CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 87 depositata il 3 gennaio 2024
Lavoro – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Riorganizzazione e soppressione del posto di lavoro – Esternalizzazione delle attività – Manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento – Obbligo di répechage – Accoglimento
Rilevato che
1. con sentenza 11 febbraio 2020, la Corte d’appello di Catanzaro ha rigettato il reclamo principale di (…) (U.O.L.E.) soc. coop. e incidentale di A.G. avverso la sentenza di primo grado, che, in esito a rito Fornero, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra le parti e, ritenuto illegittimo (per difetto di prova, nell’onere datoriale, del nesso causale tra il riassetto organizzativo, per la comprovata grave crisi economico – finanziaria e l’individuazione della posizione della lavoratrice da sopprimere, nonché dell’obbligo di répechage) il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo dalla società cooperativa alla socia lavoratrice il 7 settembre 2016, condannato la prima al pagamento, in favore della seconda, di un’indennità risarcitoria in misura di venti mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge;
2. quanto al reclamo principale, essa ha escluso la prova:
a) del nesso causale tra l’addotta riorganizzazione e la soppressione del posto di lavoro, per infondatezza (a’) dell’allegazione della società reclamante (già sufficiente a smentire il riassetto organizzativo a base del licenziamento) di esternalizzazione delle attività di natura contabile (cui era addetta la lavoratrice), siccome non avvenuta in prossimità del licenziamento (con la delibera di C.d.A. del 20 gennaio 2016), bensì già dal marzo 2013, in esecuzione della delibera di C.d.A. del 28 febbraio 2016, nonché (a’’) della censura di avere il Tribunale ravvisato la violazione dei criteri di scelta del dipendente da licenziare, avendo esso piuttosto negato l’esistenza di plausibili ragioni esplicative dell’individuazione di A.G. quale impiegata da licenziare, per la presenza di altro impiegato amministrativo con minore anzianità di servizio;
b) della soppressione, per effetto del nuovo assetto societario, dell’area amministrativa alla data del 30 gennaio 2016, con la sopravvivenza solo di un’area tecnica (cui addetto personale di cui non documentate le effettive mansioni svolte); c) dell’impossibilità di ricollocazione aziendale della lavoratrice, neppure con mansioni di qualifica inferiore;
3. quanto al reclamo incidentale, la Corte territoriale ne ha ritenuto – sul rilievo dell’autonomia, nelle società cooperative, della qualità di socio da quella di lavoratore subordinato (a fronte del loro prospettato inscindibile collegamento, sotteso alle censure) – la pari infondatezza, sull’essenziale negazione della competenza deliberativa del licenziamento in capo all’assemblea dei soci (dal cui mancato esercizio la lavoratrice inferirebbe l’insussistenza del giustificato motivo del licenziamento), anziché al consiglio di amministrazione, come per legge e per regolamento interno;
4. con atto notificato l’11 giugno 2020, la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui ha resistito la società cooperativa con controricorso contenente ricorso incidentale articolato su quattro motivi, cui la predetta ha replicato con controricorso, peraltro inammissibile, in quanto notificato (il 28 settembre 2020) oltre il termine (di quaranta giorni) prescritto dall’art. 370 dalla notificazione del ricorso incidentale (il 19 luglio 2020), nell’evidente erronea considerazione della sospensione feriale dei termini processuali, non operante ratione materiae;
5. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.;
6. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. nel rispetto dell’ordine pregiudiziale delle questioni devolute, la società controricorrente, a propria volta ricorrente incidentale, ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 5 legge n. 604/1966, 41 Cost. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione agli artt. 115, 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto l’esternalizzazione, da parte della società cooperativa, delle funzioni amministrative e contabili già con il contratto di consulenza del 20 marzo 2013, anziché, come invece avvenuto, con il conferimento dell’incarico dell’1 gennaio 2016, comportante la soppressione, al rientro in azienda il 29 luglio 2016 (dopo tre anni di assenza) della socia lavoratrice poi licenziata, dell’ufficio amministrativo ed attribuzione delle sue mansioni ad altro socio lavoratore (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge n. 604/1966 ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione agli artt. 115, 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto l’esercizio da parte del socio lavoratore Alessandro Irlando di funzioni prevalentemente amministrative, anziché tecniche, come in effetti, pertanto diverse e non fungibili con quelle di A.G.: ciò risultando anche dalle diverse qualifiche (III livello il primo, IV livello la seconda) ignorate dalla Corte territoriale (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 5 legge n. 604/1966, 41 Cost. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione agli artt. 115, 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la prova della soppressione dell’ufficio amministrativo e della sussistenza di un’area prettamente tecnica, sulla base dell’attestazione del consulente fiscale della società, senza esaminare le altre circostanze documentali dedotte (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 5 legge n. 604/1966, 41 Cost. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione agli artt. 115, 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso l’assoluzione, da parte della società, dell’obbligo di répechage, non avendo “tenuto nella debita considerazione tutta la documentazione e le risultanze istruttorie sopra richiamate” (quarto motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
3. non si configurano le violazioni di legge denunciate, non implicando le censure un problema interpretativo, né di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addica, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicano la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851; Cass. 19 ottobre 2023, n. 29062). Con essi, la ricorrente incidentale lamenta piuttosto un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;
3.1. in particolare, non sussistono le violazioni: a) dell’art. 115 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; b) né dell’art. 116 medesimo, ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016; Cass. 17 maggio 2023, n. 13518).
Per giunta, tali ultime norme sono pure richiamate in riferimento al vizio di omesso esame, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., inammissibile, versandosi nel caso di specie nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348ter, quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis:
non avendo la ricorrente in cassazione indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994; Cass. 13 aprile 2021, n. 9656);
4. le censure si risolvono pertanto in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), siccome esclusivamente spettanti al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione (per le ragioni in particolare esposte all’ultimo capoverso di pg. 5 e dall’ultimo di pg. 6 al primo di pg. 8 della sentenza);
5. la ricorrente principale ha dedotto nullità della sentenza in violazione degli artt. 132 c.p.c., 111 Cost., per non avere la Corte territoriale, con motivazione contraddittoria, illogica e apparente, nonostante la ravvisata manifesta insussistenza della riorganizzazione ed esternalizzazione delle attività, cui era addetta la lavoratrice e della mancata prova dell’impossibilità di suo répechage in altre attività e mansioni, coerentemente ritenuto illegittimo il licenziamento per insussistenza del giustificato motivo addotto ed applicato la tutela reintegratoria prevista (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 3 legge n. 604/1966, 18, quarto comma legge n. 300, 2697 c.c., per non avere la Corte territoriale correttamente applicato la tutela reintegratoria, ricorrendo nel caso di specie l’ipotesi di manifesta insussistenza del giustificato motivo addotto a base del licenziamento, per l’accertata inesistenza della riorganizzazione aziendale, del nesso causale e violazione dell’obbligo di répechage: ben applicabile alla socia lavoratrice, a norma dell’art. 2 legge n. 142/2001, non essendo cessato con il rapporto di lavoro (il 7 settembre 2016, per effetto del licenziamento impugnato) anche quello associativo (soltanto con delibera del 19 settembre 2019) (terzo motivo);
6. essi congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati;
7. premesso in linea di diritto che, ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’art. 3 della legge n. 604/1966 richiede: a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. E che l’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882).
Inoltre, la ritenuta mancanza di un nesso causale tra recesso datoriale e motivo addotto a suo fondamento è stata ritenuta sussumibile nell’alveo di quella particolare evidenza richiesta per integrare la manifesta insussistenza del fatto che giustifica, ai sensi dell’art. 18, settimo comma legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012, la tutela reintegratoria attenuata (Cass. 5 dicembre 2018, n. 31496; Cass. 11 novembre 2019, n. 29101).
7.1. Tuttavia, la verifica del requisito di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” (già ravvisata concernere entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa, sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore: Cass. 2 maggio 2018, n. 10435; Cass. 11 novembre 2019, n. 29102), deve ora prescindere dal suo carattere di evidenza immediata, per essere stato l’art. 18, settimo comma, secondo periodo legge n. 300/1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b) legge n. 92/2012, dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., limitatamente alla parola «manifesta». E ciò per i profili di irragionevolezza intrinseca (già posti in risalto nella sentenza Corte cost. n. 59 del 2021, che ha preso in esame il carattere meramente facoltativo della reintegrazione), della norma nel prevedere che, per poter disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, il giudice debba accertare la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo: in quanto requisito indeterminato, che demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico e che neppure si connette razionalmente alla peculiarità delle diverse fattispecie di licenziamento. Nemmeno avendo il presupposto attinenza alcuna con il disvalore del licenziamento intimato, eccentrico nell’apparato dei rimedi, usualmente incentrato sulla diversa gravità dei vizi e non su una contingenza accidentale, legata alla linearità e alla celerità dell’accertamento: riflettendosi in tal modo la disposizione censurata sul processo e complicandone taluni passaggi, con aggravio irragionevole e sproporzionato (Corte cost.19 maggio 2022, n. 125);
8. la Corte territoriale, pure avendo accertato (per le ragioni esposte ai due ultimi capoversi di pg. 5 della sentenza) l’inesistenza del “riassetto organizzativo posto a fondamento del licenziamento” (così al primo capoverso di pg. 6 della sentenza), nonché l’assenza di prova dell’impossibilità, da parte della società cooperativa datrice, di assolvere all’obbligo di répechage (così al primo capoverso di pg. 8 della sentenza), e pertanto l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto per il licenziamento, ha tuttavia ribadito (come già il Tribunale, pur avendo ritenuto “la insussistenza manifesta del giustificato motivo”: al secondo capoverso di pg. 4 della sentenza) l’applicazione della tutela indennitaria, prevista dall’art. 18, quinto comma legge n. 300/1970, nonostante il reclamo incidentale della lavoratrice, per l’accertamento di detta (manifesta) insussistenza e l’applicazione della tutela reintegratoria, a norma dell’art. 18, settimo comma, in combinato disposto con il quarto, della legge n. 300/1970 (al penultimo capoverso di pg. 2 della sentenza).
Essa ha pertanto disatteso i superiori principi di diritto e non ha chiarito, con argomentazioni obiettivamente idonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del proprio convincimento, senza così consentire alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento svolto, non potendo essere lasciato all’interprete il compito di integrarlo con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. S.U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758); e pertanto con motivazione apparente, in quanto, benché graficamente esistente, inidonea a rendere tuttavia percepibile il fondamento della decisione;
9. la ricorrente principale ha altresì dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione alle circostanze storiche indicate nel primo motivo, di inesistenza di qualsivoglia riassetto organizzativo della società cooperativa e di permanenza in essa di attività amministrative cui prima addetta la lavoratrice e poi attribuite a dipendente con minore anzianità (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1, secondo comma, lett. a), b) e 6 legge n. 142/2001, 28, nono comma Statuto sociale, 1, 5 e 10 del Regolamento 5 novembre 2013 adottato ai sensi dell’art. 6 legge n. 142/2001, nonché dell’art. 112 per omessa pronuncia sulla mancata applicazione dell’art. 4, quinto comma Regolamento cit., per non avere la Corte territoriale esattamente colto la rilevanza del motivo di impugnazione, inteso – sulla premessa della qualità della reclamante incidentale, prima ancora che di lavoratrice subordinata, di socia di cooperativa (regolata, nel suo assetto organizzativo, funzionamento e finalità, dalla disciplina degli atti regolamentari denunciati di violazione) –a censurare il comportamento della cooperativa, per non avere emesso alcuna delibera assembleare, in ordine alla riorganizzazione aziendale posta a base del licenziamento, pur essendo materia di esclusiva competenza dell’assemblea dei soci (quarto motivo);
10. essi sono assorbiti;
11. per le suesposte ragioni il ricorso principale deve essere accolto e l’incidentale dichiarato inammissibile; la sentenza impugnata cassata, in relazione al ricorso principale accolto, con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione e raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente incidentale, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso principale accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.