CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 luglio 2020, n. 13384
Tributi – IRES e IRAP – Immobile strumentale censito in categoria A/10 – Canoni di locazione finanziaria – Deducibilità
Svolgimento del processo
1. La Commissione tributaria provinciale di Pescara rigettava il ricorso proposto dalla soc. I. P.A.D. s.r.l. avverso l’avviso di accertamento con cui, con riferimento al periodo d’imposta 2005, ai fini IRES ed IRAP, la locale Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto indeducibili i canoni di locazione finanziaria relativi ad immobile strumentale censito in catasto nella categoria A/10, nonché gli accantonamenti per il trattamento di fine mandato degli amministratori.
2. L’appello proposto dalla società veniva parzialmente accolto dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, la quale con sentenza n. 1048, pronunciata il 16.10.2012 e depositata il 19.11.2012 annullava il rilievo dell’Ufficio afferente l’indeducibilità dei canoni di leasing mentre confermava la ripresa a tassazione dell’accantonamento per il trattamento di fine mandato degli amministratori.
3. Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui resiste con controricorso la società contribuente, la quale ha altresì proposto ricorso incidentale, affidato a quattro motivi, con cui chiede l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui la C.T.R. ha rigettato il motivo relativo alla deducibilità degli accantonamenti per il trattamento di fine mandato degli amministratori.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo l’Agenzia ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 43 (ex 40), dell’art. 102, comma 7 (già 68, comma 8) e dell’art. 109 (già 75) del D.P.R. 22 dicembre 1972, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n 3 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, avendo la CTR ha erroneamente ritenuto che la qualificazione dell’immobile detenuto in leasing come bene strumentale (per natura) dell’impresa, fosse sufficiente a giustificare la deduzione dei costi sostenuti in relazione ad esso, a prescindere dalla circostanza (ritenuta pacifica e non controversa) che si trattasse di immobile destinato ad uso personale dell’amministratore della società.
1.2. Il motivo è fondato, mentre va disattesa l’eccezione di inammissibilità per difetto di autosufficienza, dedotta dalla controricorrente, secondo cui l’Agenzia ricorrente non avrebbe indicato quali argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata sarebbero in contrasto con le disposizioni di legge che si assumono violate o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina.
1.3. Invero l’Agenzia ricorrente ha correttamente contestato la decisione con cui la C.T.R. ha accolto l’appello della contribuente la quale non ha dimostrato in concreto l’effettivo ed esclusivo uso aziendale dell’immobile condotto in leasing, posto che il riconoscimento del carattere strumentale di un immobile, ai sensi dell’art. 43, secondo comma, secondo periodo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, presuppone la prova della funzione strumentale del bene, non in senso oggettivo, ma in rapporto all’attività dell’azienda, ad esclusione del caso – che peraltro deve essere ugualmente provato dal contribuente che ne invochi la applicazione – della insuscettibilità (senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa da quella accertata in relazione all’attività aziendale.
1.4. In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 43 (già 40) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, gli immobili appartenenti ad imprese commerciali gestite da società di capitali costituiscono, infatti, beni strumentali, solo se per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni.
1.5. Detta norma non va intesa come una sorta di riconoscimento della strumentalità del bene a prescindere dalle caratteristiche del medesimo in rapporto con l’attività dell’azienda, giacché, anche nell’ipotesi disciplinata dalla disposizione in parola, occorre la prova della funzione strumentale del bene in relazione all’attività dell’azienda e, solo nei casi in cui risulti altresì provata (e non solo affermata) l’insuscettibilità (senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa (da quella accertata in rapporto strumentale con l’attività aziendale), è prevista la possibilità di prescindere (ai fini della ritenuta strumentalità del bene) dall’utilizzo diretto dello stesso da parte dell’azienda, ferma in ogni caso restando l’imprescindibilità dell’accertamento della strumentalità, sia pure astratta, del bene, non oggettivamente considerato, bensì in rapporto all’attività aziendale.
1.6. Avuto riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, ai fini della deducibilità delle spese per i beni materiali, occorre, infatti, non solo l’effettiva strumentalità dei suddetti beni in relazione alla specifica attività aziendale, ma altresì l’effettiva utilizzazione di essi – in funzione direttamente strumentale – nell’esercizio dell’impresa, dovendo, pertanto, escludersi la persistenza del rapporto strumentale tra bene ed attività aziendale nell’ipotesi in cui il bene suddetto sia utilizzato da terzi, salvo che proprio la locazione di beni materiali non costituisca lo specifico oggetto dell’attività aziendale (Sez. 5, Sentenza n. 3858 del 18/02/2009). In altre parole i costi dei beni sono deducibili, purché i costi siano sostenuti in funzione della produzione di ricavi e, dunque, a condizione che i beni acquistati siano non soltanto strumentali specifica attività aziendale ma anche effettivamente utilizzati nell’esercizio dell’impresa (Sez. 5, Sentenza n. 13807 del 18/06/2014; cfr. per i limiti oggettivi Sez. 5, Ordinanza n. 10902 del 18/04/2019).
1.7. Deve pertanto affermarsi che nell’ipotesi in esame dovrebbe parlarsi non di una strumentalità “oggettiva”, bensì di una strumentalità “astratta”, nel senso che deve pur sempre accertarsi il rapporto strumentale tra bene e attività aziendale, potendosi però in concreto prescindere dall’utilizzo diretto del bene, purché in presenza del presupposto dell’insuscettibilità di diversa destinazione”. L’onere di fornire la prova della natura strumentale dell’immobile e della sua destinazione esclusiva all’utilizzazione nell’attività propria dell’impresa grava sul contribuente (v. Cass. Sez. 5, sent. n. 4306 del 4.3.2015; Cass. 2.4.2014, n. 7625, nonché, da ultimo, Sez. 5, n. 33522 del 27.12.2018).
1.8. Nella specie la C.T.R. non ha correttamente applicato le disposizioni qui richiamate, in quanto i costi sostenuti dalla società per i canoni di locazione finanziaria dell’immobile adibito ad abitazione dell’amministratore della società, non qualificabile come bene strumentale, non possono essere ammessi in deduzione, trattandosi di bene non avente, come unica destinazione, quella di essere direttamente impiegato nell’espletamento di attività tipicamente imprenditoriali, perché produttivi di reddito autonomo.
1.9. Per tali motivi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo.
2. Con il ricorso incidentale la società impugna la decisione con cui i giudici di merito hanno ritenuto non deducibili i costi relativi agli accantonamenti per il trattamento di fine mandato degli amministratori, confermando la ripresa a tassazione dei relativi oneri.
2.1. Con il primo motivo la società deduce ex art. 360, primo comma n. 4) c.p.c. “violazione dell’art. 101 c.p.c. secondo comma e dell’art. 1 secondo comma d.lgs. 546/92”, per avere la Commissione regionale deciso sulla base di una questione rilevata d’ufficio e sulla quale le parti non erano state poste in condizione di intervenire, dal momento che nessuno aveva mai dato rilievo alla modifica normativa che dal 1° gennaio 2001 aveva reso inapplicabile lo speciale regime di deducibilità degli accantonamenti annuali relativi ai trattamenti di fine mandato degli amministratori.
2.2. Con il secondo motivo deduce ex art. 360, primo comma n. 4) c.p.c. “violazione degli artt. 2, 7, 23, 36 d.lgs. 546/92, dell’art. 99 e 112 c.p.c. in relazione al principio del giusto processo e della parità delle armi di cui all’art. 111 Cost.”, per avere la C.T.R. deciso la controversia sulla base di una contestazione mai mossa dall’ufficio, né nell’atto di accertamento impugnato, né negli scritti difensivi, così sostanzialmente integrando e correggendo la motivazione dell’atto impugnato.
2.3. Entrambi i motivi, suscettibili di esame congiunto, non appaiono meritevoli di accoglimento.
2.4. Invero, il vizio di ultrapetizione è ravvisabile solo allorquando il giudice d’appello pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, oppure su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato. Non è invece precluso al giudice del gravame l’esercizio del potere-dovere di qualificare diversamente i fatti, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste contenute nell’atto di impugnazione e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al proprio esame (tra varie, Cass. 18830 del 2017; Cass., 12 gennaio 2016, n. 296; 31 luglio 2015, n. 16213).
2.5. Deve quindi escludersi la sussistenza del vizio dedotto nel caso in esame, giacché la Commissione tributaria in forza del principio iura novit curia si è limitata ad applicare una disposizione normativa non invocata da alcuna delle parti in causa e non applicata dal giudice di primo grado, fermi restando i fatti sottoposti al proprio esame, senza integrarli o inserirvi elementi di novità.
2.6. Con il terzo motivo la società deduce ex art. 360, primo comma n. 3) c.p.c. “violazione e falsa applicazione degli artt. 105 comma 4, 17 comma primo lettera c), 50 comma primo lettera e-bis) TUIR n. 917 del 1986, nonché dell’art. 34 comma 3 della legge n. 342/2000, per aver considerato abrogata la deducibilità degli accantonamenti per il trattamento di fine mandato degli amministratori e per non avere considerato la palese spettanza della deduzione, a prescindere dalla presenza di una scrittura avente data certa.
2.7. Tale motivo è privo di fondamento.
2.8. La disciplina relativa alla deducibilità dell’accantonamento per il trattamento di fine mandato (TFM) degli amministratori è soggetta alle regole di deducibilità previste dall’art. 105, co. 4, del T.U.I.R., il quale fa specifico richiamo al citato art. 17, co. 1, lett. c) del T.U.I.R. (Cass. n. 18752/14).
2.9. Secondo questa Corte, il rinvio, effettuato dall’art. 105 co. 4 del T.U.I.R., alle indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ex art. 17 co. 1 lett. c) del T.U.I.R., è da considerarsi un “rinvio pieno, nel senso che ai fini della deducibilità dei relativi accantonamenti si richiede che il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto” (cfr., tra le altre, Cass. n. 16788/2016); principio che risulta ribadito con sentenza 20.7.2018, n. 19368, secondo cui, in assenza di data certa, l’onere sostenuto dalla società risulta deducibile nell’esercizio di erogazione dell’indennità di fine mandato.
2.10. Ai fini della deducibilità per competenza dell’accantonamento al TFM, si ritiene poi necessaria la preventiva formazione del verbale assembleare di nomina degli amministratori e la successiva accettazione da parte di costoro ovvero, in alternativa, una preventiva comunicazione sociale al singolo amministratore, avente data certa e contenente l’indicazione della volontà assembleare di nominare il destinatario della missiva come componente dell’organo di gestione, riconoscendogli il diritto al trattamento di fine mandato (cfr. Cass. Sez. 5, ord. n. 26431 del 19.10.2018).
2.11. Nel caso di specie l’assenza del requisito richiesto ai fini della deducibilità annuale degli accantonamenti in questione non consente di accogliere la pretesa della società ricorrente in via incidentale.
2.12. Con il quarto motivo del ricorso incidentale deduce poi la società “l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5) c.p.c.”.
2.13. Detto motivo è inammissibile in quanto, trattandosi di sentenza pubblicata il 19.11.2012, deve essere applicato l’art. 360 primo comma n. 5 riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale deve essere interpretato come riduzione al “minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciarle in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7.4.2014). Nel caso in esame la società ricorrente non denuncia alcun omesso esame di un fatto storico ma censura genericamente la motivazione denunciandone sostanzialmente l’insufficienza (vizio non più deducibile secondo il “riformato” art. 360 n.5 c.p.c.).
3. Il ricorso principale va pertanto accolto e la sentenza cassata nei limiti di cui in motivazione. Il ricorso incidentale va viceversa rigettato con conseguente condanna della società I. Pad alle spese del giudizio di legittimità. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.
3.1. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della società ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta sul punto il ricorso introduttivo della contribuente che condanna al rimborso delle spese di giudizio sostenute dall’Agenzia delle Entrate che liquida in 7.300,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.
Compensa le spese dei gradi di giudizio di merito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma bis dello stesso articolo 13, se dovuto.