CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 31645 depositata il 14 novembre 2023

Lavoro – Recesso per giustificato motivo oggettivo – Piano di ristrutturazione aziendale – Soppressione posti di lavoro – Impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita – Prova della concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo – Rigetto

Rilevato che

1. Con la sentenza n. 168 del 2020 la Corte di appello di Catania, in riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede, ha annullato il recesso intimato in data 27.11.2014 dalla Fondazione I.S.V.D.P.P. A. M. al dipendente A.F., Segretario Economo, e ha condannato la datrice di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, detratto quanto percepito a far tempo dal 29.12.2015 da altro datore di lavoro, oltre accessori e regolarizzazione contributiva previdenziale ed assistenziale.

2. Il recesso era stato intimato per giustificato motivo oggettivo, in particolare per la necessità di fare luogo alla riorganizzazione dell’attività produttiva aziendale ai fini di renderla più efficiente ed economica, considerato il disavanzo di gestione riscontrato nel bilancio anno 2012, mediante un intervento sul capitolo di spesa riferito al personale, sia sopprimendo posti di lavoro che terzializzando alcuni servizi, così risparmiando e rendendo più efficace l’organizzazione aziendale, con la conseguenza che era stato deciso di sopprimere la figura di Segretario economico.

3. I giudici di seconde cure, confermata la inammissibilità, in sede di rito cd. Fornero, delle domande di risarcimento danni da mobbing e da dequalificazione professionale ed esclusa la natura discriminatoria o ritorsiva del licenziamento, hanno ritenuto la manifesta insussistenza del fatto non essendo stata dimostrata pienamente la effettività del motivo addotto a fondamento del recesso, in quanto era rimasta del tutto carente la prova sulla riconducibilità eziologica della soppressione della figura di Segretario economico al piano di ristrutturazione varato dalla Fondazione; hanno rilevato che il piano di ristrutturazione aziendale minuziosamente evocato nella lettera di licenziamento non poteva costituire il supporto giustificativo ai sensi dell’art. 3 legge n. 604/1966 perché la eliminazione della figura di Segretario economico era stata già attuata al momento del recesso; hanno, poi, concesso la tutela reintegratoria e risarcitoria piena vertendosi in ipotesi di manifesta insussistenza del fatto ex art. 18 co. 7 St. lav.

4. Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione la Fondazione I.S.V.D.P.P.

A. M. affidato a cinque motivi cui ha resistito con controricorso A.F..

5. Le parti hanno depositato memorie.

6. Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.

Considerato che

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge n. 604/1966 e dell’art. 41 della Cost., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere omesso la Corte territoriale la opportuna valutazione sulla sussistenza del motivo economico del licenziamento indicato nella lettera di recesso, quale ragione inerente all’attività produttiva consistente nella esigenza di riduzione dei costi e di riduzione del personale, attesa la situazione di disavanzo del bilancio per gli anni 2012 e 2013 con una perdita di esercizio rispettivamente di euro 69.562,00 e 259.857,50, non considerando, quindi, che la risoluzione del rapporto del Fioretto era legata alla esigenza di riduzione dei costi e del personale e non alla riorganizzazione aziendale che aveva dato luogo alla soppressione del posto di lavoro.

3. Con il secondo motivo si eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 co. 1 n. 5 cpc), per avere la Corte territoriale erroneamente focalizzato i termini del nesso di causalità del recesso datoriale, avendo ricostruito in modo inesatto le mansioni prevalenti attribuite al Fioretto e, quindi, negando che la avocazione al Presidente della Fondazione delle suddette mansioni non fosse avvenuta in occasione del licenziamento ma in precedenza.

4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 18 co. 7 legge n. 300 del 1970, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non avere concesso la Corte distrettuale la mera tutela risarcitoria, in quanto non si verteva in una ipotesi di manifesta insussistenza del fatto e non essendo stata fornita alcuna motivazione per il riconoscimento della tutela più onerosa per il datore di lavoro.

5. Con il quarto motivo si obietta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 202 e 245 cpc, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, sulla mancata ammissione della prova orale circa la nuova occupazione del Fioretto anche prima della data del 29.12.2015 confermata dallo stesso lavoratore.

6. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, in ordine alla disposta condanna alle spese senza che si sia tenuto conto della soccombenza reciproca sulle avanzate domande di risarcimento per presunta dequalificazione e mobbing.

7. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

8. I principi di diritto, da tenere presente, sono quelli affermati dalla giurisprudenza di legittimità che ha precisato che quando il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ex art. 3 della legge n. 604 del 1966, sia determinato dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, ai fini della legittimità dello stesso, sul datore di lavoro incombe la prova della concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo sussistenti all’epoca della comunicazione del licenziamento, e della impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito. L’accertamento di tali presupposti costituisce valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata (Cass. n. 14815/2005).

9. Inoltre, è stato sottolineato che, per la legittimità del recesso è sufficiente che le addotte ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino causalmente un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo che richiede la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo tale scelta imprenditoriale sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost.; tuttavia, se il giudice accerti, in concreto, l’inesistenza della ragione organizzativa o produttiva indicata, la cui prova grava sul datore di lavoro, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta (Cass. n. 752/2023; Cass. n. 10699/2017).

10. Il riscontro di effettività non attiene alla sola scelta aziendale di sopprimere il posto di lavoro occupato dal lavoratore o di ridurre il personale, non potendo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo trovare la sua ontologica giustificazione nella scelta operata (ad libitum) dall’imprenditore (sarebbe così preclusa in radice la verifica di legittimità non rimanendo al giudice altro riscontro se non la presa d’atto che il lavoratore licenziato occupava il posto di lavoro soppresso), ma attiene alla verifica del nesso causale tra soppressione del posto di lavoro e le ragioni della organizzazione aziendale addotte a sostegno del recesso (Cass. n. 24458/2016 in motivazione).

11. Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale, nella valutazione dei fatti posti a base del recesso, si è attenuta a tali principi e le censure ivi formulate, al di là delle denunziate violazioni di legge, si limitano, in sostanza, unicamente in una richiesta di riesame del merito della causa, attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali, in quanto sono appunto finalizzate ad ottenere una revisione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte territoriale (Cass. n. 6519/2019) che, con motivazione giuridicamente congrua, è giunta alla conclusione che era rimasta del tutto carente la prova eziologica della soppressione della figura del Segretario economo rispetto al piano di ristrutturazione varato dalla fondazione e, quindi, per il licenziamento del Fioretto non era stata dimostrata la effettività del motivo addotto a fondamento del recesso.

12. Quanto, poi, alla doglianza ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc circa la mancata valutazione, da parte dei giudici di seconde cure, delle mansioni svolte dal Fioretto e la avvenuta avocazione dei suoi compiti, da parte del Presidente della Fondazione, che non era avvenuta, come indicato nella gravata sentenza, già prima del licenziamento, deve osservarsi che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (per tutte Cass. n. 8053/2014).

13. L’inammissibilità della suddetta censura, declinata in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, è ravvisabile, pertanto, nel fatto stesso che la problematica sull’avocazione delle mansioni svolte dal F. ed assegnate ad altri già prima del licenziamento, è stata oggetto di verifica da parte della Corte di appello di talché le doglianze, anche in questo caso, tendono solo ad una richiesta di diversa ricostruzione dei fatti, rispetto a quella svolta dai giudici del merito: istanza che è inammissibile in sede di legittimità.

14. Il terzo motivo si rivela infondato alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 125 del 2022 che, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), limitatamente alla parola «manifesta», ha in sostanza reso ininfluente ogni problematica sulla necessità, da parte dei giudici di merito, di delineare e, conseguentemente, di motivare sul concetto di “manifesta insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento, essendo ormai sufficiente, per disporre la tutela reintegratoria attenuata, relativamente -nel caso di specie- alla posizione lavorativa del F., assunto nel gennaio del 1997, l’accertamento sulla semplice insussistenza del fatto e non anche su una inesistenza “prima facie” dei presupposti di legittimità del recesso tali da renderlo pretestuoso.

15. Superata, sempre dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 59 del 2021), è anche l’altra questione prospettata dalla Fondazione ricorrente circa la facoltà (e non l’obbligo) del giudice di applicare la tutela reintegratoria in luogo di quella offerta dall’art. 18 co. 5 legge n. 300/1970, essendo stata dichiarata anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), nella parte in cui prevedeva che il giudice, quando accertava la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma.

16. Il quarto motivo non è meritevole di accoglimento.

17. La Corte territoriale, nel riconoscere l’indennità risarcitoria al F. dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione e, in ogni caso, non superiore a dodici mensilità (cfr. in motivazione), ha disposto che fosse sottratto quanto percepito dal lavoratore a seguito del rapporto di lavoro instaurato presso la Casa di Riposo F.S. e G.A. di Misterbianco, dal 29.12.2015 allorquando cioè, il dipendente aveva dichiarato di essere stato assunto con la qualifica di direttore.

18. La società, con la censura di cui al suddetto motivo, si duole che i giudici di seconde cure non avevano ammesso la prova orale, su detto punto, relativamente alla circostanza “vero che successivamente al licenziamento disposto dalla Fondazione resistente F.A. ha trovato altra occupazione retribuita, presso la Scuola S.F., gestita dalle Suore Francescane del (…), con sede in Misterbianco via (…)” e avevano omesso di motivare la mancata ammissione.

19. Ritiene questo Collegio che le doglianze non siano fondate vertendosi in una chiara ipotesi di rigetto implicito della istanza istruttoria avendo la Corte territoriale dato atto della dichiarazione del lavoratore circa la nuova assunzione e avendo considerato, evidentemente, la non specificità della circostanza della prova testimoniale, come articolata, dove si fa riferimento in modo generico alla locuzione “successivamente al licenziamento”, intimato nel novembre 2014, senza alcuna altra precisazione cronologica su quando il rapporto lavorativo con la Scuola S.F. sarebbe iniziato e su quando sarebbe, invece, terminato, in una situazione in cui vi era stata comunque l’ammissione confessoria, processualmente acquisita, da parte del F., di avere intrapreso un nuovo rapporto di lavoro solo nel dicembre 2015.

20. Il quinto motivo è, infine, infondato.

21. Premesso che si verte in una ipotesi di rigetto parziale di domande articolate in più capi, deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte (per tutte Cass. n. 24502/2017; Cass. n. 3774/1997) in virtù del quale, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi.

22. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

23. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

24. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.