Corte di Cassazione a sezioni unite, sentenza n. 22438 depositata il 24 settembre 2018
processo telematico – notifica a mezzo p.e.c.
FATTI DI CAUSA
1. – Il Consiglio di Stato, con sentenza del 2 marzo 2017, ha accolto l’appello principale proposto da E..S. avverso la sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia n. 345/2016 – che, a sua volta, ne aveva rigettato il ricorso per l’annullamento dell’aggiudicazione in favore di G.-Gruppo Servizi Associati S.p.A. (di seguito anche G.) della gara di affidamento del servizio di vigilanza continuativo antincendio per tre anni per l’Azienda Ospedaliera U.O.R. di Trieste e l’Istituto Burlo-Garofalo – e, respinto l’appello incidentale proposto dalla G., ha annullato l’aggiudicazione, nonché disposto il subentro di E..S.nel contratto di appalto, con limitazione dell’inefficacia del contratto attualmente in essere al solo periodo successivo al subentro.
2. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso G.- Gruppo Servizi Associati S.p.A. sulla base di due motivi, con i quali è dedotta la violazione dei limiti della giurisdizione di legittimità sia in danno dei poteri riservati dalla legge alla P.A., sia in danno del potere legislativo. Hanno resistito con controricorso E..S. e E.-Ente per la Gestione Accentrata dei Servizi Condivisi; quest’ultima ha proposto ricorso incidentale sulla base di tre motivi, con i quali sono dedotte le violazioni già postulate dal ricorrente principale, nonché viene lamentato il diniego della tutela giurisdizionale.
3. – In data 9 luglio G. S.p.A. ha depositato atto di rinuncia al ricorso sottoscritto dal proprio legale rappresentante e dai difensori nominati con procura speciale (e apposito mandato anche a rinunciare), notificato agli avvocati dei controricorrenti E..S.ed E..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Alla rituale rinuncia al ricorso per cassazione da parte G. S.p.A., che non richiede l’accettazione delle controparti per essere produttiva di effetti processuali, segue l’estinzione del giudizio di legittimità introdotto con il medesimo atto di impugnazione.
2. – Il ricorso incidentale di E. deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto non vi è contestazione sulla circostanza, dedotta nell’atto di rinuncia al ricorso principale, che E..S.e G. “hanno definito transattivamente” le rispettive “posizioni … che le vedono contrapposte” (da intendersi, quindi, con diretta incidenza sui rapporti sostanziali inter partes), e la stessa E. “ha manifestato la propria adesione alla transazione”.
3. – La definizione transattiva della lite, nei termini anzidetti, consente di ritenere sussistenti le ragioni di cui all’art. 92 c.p.c. per compensare interamente tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità.
4. – Il Collegio reputa, tuttavia, di doversi soffermare su una questione di particolare importanza che trova origine proprio dalla proposizione del ricorso principale e di utilizzare, così, il potere, che l’art. 363 c.p.c. assegna alla Corte di Cassazione, di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge; ciò che la declaratoria di estinzione conseguente alla rinuncia al ricorso non impedisce (Cass., S.U., 6 settembre 2010, n. 19051).
5. – Si tratta della questione che investe il profilo della procedibilità, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., del ricorso predisposto in originale telematico e così notificato a mezzo posta elettronica certificata (p.e.c.).
5.1. – Il ricorso di G. S.p.A. è stato, infatti, redatto in originale telematico e sottoscritto digitalmente, per essere poi, come tale, notificato a mezzo p.e.c. Ciò risulta non solo dalla copia stampata del messaggio di p.e.c. depositato dalla società ricorrente che indica come gli atti allegati (ricorso, procura e relata di notifica) siano file con estensione “.p7m.” e, dunque, sottoscritti con firma digitale tipo CAdES (cfr. Cass., S.U., 27 aprile 2018, n. 10266), ma, in via dirimente, dalla attestazione di conformità del difensore del controricorrente E. S.p.A. relativa al messaggio di p.e.c. ricevuto e della copia degli atti allegati – tra cui, per l’appunto, il ricorso – tutti “firmati digitalmente”. Del ricorso in originale telematico e sottoscritto digitalmente è stata depositata (nel termine di cui al primo comma dell’art. 369 c.p.c.) copia analogica informe, non sottoscritta con firma autografa dei difensori, insieme alle copie cartacee del messaggio di p.e.c. e delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna prive dell’attestazione di conformità ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994.
6. – La fattispecie materiale concernente la formazione dell’atto ricorso (nativo digitale e sottoscritto con firma digitale), la sua notificazione (in originale telematico, sottoscritto digitalmente, a mezzo p.e.c.) e il suo deposito presso la cancelleria di questa Corte (in copia analogica dell’originale telematico priva di sottoscrizione autografa dei difensori, unitamente al deposito dei messaggi di p.e.c. riguardanti la notificazione del ricorso in originale telematico e della allegata procura, in copia informatica autenticata con firma digitale, senza che vi sia l’attestazione di conformità) è, dunque, sovrapponibile a quella esaminata da questa Corte con l’ordinanza n. 30918 del 22 dicembre 2017 (pronunciata dalla Sesta Sezione nella composizione stabilita dal par. 4.2. delle tabelle della Corte di Cassazione).
7. – In detta occasione, la ratio decidendi e il principio di diritto che hanno giustificato e sorretto l’esito dell’impugnazione in una declaratoria di improcedibilità del ricorso sono compendiati nella seguente massima ufficiale: “Il deposito in cancelleria di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, con attestazione di conformità priva di sottoscrizione autografa del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994, ne comporta l’improcedibilità rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 369 c.p.c., a nulla rilevando la mancata contestazione della controparte ovvero il deposito di copia del ricorso ritualmente autenticata oltre il termine perentorio di venti giorni dall’ultima notifica, non essendo ammissibile il recupero di una condizione di procedibilità mancante al momento della scadenza del termine per il deposito del ricorso“.
8. – Giova riportare, in sintesi, i passaggi argomentativi dell’ordinanza n. 30918/2017, che segnano in modo chiaro i termini della questione e dell’attuale approdo della giurisprudenza di legittimità: a) il processo telematico non è stato esteso al giudizio di cassazione, per cui il ricorso per cassazione può essere depositato nella cancelleria della Corte esclusivamente in modalità analogica (cartacea), sebbene ciò non escluda che il ricorrente possa notificare il ricorso (nativo analogico o nativo digitale; nella specie, trattasi di questa seconda ipotesi) con modalità telematiche; b) il codice dell’amministrazione digitale (c.a.d., d.lgs. n. 82 del 2005) riconosce un potere di attestazione di conformità di copie analogiche di atti digitali ai pubblici ufficiali a ciò autorizzati (art. 23), là dove un tale potere, nell’ambito del processo civile, è attribuito all’avvocato (così qualificato pubblico ufficiale) ai fini delle notificazioni (artt. 6 e 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994 e successive modificazioni), concernendo il messaggio di posta elettronica certificata, i suoi allegati (nella specie e segnatamente, ricorso, procura alle liti e relazione di notifica), le ricevute di accettazione e di avvenuta consegna; c) il deposito di ricorso analogico quale mera copia di quello informatico priva della necessaria attestazione di conformità sottoscritta dal difensore, non è idoneo ad integrare quanto richiesto dall’art. 369, primo comma, c.p.c. ed è quindi improcedibile; d) in particolare, la sanzione della improcedibilità scatta allorquando sia stata depositata, nel termine di venti giorni dalla notificazione, soltanto una copia non autenticata e non già originale del ricorso (Cass., sez. un., 10 ottobre 1997, n. 9861) e, analogamente, deve ritenersi per il deposito, nel predetto termine, della relazione di notifica ed del relativo messaggio attestante il tempo della notifica dal quale decorre il termine per il deposito in cancelleria (Cass. 19 dicembre 2016, n. 26102, Cass. 28 luglio 2017, n. 18758); e) l’improcedibilità del ricorso deve essere rilevata d’ufficio senza che sia necessaria un’eccezione della controparte (tra le tante, Cass., 18 settembre 2012, n. 15624 e Cass., 7 febbraio 2017, n. 3132), né, in contrario, può avere rilievo la non contestazione della controparte in applicazione dell’art. 2719 c.c. (Cass., 1 dicembre 2005, n. 26222; Cass., 18 settembre 2012, n. 15624; Cass., 8 ottobre 2013, n. 22914; Cass., 26 maggio 2015, n. 10784), quale regola che attiene all’ambito probatorio inter partes e non invoca bile là dove si devono effettuare verifiche, come quelle relative alla procedibilità del ricorso, che hanno implicazioni pubblicistiche e non sono nella disponibilità delle parti. Di qui, anche la ragione del mancato richiamo del comma 2 dell’art. 23 del c.a.d. (norma ritenuta omologa al citato art. 2719 c.c.) ad opera dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 9 della legge n. 53 del 1994; f) non è consentito il deposito dell’attestazione di conformità del ricorso (e anche della relata di notificazione e dei messaggi di p.e.c.) oltre il termine di venti giorni dall’ultima notificazione, non essendo ammissibile il recupero di una condizione di procedibilità mancante dopo la scadenza del termine per il deposito del ricorso (Cass., 20 gennaio 2015, n. 870 e Cass., 7 febbraio 2017, n. 3132; Cass., S.U., 2 maggio 2017, n. 10648, che, tuttavia, ha escluso l’applicabilità della sanzione dell’improcedibilità quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o perché presente nel fascicolo d’ufficio).
9. — Con la successiva citata sentenza n. 10266/2018, di queste Sezioni Unite, si è ribadito (sebbene, poi, il relativo intervento nomofilattico abbia riguardato una diversa questione, pur sempre attinente al ricorso predisposto in originale telematico) che nel giudizio di cassazione, cui – ad eccezione delle comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria ex art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 – non è stato ancora esteso il processo telematico (p.c.t.), è necessario estrarre copie analogiche degli atti digitali ed attestarne la conformità, in virtù del potere appositamente conferito al difensore dagli artt. 6 e 9, commi 1- bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994.
10. – E’ opportuno premettere che non viene qui in discussione la diversa questione della improcedibilità dell’impugnazione in difetto di attestazione di conformità della copia analogica della sentenza notificata con modalità telematiche, di cui all’arresto dell’ordinanza n. 30765 del 22 dicembre 2017 della Sesta Sezione (anche in tale occasione nella composizione stabilita dal par. 4.2. delle tabelle della Corte di Cassazione). Sebbene possano ravvisarsi punti di contatto, trattasi di fattispecie differente da quella in esame.
11. – Ritengono, invece, le Sezioni Unite che sussistano valide ragioni per rimeditare, sia pure solo in parte, l’orientamento anzidetto, in tema di procedibilità del ricorso per cassazione notificato come documento informatico nativo digitale. Ragioni che muovono da una prospettiva convergente con l’esigenza di consentire la più ampia espansione, nel perimetro di tenuta del sistema processuale, del diritto fondamentale di azione (e, quindi, anche di impugnazione) e difesa in giudizio (art. 24 Cost.), che guarda come obiettivo al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, alla cui realizzazione coopera, in quanto principio “mezzo”, il giusto processo dalla durata ragionevole (art. 111 Cost.), in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione europea, art. 6 CEDU).
12. – Del resto, l’esigenza anzidetta è già stata coltivata dalle pronunce sopra richiamate (Cass. n. 30918/2017 e Cass., S.U., n. 10266/2018) allorquando – in un contesto quale quello del giudizio di cassazione, in cui l’impianto e lo svolgersi della relativa disciplina processuale è, ancora oggi, ancorato ad una dimensione analogica (ossia cartacea) degli atti e dove, pertanto, non trovano applicazione le regole sul p.c.t. (salva l’eccezione cui sopra si è fatto cenno) – hanno ritenuto ammissibile la formazione digitale del ricorso e il suo deposito in copia analogica autenticata. Atto ed attività processuali che, di certo, non trovano immediata corrispondenza nel paradigma segnato dal combinato disposto degli artt. 365 e 369, primo comma, c.p.c., ossia di norme la cui originaria formulazione non è stata mai interessata da modifiche legislative dall’epoca, ormai risalente, della promulgazione del codice di rito. Ed è evidente che tanto è potuto avvenire tramite una interpretazione evolutiva, in consonanza con il già citato valore (principio) “obiettivo” dell’effettività della tutela giurisdizionale, che, proprio in ambito sovranazionale, ha trovato coerente sponda anche nel principio di “non discriminazione” (quanto agli effetti giuridici) del documento digitale espresso dall’art. 46 del regolamento UE n. 910 del 2014 (eIDAS).
13. – E’, quindi, un terreno già arato e reso fertile quello sul quale si viene ad innestare questo ulteriore intervento nomofilattico, la cui vocazione ancor più “liberale” (Cass., S.U., n. 10648/2017) rimane anch’essa particolarmente attenta ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità che devono orientare eventuali restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale (art. 6 § 1 CEDU: tra le altre, Corte EDU, 16 giugno 2015, ric. n. 20485/06 e Corte EDU 15 settembre 2016, ric. n. 32610/07; ma anche, più di recente, seppure con accenti diversi: Cass., S.U., 13 dicembre 2016, n. 25513; Cass., S.U., 29 maggio 2017, n. 13453; Cass., S.U., 7 novembre 2017, n. 26338; Cass., S.U., 16 novembre 2017, n. 27199), trovando rinnovata vitalità nel principio cardine di “strumentalità delle forme” degli atti del processo, siccome prescritte dalla legge non per la realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma in quanto strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come il traguardo che la norma disciplinante la forma dell’atto intende conseguire (cfr. anche Cass., 12 maggio 2016, n. 9772). E in tale quadro – come messo in risalto ancora dalla citata Cass., S.U., n. 10648/2017 – cooperano, intrecciati tra loro, ulteriori aspetti, “portatori di altrettanti valori interni al sistema”, come: “l’ordinato svolgersi del giudizio di legittimità, con la possibilità di avviare sollecitamente le verifiche di rito; il controllo sulla tempestività dell’impugnazione e sul conseguente formarsi del giudicato; il diritto della parte resistente di far constare i vizi del ricorso; la necessaria proporzionalità tra la sanzione irrimediabile dell’improcedibilità (art.387 c.p.c.) e la violazione processuale commessa; … la giustizia della decisione (SU 10531/13; 26242/14; 12310/15) quale scopo dell’equo processo“. Sono, tutti, principi immanenti al “giusto processo”, che non possono essere recessivi rispetto alle forme e alle modalità, contingenti, nei quali il processo stesso viene ad essere configurato in base all’esercizio, ragionevole, della discrezionalità di cui gode il legislatore nel plasmarne gli istituti (tra le molte, Corte cost., sentenze n. 243 del 2014 e n. 216 del 2013). E tanto non trova deroghe nel caso del processo telematico, sebbene costituisca, oggi e, presumibilmente, ancor più nel prossimo futuro, lo strumento più duttile e funzionale in un’ottica di semplificazione ed efficienza del sistema giudiziario nel suo complesso, come reso palese dai plurimi interventi legislativi di questi ultimi anni, investenti quasi tutti i plessi giurisdizionali.
14. – In questa luce va affermato, anzitutto, il superamento della sanzione dell’improcedibilità del ricorso notificato a mezzo p.e.c. come originale telematico e depositato in copia analogica (unitamente alle copie dei messaggi di p.e.c., della relata di notificazione e della procura) priva di attestazione di conformità ex art. 9 della legge n. 53 del 1994, nell’ipotesi (che ricorre nella specie) di deposito della copia notificata del ricorso da parte del controricorrente ritualmente autenticata proprio ai sensi del citato art. 9 della legge n. 53 del 1994. Anche in questo caso, insistere nella sanzione di improcedibilità, nonostante che l’adempimento della controparte abbia consentito l’attivazione della sequenza procedimentale senza ritardi apprezzabili (“l’esame del fascicolo non può aver luogo se non si è atteso il tempo utile per il deposito del controricorso”: così la citata Cass., S.U., n. 10648/2017) e che il documento sia esibito “dalla stessa parte interessata a far constare la violazione processuale” (ancora Cass., S.U., n. 10648/2017), condurrebbe ad un vulnus di quei parametri normativi (art. 6 § 1 CEDU, ma anche art. 47 della Carta di Nizza e art.111 Cost.) che impongono di valutare in termini di ragionevolezza e proporzionalità gli impedimenti al pieno dispiegarsi della tutela giurisdizionale, la quale, nella declinazione del “giusto processo”, è presidiata dall’effettività dei mezzi di azione e difesa, che tale è anche nel preservare al giudizio la sua essenziale tensione verso la decisione di merito (tra le altre, Cass., S.U., 11 luglio 2011, n. 15144).
15. – Ma vi sono ragioni ulteriori che consentono di sussumere come ipotesi fisiologica nell’ambito della fattispecie processuale dell’art. 369 c.p.c. anche quella del deposito in copia analogica del ricorso in forma di documento informatico notificato a mezzo p.e.c. in assenza della attestazione di conformità ex art. 9 della legge n. 53 del 1994, dando rilievo, questa volta, al mancato disconoscimento, da parte del controricorrente destinatario della notificazione, della conformità di detta copia all’originale telematico, in applicazione dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Del resto, è l’espresso disposto dell’art. 2, comma 6, del c.a.d., inserito dal d.lgs. n. 179 del 2016, a rendere manifesto che «le disposizioni del presente Codice si applicano altresì al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico». E, peraltro, ad analoghe conclusioni era giunta la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 10 novembre 2015, n. 22871) là dove aveva affermato che i principi generali del d.lgs. n. 82 del 2005 sono resi applicabili al processo civile dall’art. 4 del d.l. n. 193 del 2009, convertito dalla legge n. 24 del 2010; art. 4 che ha rappresentato, altresì, la base legale per l’adozione, da parte del Ministro della Giustizia, delle “regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione” e ciò proprio “in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.
16. – Va, anzitutto, rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto, in più di un’occasione e già da tempo risalente (Cass., S.U., 2 febbraio 1976, n. 323), che “il deposito nella cancelleria della Corte di Cassazione di una copia informe del ricorso, anziché, ai sensi dell’art. 369, primo comma, c.p.c., dell’originale, non determina improcedibilità del ricorso medesimo, qualora non vi siano dubbi sulla conformità all’originale della copia; in tal caso, infatti, viene soddisfatta la finalità, perseguita dalla suddetta norma, di radicare, con il deposito del ricorso, il procedimento di impugnazione, e di consentire alla Corte la preliminare verifica, senza possibilità di contestazioni, sulla regolarità della costituzione del contraddittorio, nonché sulla sussistenza delle condizioni di ammissibilità e procedibilità dell’impugnazione“. Tale principio trovò applicazione in un caso in cui il ricorso era stato depositato in copia, con la dichiarazione dell’ufficiale giudiziario attestante l’avvenuta notifica, avendo poi la Corte rilevato che l’originale del ricorso medesimo risultava inserito nel fascicolo del resistente. Il principio è stato, poi, ribadito da Cass., 26 giugno 2008, n. 17534, ritenendosi procedibile il ricorso in quanto l’unica difformità fra la relativa copia e l’originale del ricorso (quest’ultimo depositato ben oltre il termine di venti giorni e senza che vi fosse stata costituzione dell’intimato con controricorso) era rappresentata dal fatto che la copia non recava la procura, sicché si trattava di difformità la quale, afferendo ad un atto diverso dal ricorso e materialmente inserito nello stesso documento che conteneva il ricorso medesimo, non determinava alcun dubbio di conformità della copia all’originale.
17. – Il medesimo principio di diritto è stato confermato anche da quelle pronunce (tra le altre, Cass., 1 dicembre 2005, n. 26222; Cass., 18 settembre 2012, n. 15624; Cass., 26 maggio 2015, n. 10784), che hanno, poi, ritenuto di dover dichiarare l’improcedibilità del ricorso depositato soltanto in copia fotostatica, escludendo di poter ravvisare quella necessaria ragionevole certezza della conformità della copia all’originale, in quanto non rinvenuto agli atti e insistendo sulla inderogabilità (assoluta) del termine di venti giorni stabilito dall’art. 369, primo comma, c.p.c. Questi stessi precedenti hanno, altresì, vagliato negativamente la possibilità di fare applicazione del disposto del citato art. 2719 c.c., adducendo quelle stesse ragioni poi riprese dall’ordinanza n. 30918/2017 (e innanzi richiamate) e affermando, quindi, che, nella specie, ciò che occorre garantire è l’accertamento, in capo alla Corte e indisponibile per le parti, dell’esistenza, o meno, di un ricorso redatto nelle forme previste dall’art. 365 c.p.c. e ciò, dunque, “a prescindere dalla mancata espressa contestazione della controparte che, non essendo mai stata in possesso dell’atto originale, non è in grado di valutare la conformità all’originale della fotocopia”.
18. – Prescindendo per ora dal profilo della tempestività del deposito del ricorso (come detto, esaminato sotto una prospettiva di “apertura” dalla sentenza n. 10648/2017 di queste Sezioni Unite), è necessario soffermarsi sulla ragione decisiva che, secondo la richiamata giurisprudenza, porta ad escludere rilevanza alla “non contestazione” del controricorrente.
La certezza della conformità della copia all’originale – che consente “alla Corte la preliminare verifica, senza possibilità di contestazioni, sulla regolarità della costituzione del contraddittorio, nonché sulla sussistenza delle condizioni di ammissibilità e procedibilità dell’impugnazione” (Cass., S.U., n. 323/1976, citata) – non potrebbe, dunque, essere data dalla mancata contestazione di controparte perché si tratta di verifica ad essa sottratta (indisponibile), per essere riservata (stante la rilevanza pubblicistica degli interessi) alla Corte di Cassazione; in ogni caso, non essendo la parte in possesso dell’originale del ricorso, la stessa sarebbe impossibilitata ad operare detta valutazione di conformità.
19. – Tuttavia, l’apparato argomentativo che sorregge il consolidato orientamento restrittivo della giurisprudenza di questa Corte, formatosi in ambiente di ricorso analogico (e di norme processuali calibrate su tale forma atto), non risulta altrettanto dirimente, se traguardato sotto la lente dei principi, costituzionali e sovranazionali, sopra ricordati, nell’ipotesi di ricorso nativo digitale e come tale notificato a mezzo p.e.c.
20. – Giova premettere che in tale ipotesi il ricorso dovrà essere il documento informatico originale sottoscritto con firma digitale, conformemente a quanto stabilito dall’art. 20 del c.a.d., quale norma generale (come chiarito sub§ 15) che, nell’attribuire al documento così sottoscritto «l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile», viene, quindi, ad individuare, in armonia con quanto puntualizzato dalla citata sentenza n. 10266/2018 di queste Sezioni Unite, i caratteri del documento informatico, nella specie di natura processuale, in grado di soddisfare il requisito della sottoscrizione di cui all’art. 365 c.p.c. o, comunque, della sottoscrizione dell’atto processuale che, in base alle regole del codice di rito (e, dunque, in base alla legge del processo), si rende necessaria.
A tanto si conforma, quindi, la specifica tecnica dettata, per il p.c.t. nei gradi di merito ai fini del deposito telematico, dall’art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014 e aggiornato il 28 dicembre 2015 (in forza di quanto consentito dall’art. 34 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44). Sicché, ai fini del rispetto delle regole tecniche per le notificazioni telematica, eseguite dagli avvocati, dell’atto processuale redatto e sottoscritto in formato digitale, l’art. 19-bis di detto decreto, in attuazione dell’art. 18 del citato d.m. n. 44 del 2011, coerentemente stabilisce, al comma 3, che la notificazione dell’atto processuale da trasmettere telematicamente all’ufficio giudiziario deve riguardare il documento originale informatico (nel formato e secondo le modalità dettate dal precedente comma 1). Pertanto, là dove lo stesso art. 19-bis, al comma 4, prevede che si applichi l’art. 12 del medesimo decreto “Qualora il documento informatico, di cui ai commi precedenti, sia sottoscritto con forma digitale o firma elettronica qualificata”, non sottintende la facoltà di notificare l’atto processuale in copia informatica e senza firma digitale, bensì individua sul piano tecnico soltanto la regola sul tipo di firma digitale apponibile al documento informatico che tale firma deve possedere (giacché, ben possono esserci documenti informatici che non sono atti processuali, come, ad es., quelli probatori) e, tra questi, certamente l’atto processuale. Non può, quindi, sostenersi (come invece affermato da Cass., 28 giugno 2018, n. 17020) che, in ambiente di processo telematico, il deposito in cancelleria deve avvenire in riferimento ad atto nativo originale con firma digitale, mentre la notificazione alla controparte può avere ad oggetto lo “stesso” atto nativo originale privo di firma digitale, poiché si tratterebbe, in realtà, di due atti nativi digitali diversi e non dello stesso unico atto sottoscritto con firma digitale.
Del resto, nel giudizio di cassazione (cui si riferisce il precedente appena richiamato), in cui, non essendo operante il sistema del p.c.t. (salva l’eccezione in precedenza indicata), non è possibile dare prova della notificazione in modalità telematica (come invece previsto dal comma 5 del citato art. 19-bis), ove si accedesse all’interpretazione che ammette la notificazione di un ricorso in originale informatico privo di firma digitale verrebbe, addirittura, a mancare un originale sottoscritto, giacché a tanto non potrebbe sopperire l’attestazione di conformità della copia analogica del ricorso depositata in luogo dell’originale digitale; attestazione che postula, per l’appunto, che l’originale digitale sia stato, a sua volta, ritualmente sottoscritto. Di qui, pertanto, la rilevanza del vizio di sottoscrizione digitale dell’atto nativo digitale notificato, che, come detto, è l’originale; vizio che potrebbe determinare la nullità dell’atto, se non fosse possibile aliunde ascriverne la paternità certa, in ragione del principio del raggiungimento dello scopo.
21. – Dunque, l’originale del ricorso nativo digitale – in quanto atto processuale – è unico e per essere valido, alla luce di quanto dispone la legge processuale (che è fonte condizionante, anche in via interpretativa, la portata stessa della disciplina recata dalle disposizioni regolamentari e tecniche sul p.c.t.), deve essere sottoscritto con firma (ovviamente) digitale; l’atto così formato e sottoscritto è, quindi, l’atto che l’avvocato provvede a notificare, a mezzo p.e.c., all’indirizzo p.e.c., risultante da pubblici registri, della controparte. La parte destinataria della notificazione sarà, quindi, in possesso proprio dell’originale del ricorso notificato, sottoscritto con firma digitale, sicché sarà posta nella condizione di operare una verifica di conformità all’originale (in suo possesso) della copia analogica del ricorso che è stata già depositata in cancelleria.
22. – Invero, e come del resto è già emerso in precedenza, nel giudizio di cassazione – che vede ancora in fieri l’operatività a regime i del sistema p.c.t. (salva l’eccezione di cui si è detto) -, stante l’impossibilità di procedere al deposito telematico del ricorso, la Corte non è affatto in grado di verificare, essa stessa, la conformità all’originale nativo digitale della copia analogica del ricorso depositata. Di qui, pertanto, l’applicazione dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 9 della legge n. 53 del 1994 (e successive modificazioni), quali disposizioni che, proprio nell’ipotesi in cui non si possa depositare l’atto processuale originale telematico notificato, affidano alla parte l’onere di attestare la conformità all’originale della copia analogica depositata. Si tratta di assunzione di responsabilità specifica e suscettibile di sanzioni extraprocessuali (art. 6 della legge n. 53 del 1994) e, tuttavia, costituisce pur sempre un affidamento al depositante di ciò che, in ambito di verifica imposta dal combinato disposto degli artt. 365 e 369, primo comma, c.p.c., si afferma essere alla parte stessa sottratto e, dunque, indisponibile. Del resto, come già posto in risalto, nel quadro attuale della disciplina del giudizio di cassazione si è resa necessaria, proprio al fine di consentire il deposito di copia analogica di ricorso notificato come documento nativo digitale, quell’interpretazione evolutiva che è transitata attraverso l’applicazione, come regola (necessitata) per la verifica della procedibilità del ricorso nativo digitale, del citato art. 9, commi 1-bis e 1-ter, ossia di norme che, di certo, non sono state ispirate dalle esigenze proprie, e strutturali, del giudizio di cassazione, bensì da quelle concernenti il sistema del p.c.t. in essere presso gli uffici giudiziari di merito. Ed è proprio in un siffatto contesto che la regola di verifica della procedibilità del ricorso nativo digitale così notificato – che non risponde al paradigma originario della disciplina del codice di rito – deve, quindi, misurarsi con la radicalità della sanzione dell’improcedibilità recata dall’art. 369 c.p.c., secondo quel test di ragionevolezza e proporzionalità che si impone nella configurazione di impedimenti all’accesso alla tutela giurisdizionale nella sua effettività.
23. – Ne consegue che il punto di equilibrio può spostarsi in avanti, tenendo conto (non solo dell’ipotesi considerata al § 14, ma anche) dello stesso comportamento concludente della parte destinataria della notificazione, che esprime una saldatura concettuale, in termini di affidamento nella verifica della condizione di procedibilità, con la condotta asseverativa imposta al notificante (ciò che, del resto, costituisce orizzonte traguardato anche da Cass., 20 agosto 2018, n. 20818 e da Cass., S.U., 11 settembre 2018, n. 22085). E questo proprio perché il destinatario della notificazione è in possesso dell’originale del ricorso in formato digitale e, quindi, è in grado di valutarne appieno la conformità alla copia analogica informe (ossia priva di attestazione ex art. 9 della legge n. 53 del 1994) che sia stata tempestivamente depositata (nei venti giorni prescritti dall’art.369 c.p.c.) dal ricorrente, attestando l’esito di una siffatta verifica tramite il mancato disconoscimento di detta conformità. Ciò, peraltro, senza determinare, come già rammentato in forza del richiamo a Cass., S.U., n. 10648/2017, “ritardi apprezzabili” nell’attivazione della sequenza procedimentale ed essendo coinvolta, per l’appunto, la “stessa parte interessata a far constare la violazione processuale”.
24. – In tal senso, quindi, trova peculiare valorizzazione l’art. 23, comma 2, del c.a.d., quale norma che, pur non essendo richiamata dall’art. 9, comma 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994, è suscettibile di essere applicata (secondo quanto messo in luce al § 15) in ragione del disposto di cui all’art. 2, comma 6, del c.a.d. (cfr. anche Cass., 2 marzo 2018, n. 4932, sebbene la pronuncia postuli solo in astratto la praticabilità di tale soluzione), in quanto opera – già ora, nel contesto della disciplina del giudizio di legittimità non ancora inserito nel sistema del p.c.t. – da norma di chiusura sul duplice presupposto (anzitutto materiale, prima ancora che giuridico) della impossibilità per la Corte di effettuare la verifica diretta sull’originale nativo digitale e della possibilità, invece, della parte destinataria dell’atto processuale nativo digitale, debitamente sottoscritto con firma digitale, di poterne operare, o meno, il disconoscimento rispetto alla copia analogica che non sia stata autenticata dal difensore autore dell’atto notificato, in quanto in possesso proprio del suo originale.
25. – Peraltro, in armonia con quanto già complessivamente evidenziato, l’art. 23, comma 2, c.a.d. potrà ben trovare applicazione ai fini della prova della tempestività della notificazione, in riferimento al mancato disconoscimento ad opera del controricorrente dei messaggi di p.e.c. e della relata di notifica depositati in copia analogica non autenticata dalla parte ricorrente, così come, del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, in più di un’occasione, in riferimento alla produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia dell’atto processuale spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., in applicazione dell’art. 2719 c.c. (Cass., 27 luglio 2012, n. 13439; Cass., 8 settembre 2017, n. 21003).
26. – Ovviamente, al di là di quelle sopra evidenziate (§§ 14 e 23), possono darsi ulteriori eventualità nella vicenda processuale che attiene alla procedibilità del ricorso, con l’avvertenza che, ove necessario, occorrerà fare applicazione calibrata del principio (più volte ricordato) di sterilizzazione della sanzione dell’improcedibilità in assenza di “ritardi apprezzabili” nell’attivazione della sequenza procedimentale enunciato da Cass., S.U., n. 10648/2017, attingendo, quanto alla scansione temporale di definizione di detta sequenza, alle indicazioni provenienti da Cass., S.U., 14 gennaio 2008, n. 627 (concernente fattispecie in tema di notificazione a mezzo posta). Tanto è dato ritenere, anzitutto, in ragione del contesto normativo e materiale, più volte rammentato, nel quale si cala, a tutt’oggi, il ricorso per cassazione notificato come documento informatico nativo digitale e come tale non depositabile nella cancelleria della Corte di Cassazione, per non essere ancora attivato, presso la Cassazione stessa, il sistema del p.c.t. Contesto, dunque, affatto peculiare e tuttavia intermedio, perché destinato ad essere superato con l’immissione nel circuito del predetto sistema anche del giudizio di legittimità, come prefigurato dall’art. 16- bis, comma 6, del d.l. n. 179 del 2012 – convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 -, inserito dalla legge n. 228 del 2012. In questo attuale e particolare ambito occorre, quindi, dare specifico rilievo, nell’ottica sopra delineata, al presupposto, indefettibile, della iniziale tempestività (nei venti giorni stabiliti dall’art.369 c.p.c.) del deposito del ricorso seppure in copia informe, che – come in precedenza evidenziato – ha comunque consentito alla giurisprudenza di questa Corte (per tutte le già citate Cass., S.U., n. 323/1976 e Cass. n. 17534/2008) di dichiarare, una volta acquisita certezza circa la conformità della copia all’originale, procedibile l’impugnazione nonostante l’acquisizione dell’originale oltre il termine anzidetto. Del pari, il tempestivo deposito della sola copia analogica del ricorso notificato come documento informatico nativo digitale consente di configurare, là dove se ne presenti l’eventualità, una fattispecie a formazione progressiva, che viene ad esaurirsi in un lasso temporale da reputarsi proporzionato e ragionevole. L’eventualità è riferita ai casi di seguito indicati.
26.1. – Anzitutto, nell’ipotesi in cui il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale depositi tardivamente il controricorso e, comunque, non disconosca la conformità all’originale della copia analogica informe del ricorso (tempestivamente depositata), troverà applicazione lo stesso principio che regola il caso del controricorrente tempestivamente costituitosi e che non abbia operato il disconoscimento ai sensi dell’art. 23, comma 2, del c.a.d.
26.2. – Nell’ipotesi in cui il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale rimanga, invece, solo intimato, il ricorrente potrà depositare, in base all’art. 372 c.p.c. (e senza necessità di notificazione ai sensi del secondo comma dello stesso art. 372), l’asseverazione di conformità all’originale (ex art. 9 della legge n. 53 del 1994) della copia analogica informe del ricorso (tempestivamente depositata) sino all’udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all’adunanza in camera di consiglio (artt. 380 bis, 380 bis.1 e 380 ter c.p.c.). In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.
26.3. – Ove il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale depositi il controricorso e disconosca la conformità all’originale della copia analogica informe del ricorso (tempestivamente depositata), sarà onere del ricorrente, nei termini anzidetti (sino all’udienza pubblica o all’adunanza di camera di consiglio), depositare l’asseverazione di legge di conformità della copia analogica all’originale notificato. In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.
26.4. – Nel caso in cui vi siano più destinatari della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale e non tutti depositino controricorso, in assenza di disconoscimento ex art. 23, comma 2, c.a.d., il ricorrente – posto che detto comportamento concludente ex lege impegna solo la parte che lo pone in essere – sarà onerato di depositare (ove abbia già tempestivamente depositato la copia analogica informe del ricorso), nei termini sopra precisati (sino all’udienza pubblica o all’adunanza di camera di consiglio), l’asseverazione di cui all’art. 9 della legge n. 53 del 1994. In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.
27. – Vanno, quindi, enunciati, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., i seguenti principi di diritto:
«Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, I. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c.p.c. sia nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005, non ne abbia disconosciuto la conformità all’originale notificatogli.
Anche ai fini della tempestività della notificazione del ricorso in originale telematico sarà onere del controricorrente disconoscere la conformità agli originali dei messaggi di p.e.c. e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente.
Ove, poi, il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato, il ricorrente potrà depositare, ai sensi dell’art. 372 c.p.c. (e senza necessità di notificazione ai sensi del secondo comma della medesima disposizione), l’asseverazione di conformità all’originale (ex art. 9 della legge n. 53 del 1994) della copia analogica depositata sino all’udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all’adunanza in camera di consiglio (artt. 380 bis, 380 bis.1 e 380 ter c.p.c.). In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.
Nel caso in cui il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale depositi il controricorso e disconosca la conformità all’originale della copia analogica informe del ricorso depositata, sarà onere del ricorrente, nei termini anzidetti (sino all’udienza pubblica o all’adunanza di camera di consiglio), depositare l’asseverazione di legge circa la conformità della copia analogica, tempestivamente depositata, all’originale notificato. In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.
Nell’ipotesi in cui vi siano più destinatari della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale e non tutti depositino controricorso, il ricorrente – posto che il comportamento concludente ex art. 23, comma 2, c.a.d. impegna solo la parte che lo pone in essere – sarà onerato di depositare, nei termini sopra precisati, l’asseverazione di cui all’art. 9 della legge n. 53 del 1994. In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile».
P.Q. M.
dichiara estinto per rinuncia il processo introdotto con il ricorso principale;
dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
compensa interamente le spese del giudizio di legittimità tra tutte le parti.
enuncia, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., i principi di diritto di cui al § 27 della motivazione.