CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 111 depositata il 3 gennaio 2024
Tributi – Avviso di accertamento – IRAP – IRES – IVA – Maggior reddito accertato – Metodo induttivo – Delega di firma – Qualifica dell’impiegato sottoscrittore – Non necessaria la motivazione sulle causali della delega – Rigetto
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate notificò a I.P.S. s.r.l. un avviso di accertamento con il quale riprendeva a tassazione, ai fini Irap, Ires e Iva, oltre interessi e sanzioni, il maggior reddito accertato a suo carico con metodo induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma secondo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per l’anno 2009.
La società contribuente impugnò l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ancona, che ne accolse il ricorso sul rilievo della nullità dello stesso per carenza di potere del funzionario sottoscrittore.
2. Il successivo appello, proposto dall’amministrazione finanziaria, fu accolto dalla Commissione tributaria regionale delle Marche.
I giudici regionali, ritenuto ammissibile il gravame, rilevarono l’esistenza, in data precedente alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento, di due ordini di servizio che consentivano al funzionario delegato di firmare gli atti impositivi.
Di tali ordini ritennero la legittima produzione nel giudizio d’appello da parte dell’Ufficio, richiamando, poi, la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la delega alla sottoscrizione di un avviso di accertamento ha natura di “delega di firma” e non di “delega di funzioni”, poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna.
In base a tale consolidato indirizzo, l’atto firmato dal delegato doveva ritenersi imputabile all’organo delegante e, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione della delega di firma poteva avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, che consentiva la successiva verifica di corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa.
Quindi, circa il merito della pretesa erariale, osservarono che dall’accertamento prodromico all’avviso era emerso che la società aveva omesso di tenere le scritture e i registri contabili, nonché di presentare la dichiarazione dei redditi; ciò aveva legittimato il ricorso all’accertamento con metodo cd. induttivo puro, che l’Ufficio aveva poi correttamente condotto utilizzando a parametro i ricavi estrapolati dal bilancio abbreviato depositato dalla contribuente, senza che quest’ultima fosse stata in grado di fornire un’adeguata prova contraria.
3. La sentenza d’appello è stata impugnata da I.P.S. s.r.l. con ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria.
L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.
Il 23 maggio 2023 il Consigliere delegato dal Presidente ha depositato proposta di definizione anticipata della controversia ex art. 360-bis cod. proc. civ., per manifesta infondatezza del primo motivo e inammissibilità, ovvero infondatezza, del secondo.
La proposta è stata opposta dalla contribuente con istanza del 4 luglio 2023.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 42, commi 1 e 3, D.P.R. 600/1973, e dell’art. 17, comma 1 bis, D. Lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3)”.
La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha ritenuto che l’ordine di servizio n. 4/2009, prodotto dall’Ufficio in sede di appello, integrasse i previsti requisiti di legge e legittimasse così il Capo Ufficio Controlli, sottoscrittore dell’atto impugnato, alla firma dell’atto impositivo, sulla base della delega rilasciatagli dal Direttore Provinciale.
La ricorrente osserva, al riguardo, che il nominativo del funzionario non risultava tra quelli indicati nella tabella allegata all’ordine di servizio, con conseguente impossibilità di ritenere assolto l’onere probatorio che gravava sull’Amministrazione a seguito della sua specifica contestazione.
2. Con il secondo motivo, denunziando “omesso esame su un punto decisivo e vizio di motivazione in relazione all’art. 42, commi 1 e 3, D.P.R. 600/1973, ed all’art. 17, comma 1-bis, D.Lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5) c.p.c.”, la ricorrente osserva che la sentenza d’appello non avrebbe tenuto conto “delle risultanze dell’essenziale organigramma definitivo dell’Ufficio”, come evincibile dall’ordine di servizio n. 12/2013 che conteneva tabelle aggiornate rispetto a quelle allegate al precedente.
Assume, inoltre, che la sentenza sarebbe “carente di motivazione sulle causali che hanno determinato la delega alla firma ad impiegato della carriera direttiva”, in violazione dell’evocato art. 17, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, che consente la delega solo in presenza di specifiche e comprovate esigenze di servizio, e finirebbe con il consentire una delega a tempo indeterminato, visto che il rilascio risaliva a quattro anni prima.
3. Il primo motivo è inammissibile.
3.1. Com’è noto, e nei termini riportati dalla stessa ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ha natura di delega di firma e non di funzioni, e può dunque essere attuata anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato in modo da consentirne ex post la verifica di corrispondenza (cfr., fra le numerose altre, Cass. n. 2221/2021; Cass. n. 19190/2019).
Muovendo da tale condivisibile presupposto, la sentenza d’appello ha rilevato che l’ordine di servizio n. 4/2009 e quello, successivo, n. 12/2013, recavano allegate le tabelle con l’identificazione della tipologia dell’atto impositivo, dei funzionari delegati con le rispettive qualifiche e dei limiti monetari entro i quali i medesimi potevano firmare gli atti impositivi; ha, quindi, osservato che il sottoscrittore dell’atto risultava titolare della funzione di “Capo Ufficio controlli” che lo legittimava a sottoscrivere l’atto.
3.2. La ricorrente contesta tale decisione producendo la tabella allegata all’ordine di servizio n. 4/2009, onde evidenziare che nell’elenco dei funzionari ivi riportato non era compreso, fra quelli muniti di qualifica necessaria alla firma, il nominativo del sottoscrittore.
Tale assunto costituisce, anzitutto, la richiesta di un nuovo sindacato su circostanze fattuali esaminate dai giudici d’appello, non consentito in questa sede; in ogni caso, esso non tiene conto delle motivazioni della sentenza impugnata, poiché si fonda unicamente sulle risultanze di uno degli ordini di servizio prodotti dall’Amministrazione, senza svolgere alcuna considerazione sul restante.
4. Anche il secondo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
4.1. La ricorrente, infatti, sembra dolersi più della scelta argomentativa adottata dai giudici d’appello a sostegno della loro decisione che non del mancato esame di una specifica circostanza che, infatti, non viene indicata.
La doglianza prosegue, poi, con la deduzione di “carente motivazione”, ovvero di una forma di censura non più consentita alla luce dell’insegnamento reso da questa Corte a Sezioni Unite (si veda la sentenza n. 8053/2014, ove è affermato che il sindacato di cui all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., deve oggi ritenersi circoscritto al cd. “minimo costituzionale”, limitato ai casi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione).
4.2. In ogni caso, nel suo secondo profilo di censura il motivo è anche infondato, poiché si pone in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la delega di firma non deve necessariamente indicare le cause che ne hanno resa necessaria l’adizione, il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato (Cass. 9298/2021).
5. In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
6. Poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di infondatezza del ricorso, e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatto applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma.
6.1. Quanto alla disciplina intertemporale, per effetto del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 380-bis cit. nel testo riformato, va richiamato l’indirizzo adottato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 27433/2023, secondo la quale detta normativa, in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 d.lgs. n. 149 del 2022, è immediatamente applicabile a seguito dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023; ciò in quanto l’art. 380-bis cit. (che nella parte finale richiama l’art. 96, terzo e quarto comma, cit.) è destinato a trovare applicazione, come espressamente previsto dall’art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 149 del 2022, anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come quello in esame.
6.2. Sulla scorta di quanto esposto, la parte ricorrente va condannata al pagamento di una somma, equitativamente determinata in Euro 1.500,00, in favore della controparte e di una ulteriore somma, pari ad Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende.
7. Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito. Condanna la parte ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di Euro 1.500,00 in favore della controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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