per non avere il Tribunale applicato il principio di non contestazione – neppure avendo la curatela fallimentare confutato nei propri atti difensivi (comparsa di costituzione e note conclusive) le circostanze relative alla prestazione di lavoro straordinario – né rispettato i principi relativi al regime probatorio e al ragionamento presuntivo, in riferimento all’apprezzamento delle dichiarazioni testimoniali raccolte sulla frequenza e sulla puntuale determinazione delle modalità della suddetta prestazione (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 2697 c.c., per non avere il Tribunale, non applicando il principio di prossimità della prova, tratto argomenti probatori dal mancato adempimento, da parte della curatela, all’ordine di esibizione documentale relativo ai tabulati di rilevazione delle presenze per timbratura elettronica del badge (secondo motivo); nullità del decreto per violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto assenti prove in realtà offerte, con evidente errore di percezione (terzo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
3. in tema di opposizione allo stato passivo, così come ai fini della decisione del giudice delegato della proposta del curatore in sede di progetto di stato passivo, il principio di non contestazione si applica anche al curatore fallimentare, quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, risultando perciò irrilevante la sua posizione di terzietà. Tuttavia, tale principio deve necessariamente coordinarsi con i poteri del giudice delegato quanto al regime delle eccezioni rilevabili d’ufficio, sì che la non contestazione del curatore può non comportare l’automatica ammissione del credito allo stato passivo, attesa la competenza del giudice delegato a sollevare a sua volta, in via officiosa, eccezioni circa l’ammissibilità del credito. Anche in tale prospettiva comunque, la posizione assunta dal curatore, in ordine ai fatti incidenti sull’ammissione del credito allo stato passivo, resta rilevante, poiché non può essere disattesa dal giudice delegato in via astratta e generalizzata, in assenza, cioè, di ulteriori fatti che impongano di formulare eccezioni officiose rispetto agli elementi che risultino già in possesso del curatore, o senza che tali elementi siano specificamente verificati, eventualmente nel contraddittorio delle parti (Cass. 31 maggio 2022, n. 17731; Cass. 24 maggio 2018, n. 12973; Cass. 8 agosto 2017, n. 19734);
3.1. nel caso di specie, il Tribunale ha disposto un’istruttoria orale, da cui ha tratto il convincimento della mancanza di prova del credito, per il carattere generico e non circostanziato delle dichiarazioni testimoniali (al primo capoverso di pg. 3 del decreto): in applicazione del principio dell’onere probatorio rigoroso a carico del lavoratore, che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario, esigente il preliminare adempimento dell’onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice (Cass. 19 giugno 2018, n. 16150). Ed è noto che la valutazione in ordine all’assolvimento dell’onere integri un accertamento di fatto, se congruamente motivato, come qui avvenuto sia pur succintamente, incensurabile in sede di legittimità (Cass. 29 gennaio 2003, n. 1389);
3.2. in particolare, non ricorre violazione: a) dell’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395); b) né dell’art. 115 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; c) né dell’art. 116 medesimo, ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016);
3.3. infine, la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 23 maggio 2014, n. 15511; Cass. 4 luglio 2017, n. 16467).
Ogni critica del convincimento che il giudice si sia formato, in esito all’esame del materiale probatorio e al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, esorbita dal perimetro di sindacabilità in sede di legittimità, in quanto sollecita una rivalutazione dei fatti, preclusa al giudice di legittimità (Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. 1 giugno 2021, n. 15276), non potendo esso riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 13 gennaio 2020, n. 331);
4. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza alcun provvedimento sulle spese, per essere stata vittoriosa la curatela fallimentare, che non ha svolto attività difensiva e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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